Con l’ordinanza n. 8773 del 17 marzo 2022 la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha affrontato la questione della compensatio lucri cum damno con riferimento all’indennizzo previsto dall’art. 2, co. 3, della L. 210/92 in caso di complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati escludendone la cumulabilità con il risarcimento del danno aquiliano.
1 - I fatti di causa
La signora (omissis) e le sue due figlie hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero della Salute per sentir condannare quest’ultimo al risarcimento dei danni patiti iure proprio e iure successionis conseguenti alla morte di (omissis), rispettivamente marito e padre delle attrici, a causa delle complicazioni di una infezione da HCV contratta in seguito ad una trasfusione con sangue infetto.
Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta dalle attrici e rigettava l’eccezione di prescrizione del credito risarcitorio, sollevata dal Ministero della Salute.
Contro la sentenza di primo grado il Ministero della Salute ha proposto appello che veniva accolto dalla Corte d’appello di Roma: quest’ultima dichiarava il credito risarcitorio prescritto.
Le eredi di (omissis) hanno proposto dapprima ricorso per cassazione contro la sentenza d’appello, che, però, veniva rigettato; poi, ricorso per revocazione, accolto con rinvio dalla Corte di Cassazione.
Il Giudice del rinvio, tornato a decidere sull’eccezione di prescrizione, ha dichiarato prescritto il diritto al risarcimento del danno acquisito dalle attrici iure successionis confermando, però, la statuizione del Tribunale che aveva accolto la domanda di risarcimento del danno patito dalle attrici iure proprio.
La sentenza resa all’esito del giudizio di rinvio è stata impugnata dal Ministero con ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 1223 c.c. per avere il giudice di rinvio trascurato di considerare che il ministero aveva già corrisposto alle tre eredi l’indennità una tantum prevista dall’art. 2, co. 3, della L. 210/92 pari a 150 milioni di vecchie lire.
2 – Il ricorso proposto dal Ministero della Salute
Con il ricorso il Ministero ha chiesto alla Corte di Cassazione di stabilire se la persona danneggiata da una infezione causata da emotrasfusione possa pretendere di cumulare il risarcimento del danno aquiliano con l’indennizzo previsto dall’art. 2, co. 3, della L. 210/92.
La Corte ha riconosciuto fondato il ricorso proposto dal Ministero specificando che “quando, in conseguenza di un fatto illecito, la persona danneggiata ottenga anche un vantaggio patrimoniale, quest’ultimo va defalcato dal risarcimento allorchè ricorrano due ipotesi alternative:
a) o quando il medesimo soggetto sia tenuto sia al pagamento del risarcimento, sia al pagamento dell’ulteriore vantaggio economico a favore della vittima (Sez. U, Sentenza n. 584 del 11/01/2008, Rv. 600919 – 01);
b) oppure quando il vantaggio economico percepito dalla vittima abbia una funzione lato sensu risarcitoria, a condizione che la legge consenta a chi l’ha pagato di recuperarne l’importo dal responsabile (Sez. U, Sentenze n. 12564, 12565, 12566 e 12567 del 22/05/2018)”.
Secondo la Corte, nel caso di specie, ricorreva la prima delle ipotesi citate, vista l’identità soggettiva tra il debitore del risarcimento e il debitore dell’indennizzo.
Il Ministero della Salute risulta essere il medesimo soggetto passivamente legittimato rispetto alla domanda di pagamento dell’indennizzo previsto dall’art. 2, co. 3, della L. 210/92, “in quanto soggetto pubblico che decide in sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale” (S.U. n. 12538/2011).
Le controricorrenti ritenevano, invece, che, nel caso di specie, il principio della compensatio lucri cum damno non potesse trovare applicazione.
A fondamento della predetta eccezione deducevano la “diversità fra la natura del risarcimento loro accordato (inteso a ristorare il danno sofferto iure proprio in conseguenza della morte del rispettivo marito e padre), e la natura dell’indennizzo una tantum previsto dall’art. 2, comma 3, della legge 210/92, inteso invece ad indennizzare il diverso danno sofferto dalla vittima primaria, e che a causa della morte di quest’ultima non potrebbe che essere versato agli eredi”.
La Corte ha rigettato l’eccezione delle controricorrenti sulla base del fatto che l’indennizzo di cui all’art. 2, co. 3, della L. 210/92 spetta a queste ultime sempre iure proprio e non iure hereditario.
Tale conclusione, secondo l’interpretazione fornita dalla Suprema Corte, è desumibile dal contenuto della stessa legge n. 210/92 e cioè dal fatto che:
- “la legge parla di "aventi diritto", e "non di eredi"”;
- “tra gli aventi diritto la legge prevede un ordine successivo (la presenza del coniuge esclude il beneficio per i figli, quella dei figli esclude il beneficio per i fratelli, e così via), incompatibile con le previsioni degli artt. 571 e 581 c.c.”;
- “il beneficio è accordato ai soli familiari viventi a carico, requisito non necessario per l'acquisto della qualità di erede”;
- “l'assegno una tantum è accordato "anche nel caso in cui il reddito della persona deceduta non rappresenti l'unico sostentamento della famiglia", precisazione inspiegabile se davvero l'indennizzo di cui si discorre fosse attribuito ai superstiti jure hereditario”;
- “infine (ma è quel che più rileva), che l'indennizzo una tantum di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 3, spetta agli aventi diritto ivi elencati anche quando la persona contagiata, prima di morire, abbia ottenuto il riconoscimento dell'indennizzo di cui alla suddetta Legge, art. 1, come già affermato da questa Corte (ex multis, Sez. 6 L, Ordinanza n. 19502 del 23/07/2018; Sez. L -, Sentenza n. 26842 del 25/11/2020)”.
La Corte, dopo aver premesso che l’indennizzo previsto dall’art. 2, comma 3, della L. 210/92 spetta ai soli familiari indicati dalla legge che siano ‘viventi a carico’ e nell’ordine elencato dalla legge (in forza del quale l’attribuzione del beneficio al coniuge esclude l’attribuzione ai figli, così come l’attribuzione ai figli esclude il beneficio per i genitori), ha ritenuto che l’indennizzo spettasse alla sola madre, casalinga convivente, ed ha escluso dal beneficio le due figlie della vittima.
Conseguentemente l’eccezione di compensatio lucri cum damno sollevata dal Ministero è stata rigettata nei confronti delle due figlie, mentre è stata accolta nei confronti della madre, la quale ha visto ridurre il risarcimento ad essa spettante dell’importo percepito a titolo di indennizzo ex art. 2, co. 3, della L. 210/92.
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