La recentissima sentenza del Tribunale di L’Aquila, 9 ottobre 2022, ha fatto molto discutere avendo ritenuto sussistente il concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c. delle vittime del sisma con conseguente riduzione del risarcimento spettante ai loro eredi.
Una condotta “obiettivamente incauta”, ha affermato il Tribunale, “quella di trattenersi a dormire - così privandosi della possibilità di allontanarsi immediatamente dall’edificio al verificarsi della scossa - nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile”.
Il risarcimento spettante agli eredi è stato quindi ridotto in proporzione al concorso di colpa delle vittime e nel quantificare la riduzione il Tribunale ha tenuto conto dell’affidamento che i soggetti poi defunti avevano riposto nella capacità dell’edificio di resistere al sisma “per essere lo stesso in cemento armato e rimasto in piedi nel corso dello sciame sismico da mesi in atto”.
A simboleggiare l’aperto dissenso di alcuni cittadini di L’Aquila con la decisione presa dalla sentenza in commento gli stessi hanno esposto cartelli in una piazza della città con su scritto “Voglio anche io il 30% di responsabilità!”.
Nella notte del 6 aprile 2009, a causa delle forti scosse di terremoto, il palazzo sito in via (omissis) nella città di L’Aquila è crollato causando così la morte di coloro che erano al suo interno.
Gli eredi delle vittime (d’ora in poi, gli “attori”) hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di L’Aquila il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la Prefettura e il Comune di L’Aquila, nonché gli eredi del costruttore DEL B.L. al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dal decesso dei rispettivi familiari in seguito al collasso dell’edificio.
Secondo gli attori il crollo dell’edificio era da imputare a gravi vizi di progettazione e di costruzione dello stesso.
Le consulenze tecniche, espletate nell’ambito del processo penale avviato dalla Procura di L’Aquila n. 1509/2009 (poi, però, conclusosi con l’archiviazione, essendo gli indagati tutti deceduti) ed ampiamente richiamate negli atti introduttivi del giudizio civile, avevano evidenziato carenze nel calcestruzzo, quanto a elevata variabilità del materiale impiegato e cattiva esecuzione nella ripresa dei getti.
La responsabilità ex artt. 2043, 2049, 2055 c.c., secondo la prospettazione attorea, era da attribuire ai convenuti per aver realizzato una “costruzione difforme dalle prescrizioni normative all’epoca vigenti ed incapace di resistere all’azione di un sisma non avente carattere anomalo o eccezionale” e, per quanto riguarda la posizione degli enti coinvolti, per non aver diligentemente adempiuto ai compiti di vigilanza e controllo di loro competenza in materia edilizia.
Nello specifico, il Genio Civile, all’epoca incardinato nel Ministero dei LLPP, doveva ritenersi responsabile, ai sensi della L. 1684/1962 (“Norme tecniche per l'edilizia, con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti”), avendo i suoi funzionari rilasciato, dapprima, autorizzazione a costruire, ritenendo il progetto conforme alla normativa antisismica e, poi, certificato di perfetta rispondenza dell’edificio realizzato alla normativa stessa.
Ai sensi del R.D.L. 2229/1939 (“Norme per l’esecuzione delle opere in conglomerato cementizio semplice o armato”), gli attori deducevano la responsabilità della Prefettura per non avere il suo incaricato, Ing. FI., adempiuto agli obblighi di verifica sul conglomerato cementizio.
Il Comune di L’Aquila doveva ritenersi responsabile avendo rilasciato il certificato di abitabilità, nonostante le difformità tra il fabbricato realizzato e quello assentito.
Infine, veniva dedotta la responsabilità del costruttore e primo proprietario DEL B.L., e per esso dei suoi eredi, per vizi nell’edificazione del palazzo.
Si costituivano tempestivamente tutti i convenuti nei procedimenti inizialmente separati, deducendo, in particolare, oltre alla prescrizione delle pretese azionate, “il concorso di colpa dei deceduti ex art. 1227 c.c. per essersi trattenui all’interno dell’edificio la notte del 6 aprile, nonostante le scosse già verificatesi”.
Deducevano inoltre la responsabilità ex art. 2053 c.c. dei proprietari dell’immobile, tra cui gli stessi ricorrenti e/o defunti, la convenuta GUE.D. e il CONDOMINIO DEL B., per aver “omesso la manutenzione dell'immobile e collocato dei pesanti serbatoi d’acqua all’ultimo piano dell’edificio, minandone la stabilità”.
Costituendosi in giudizio il Comune di L’Aquila deduceva che la responsabilità per il crollo doveva essere imputata alla condotta del tecnico progettista ed autore dei calcoli dell’edificio e chiamava quindi in causa gli eredi di S.C. nonché il proprio assicuratore Allianz S.p.A.
