La distinzione fra danno alla capacità lavorativa generica e quello alla capacità lavorativa specifica, fino a qualche tempo fa, dava luogo a non pochi malintesi nella pratica forense.
La questione, sulla quale in più occasioni si sono soffermate la giurisprudenza di merito e di legittimità, è stata definitivamente chiarita dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 28988/2020: diversamente dal danno alla capacità lavorativa generica, che rientra nella sfera concettuale “unitaria” del danno non patrimoniale, quello alla capacità lavorativa specifica, attinente cioè alla peculiare attività lavorativa svolta dal danneggiato e costituito dalla perdita, totale o parziale, del reddito generato da quest’ultima, integra invece un danno patrimoniale che, come ricorda la Suprema Corte, deve essere risarcito mediante la liquidazione di una somma da calcolarsi “ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima”.
Come tale, la liquidazione presuppone, quindi, non già solo la prova (sul piano medico-legale) dell’effettiva incidenza della menomazione sulla capacità lavorativa del danneggiato, ma altresì l’allegazione e la prova, da parte di quest’ultimo, della perdita reddituale subita.
Ovviamente tale accertamento è più difficile quando, come nel caso dei minori, “la vittima un lavoro non l'aveva, e non potrà più averlo a causa della invalidità: anche questo è un danno patrimoniale da lucro cessante, da liquidare in base al reddito che verosimilmente il soggetto leso, ove fosse rimasto sano, avrebbe percepito” (Cass. 28988/2020).
La prova dell’eventuale “reddito futuro”, dovrà darsi mediante “presunzioni gravi, precise e concordanti”.
E’ stato precisato, da ultimo, che “ove l’elevata percentuale di invalidità permanente renda altamente probabile, se non certa, la menomazione della capacità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, il Giudice può accertare in via presuntiva la perdita patrimoniale occorsa alla vittima, e procedere alla sua valutazione in via equitativa, pur in assenza di concreti riscontri dai quali desumere i suddetti elementi (Cass. 3° civ., 15/05/2019, n. 11750)” (Così Cass. 3° civ. n. 32935/2022 del 9 novembre 2022).
La questione
Con la recente sentenza n. 2135/2022, la Corte d’Appello di Palermo ha ripercorso i principi da ultimo dettati dalla Suprema Corte in materia di risarcimento danni subiti da un neonato in fattispecie di colpa medica dei sanitari di un Nosocomio, il cui scorretto operato al momento del parto aveva causato il verificarsi di una gravissima patologia in danno della nascitura.
In particolare, la Corte territoriale, con un’ampia ed interessante motivazione, ha rigettato il motivo di appello formulato dall’Azienda Ospedaliera che riteneva che erroneamente il primo giudice aveva escluso che la liquidazione del danno biologico avesse assorbito quello da ridotta capacità lavorativa, non rilevandosi elementi da cui desumere l'incidenza della lesione sull'eventuale attività di lavoro.
Così si legge, sul punto, nella sentenza in esame: “In ordine al secondo motivo dell'appello principale si osserva che il C.T.U. nella sua relazione di consulenza ha esposto che le menomazioni dell'integrità psicofisica rilevata in capo alla minore periziata le precludono la possibilità di potere esercitare in futuro qualsiasi attività lavorativa.
Giova premettere, in proposito, che, per costante orientamento giurisprudenziale, gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possono anche consistere in un danno patrimoniale da lucro cessante laddove vengano ad eliminare o a ridurre la capacità di produrre reddito (Cass., 24/2/2011, n. 4493; Cass. 12/06/2015, n. 12211). A tale stregua vanno al danneggiato risarciti non solo i danni patrimoniali subiti in ragione della derivata incapacità di continuare ad esercitare l'attività lavorativa prestata all'epoca del verificarsi del medesimo (danni da incapacità lavorativa specifica) ma anche quelli consistenti in eventuali danni patrimoniali ulteriori derivanti dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando il grado di invalidità non consenta al danneggiato la possibilità di attendere a lavori, confacenti alle proprie attitudini e condizioni personali ed ambientali, idonei alla produzione di fonti di reddito.
E' stato altresì precisato come l'invalidità subita dal danneggiato in conseguenza del danno evento lesivo si riflette infatti comunque in una riduzione o perdita della sua capacità di guadagno, da risarcirsi sotto il profilo del lucro cessante ed al riguardo è stato escluso che il danno da incapacità lavorativa generica non attenga mai alla produzione del reddito e si sostanzi sempre e comunque in una menomazione dell'integrità psicofisica risarcibile quale danno biologico, costituendo una lesione di un'attitudine o di un modo di essere del soggetto (Cass., 16/1/2013, n. 908; Cass. 12/06/2015,n.12211)”.
Venendo alla questione specifica della liquidazione del danno patrimoniale futuro di soggetti non ancora produttivi di reddito a causa della giovane (o giovanissima) età, la Corte ha ribadito che “è indubbia la validità generale (e quindi anche nelle fattispecie come quella in esame) del principio dell'onere della prova (art. 2697 e.e.) e del principio secondo cui (ex art. 1226 cod. civ.) è consentita la liquidazione equitativa del danno solo se quest'ultimo è provato (o non è contestato) nella sua esistenza e non dimostrabile, se non con grande difficoltà, nel suo preciso ammontare (Cass. n. 12545 del 08/07/2004)”.