Gli eredi del costruttore DEL B. deducevano in particolare come il crollo dovesse ascriversi a causa di forza maggiore, ossia all’evento sismico, e non alle postulate carenze costruttive.
Deducevano inoltre “l’inapplicabilità degli artt. 1667, 1669 c.c. essendo decorsi oltre 45 anni dalla costruzione dell’edificio, la concorrente responsabilità del Condominio proprietario e il concorso di colpa dei defunti, per essersi imprudentemente trattenuti all’interno degli edifici nonostante le forti scosse che notoriamente precedettero quelle delle 3:32”.
Si costituivano altresì i terzi chiamati.
In particolare, il CONDOMINIO DEL B., chiamato dai Ministeri, con specifico riguardo alla questione dei serbatoi, deduceva che i serbatori erano stati posti nel locale sottotetto dallo stesso costruttore e che in ogni caso erano stati svuotati anni prima del sisma, sicché era da escludere un’influenza causale degli stessi nel crollo del palazzo.
Il Tribunale di L’Aquila, rigettate le eccezioni di prescrizione quinquennale sollevate dai convenuti, ha ritenuto sussistente la responsabilità dei Ministeri convenuti, nonché degli eredi del costruttore DEL B., alla luce delle risultanze delle consulenze espletate in sede penale, utilizzabili anche in sede civile, particolarmente “attendibili in considerazione dell’elevata competenza dei consulenti incaricati, dell'ampia indagine da costoro svolta con numerose ispezioni sul posto, analisi dei campioni ivi raccolti”.
Dalla documentazione agli atti è emerso che l’edificio era stato costruito nella vigenza della legge n. 1684 del 1962 che stabiliva, in materia edilizia, speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti, tra cui il Comune di L’Aquila, classificato nella Categoria di rischio sismico.
La legge n. 1684 del 1962, nel prescrivere le caratteristiche progettuali e strutturali degli edifici da realizzare in zona sisimica, poneva il divieto di iniziare nuove costruzioni senza la previa autorizzazione scritta dell’Ufficio del Genio Civile, autorizzazione che poteva essere rilasciata dopo l’invio da parte dell'interessato della denunzia lavori unitamente al progetto.
Il rilascio della Licenza d’uso da parte della Prefettura era subordinato alla previa certificazione, da parte dell’Ufficio del Genio Civile, della corrispondenza della costruzione alla normativa antisismica.
La medesima legge attribuiva ai funzionari del Genio Civile il preciso compito di verificare se i lavori fossero in concreto eseguiti in conformità con le norme della legge stessa.
L’obbligo di vigilanza posto a carico del Genio Civile seguiva tutto il procedimento di costruzione dell’edificio a partire dalla denunzia di nuova costruzione fino alla realizzazione della costruzione stessa.
Considerati gli obblighi di controllo, funzionali a garantire la sicurezza dell’edificio da costruire, affidati dalla legge agli organi dei due Ministeri coinvolti, il Tribunale di L’Aquila ha ritenuto sussistente la responsabilità degli stessi nella determinazione del crollo.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto che “Dalla Relazione degli ingg. BE. e SA. risulta come il progetto strutturale e la relazione di calcolo presentate al Genio Civile al fine di verificare la conformità alla normativa antisismica fossero entrambi assai carenti, con una marcata sottostima delle azioni simiche previste dalla normativa all’epoca vigente e dei carichi reali presenti sull’edificio, tali da renderlo particolarmente vulnerabile proprio dal punto di vista sismico in particolare nella direzione traversale, proprio quella nella quale si manifestò il collasso (vd. pagg. 48/65; 68/71).
Il crollo dell’edificio, secondo il Tribunale, era da imputare “all'inosservanza della normativa antisismica da applicarsi ed alla negligenza del Genio Civile, che invece certificava la conformità di progetti e connessa costruzione alla predetta normativa”.
Dai documenti di causa e dai sopralluoghi effettuati è emersa, ha affermato il Tribunale nella sentenza in commento, “una anomala disgregazione delle strutture in cemento armato; in particolare la stessa viene imputata dall'ing. Q. alla scorretta posa in opera del materiale: il Consulente chiarisce che la correttezza della miscelazione del conglomerato e delle operazioni di getto e ripresa dello stesso nel corso dei lavori siano determinanti per garantire la sua resistenza e durata; in particolare, la miscelazione ed il getto/ripresa debbono essere eseguiti in modo da assicurare l'omogeneità dell'impasto delle varie componenti del conglomerato (omogeneità necessaria perché esso possa poi avere le caratteristiche di resistenza e durevolezza sue proprie) nonché in modo da assicurarne la perfetta compattazione nelle casseforme (indispensabile per espellere l'aria); ove tali operazioni non siano correttamente eseguite, il conglomerato perde le sua capacità di resistenza e durevolezza nel tempo, sostanzialmente divenendo assai più fragile; la scorrettezza delle operazioni di miscelazione, getto/ripresa e compattazione determina una serie di fenomeni denominati sedimentazione (i componenti più pesanti del conglomerato precipitano in basso, separandosi dagli altri), bleeding (separazione dell'acqua dall'impasto); quando entrambi tali fenomeni si verificano essi danno luogo ad un ulteriore fenomeno, denominato segregazione; tali fenomeni sono stati riscontrati in numerosi pilastri dell'edificio ed alla base degli stessi nonché in corrispondenza di nodi travi/pilastro; essi, con particolare riguardo alla sedimentazione alla base di vari pilastri del livello garage, hanno avuto un ruolo determinante nel collasso dell'edificio (pag. 21 Relaz. Q.). Peraltro, il fenomeno di sedimentazione alla base dei pilastri era immediatamente visibile e percettibile, tanto che l'ing. Q. ritiene perciò particolarmente grave la mancata vigilanza e controllo in cantiere durante la lavorazione(pag. 21, Relazione Q.)”.