In effetti, come sottolineato dalla Corte, “l'intenzione di applicare con rigore tali due principi ha talora condotto a rendere in sostanza la liquidabilità del danno in questione meramente teorica ma non concretamente realizzabile in pratica.
E' in realtà ovvio che è (quasi) sempre impossibile dare la prova rigorosa, precisa ed incontestabile di un danno futuro (e ciò è stato giustamente affermato da molto tempo da parte della giurisprudenza; cfr. tra le tante: Cass. n. 495 del 20/01/1987: "Per la risarcibilità del danno patrimoniale futuro è sufficiente la prova che il danno si produrrà secondo una ragionevole e fondata attendibilità, non potendosene pretendere l'assoluta certezza"); infatti, persino se il danneggiato produceva un reddito al momento del sinistro, l'evoluzione successiva della sua capacità di produrlo (ovviamente nell'eventualità che il sinistro medesimo non si fosse verificato) può essere oggetto solo di un giudizio prognostico basato su presunzioni; la più importante e basilare delle quali è certamente costituita dall'entità del reddito già prodotto.
E' palese che tale impossibilità è ancora più evidente nell'ipotesi di danneggiato che al momento del sinistro non produceva reddito, in quanto in tal caso viene meno anche quell'essenziale elemento presuntivo che è costituito dall'entità del reddito prodotto.
Ciò non significa però che tale danneggiato debba restare privato (applicando un errato "rigore" interpretativo che porterebbe in concreto ad escludere sempre la liquidabilità in questione) del risarcimento del danno patrimoniale; che ben può essere liquidato invece in base ad una corretta interpretazione della normativa in questione (in particolare in tema di presunzioni).
Si potrà discutere in ordine all'entità del presumibile reddito futuro che il minore non potrà più produrre, a causa delle menomazioni subite, in relazione agli elementi prognostici offerti, con riferimento allo specifico soggetto in questione, dalle risultanze processuali della particolare causa di cui si tratta”.
La questione diventa certamente più complessa, come si accennava, quando gli elementi probatori siano del tutto carenti.
In queste ipotesi, secondo la Corte palermitana, “nei casi in cui l'elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, si può procedere all'accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi (Cass., 7/11/2005, n. 21497; Cass n. 11750 del 15/05/2018) trattandosi di danno provato nella sua esistenza e non dimostrabile se non con grande difficoltà nel suo preciso ammontare (Cass. 30/09/2009, n. 20943)”; nel caso di specie dunque, la Corte ha ritenuto che “nella liquidazione di tale danno, il criterio di determinazione della misura del reddito previsto dalla L. 26 febbraio 1977, n. 39, art. 4 (triplo della pensione sociale), pur essendo applicabile esclusivamente nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, può essere utilizzato come è avvenuto nella specie - per l'esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno patrimoniale conseguente all'invalidità (Cass. n. 15823 del 28/07/2005)”.
Per le suesposte considerazioni, la Corte d’Appello di Palermo ha rigettato il secondo motivo dell'appello principale proposto dall'Azienda Sanitaria e, quanto alla quantificazione del danno, ha confermato la statuizione del Tribunale secondo cui il danno andava liquidato con criteri “squisitamente equitativi” (nel caso in esame, nel quale la minore che aveva contratto l'infermità sin dalla nascita non avrebbe potuto mai svolgere alcuna attività lavorativa, era davvero arduo presumere quale fosse l'attività lavorativa verso cui si sarebbe indirizzata e ciò era reso ancora più difficile dalla totale assenza di allegazioni di parte attrice che fornissero indicazioni sull'ambiente sociale della famiglia e sull'attività svolta dai genitori: per questi motivi il Tribunale ha ritenuto di fare riferimento al criterio di cui all'art. 4 d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, conv. con mod., in l. 26 febbraio 1977 n. 39, ponendo quindi a base della aestimatio una somma non inferiore al triplo dell'ammontare annuo della pensione sociale, “che andava capitalizzato adottando i coefficienti di capitalizzazione per la costituzione di una rendita vitalizia immediata di cui alla tabella allegata al R.D. n. 1403/1922 - che aveva approvato le tariffe della cassa nazionale per le assicurazioni sociali - e pertanto, all'importo sopra indicato doveva essere applicato il coefficiente di capitalizzazione relativo all'età in cui presumibilmente la minore avrebbe iniziato a lavorare; tale età, che col passare del tempo si discostava sempre più dal compimento della maggiore età, sia per la crisi occupazionale che per la tendenza sempre maggiore della popolazione giovanile a proseguire gli studi, poteva farsi coincidere con il compimento del ventiquattresimo anno di età, ottenendosi così un importo che non andava ridotto - pur trattandosi di una reddito che la minore avrebbe percepito in futuro e che dovrebbe, quindi, in astratto, subire una falcidia - in considerazione del fatto che la tabella allegata al r.d. n. 1403 cit. era stata costruita in base alle tavole di sopravvivenza della popolazione italiana calcolata in base ai censimenti del 1901 e del 1911 ed alle statistiche mortuarie del biennio 1910- 1912, mentre attualmente la durata della vita media era sensibilmente cresciuta, e, dunque, il coefficiente indicato dalla tabella rendeva oggi un capitale leggermente inferiore a quello che risulterebbe dall'applicazione di un coefficiente aggiornato”.