Eppure, al momento del controllo, l’ing. FI., incaricato dalla Prefettura (che aveva l’obbligo di vigilare sulle opere in conglomerato), non aveva rilevato alcun errore nella costruzione nonostante, durante la realizzazione delle strutture in cemento armato, erano stati compiuti gravi “errori di miscelazione, getto/ripresa e compattazione (operazioni eseguite in difformità alle prescrizioni di cui agli artt. 35 e 41 R.D.L. cit. e comunque alle regole della buona tecnica)”.
In giudizio il Ministero ha eccepito la non imputabilità alla prefettura dell’operato dell’ing. F.I. in ragione della sua qualità di libero professionista. L’eccezione è stata rigettata dal Tribunale in quanto era del tutto indifferente sia la mancanza di un rapporto di lavoro subordinato con la Prefettura o altra P.A. sia il dato che il compenso dell’incaricato libero professionista fosse a carico del costruttore.
Il Tribunale ha poi escluso che il terremoto verificatosi il 6 aprile 2009 avesse una forza tale da poter configurare un’ipotesi di forza maggiore in grado di escludere il nesso causale, in quanto gli edifici vicini, sia in muratura che in cemento armato, pur avendo subito danni più o meno estesi, non subirono il collasso radicale verificatosi nella specie.
Alla luce delle osservazioni sopra richiamate il Tribunale ha affermato la responsabilità del costruttore DEL B. e degli enti pubblici coinvolti.
È stata invece ritenuta fondata l’eccezione, sollevata dai convenuti,di concorso di colpa delle vittime, ai sensi dell’art. 1227, l° comma, cc.
Secondo il Tribunale costituiva “obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire - così privandosi della possibilità di allontanarsi immediatamente dall’edificio al verificarsi della scossa - nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile”.
Il concorso di colpa delle vittime è stato ritenuto pari al 30%.
Nel quantificare tale percentuale il Tribunale ha tenuto conto “dell’affidamento che i soggetti poi defunti potevano riporre nella capacità dell’edificio di resistere al sisma per essere lo stesso in cemento armato e rimasto in piedi nel corso dello sciame sismico da mesi in atto”. Sul punto, la decisione appare assai discutibile, sia perché – in difetto di una specifica indicazione, dell’Autorità di protezione civile competente, ad abbandonare le case a seguito delle prime scosse ed in particolare per la notte – non si può ritenere colposo il comportamento delle vittime, sia perché risulta contraddittorio sostenere che le vittime potevano ragionevolmente confidare sulla tenuta dell’edificio e che, al tempo stesso, sarebbero state tenute, secondo un canone di diligenza, a dormire fuori casa.La quota di responsabilità ascrivibile a ciascun Ministero è stata individuata nel 15% ciascuno e per il residuo 40% la responsabilità è stata accertata in capo agli eredi del costruttore DEL B.
Conseguentemente nella medesima misura proporzionale è stato ridotto il credito risarcitorio spettante agli attori.
In conclusione, il Tribunale, accertata e dichiarata la corresponsabilità degli attori quali eredi dei rispettivi familiari defunti e dei convenuti eredi del costruttore DEL B., Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Ministero Dell’Interno, ha accolto parzialmente le domande attoree condannando i convenuti, in solido tra loro, al pagamento delle seguenti somme, oltre interessi legali: “euro 200.380 a DE B.A.; euro 158.380 a GUE.M.; euro 133.000 a Di E.O.; euro 133.000 a V.F.; euro 91.000 a V.G.; euro 126.000 a P.M.G.; euro 210.000 a R.A., oltre alla rifusione delle spese di lite in favore degli attori, che liquida in complessivi euro 37.604,00 per compenso oltre spese per euro 2.172,48, oltre accessori di legge”.
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https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/4613-la-cassazione-sul-terremoto-dell-aquila