Anche per le rinunce e le transazioni divenute inoppugnabili per lo spirare del termine di decadenza, o perché concluse in sede protetta, opera lo statuto generale delle nullità e dell’annullabilità (ad esempio per vizi del consenso).
Una vicenda affrontata recentemente dal Tribunale di Napoli ha fornito l’occasione per evidenziare tale principio (sentenza n. 6262/2022 del 30 novembre 2022).
In quel caso, la lavoratrice aveva impugnato il verbale di conciliazione, sottoscritto, nell’ambito di una cessione di azienda, innanzi alla Direzione Territoriale del Lavoro, affermando di esservi stata costretta a fronte della prospettazione di un “male ingiusto e notevole”, quale l’impossibilità di lavorare per la Società cessionaria.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente il vizio invalidante il consenso, alla luce della documentazione prodotta che dimostrava la coercizione ad estorcere il consenso della lavoratrice alla sottoscrizione della conciliazione.
In particolare, è stato reputato particolarmente rilevante il contenuto della comunicazione trasmessa in vista della futura stipula del contratto di assunzione nella quale era stato precisato che la proposta di assunzione era subordinata all’accettazione, da parte della lavoratrice, di determinate condizioni, tra le quali la rinuncia ad azioni dirette e/o di natura solidaristica relative al rapporto intercorso e che le condizioni indicate sarebbero dovute essere trasposte in un verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c.
Dalla lettura del procedimento si evince che la vicenda, e la relativa questione, erano già note al Giudice, coinvolgendo anche altri lavoratori che, del pari, erano stati costretti a firmare un verbale di conciliazione per la necessità di mantenere il proprio posto di lavoro. Non a caso, il Tribunale di Napoli, nella pronuncia citata, ha riportato alcuni passaggi di una sentenza resa dalla Corte in Appello laddove aveva escluso che potesse essere posta in dubbio l’idoneità della minaccia – contenuta in una lettera analoga a quella sopra richiamata - ad indurre alla sottoscrizione della conciliazione, dal momento che alla lavoratrice era stata posta l’alternativa tra la perdita definitiva del lavoro e la possibilità di continuare anche se in spregio delle tutele previste dall’ordinamento nel caso di cessione d’azienda.
Di fronte a tale quadro fattuale, il Giudice ha applicato il principio di diritto secondo il quale le conciliazioni concluse in sede protetta in materia di diritti del lavoratore garantiti da disposizioni inderogabili di legge si sottraggono all’impugnazione prevista dall’art. 2113 c.c., ma non ai mezzi ordinariamente concessi alle parti di un contratto per farne valere i vizi che possono inficiarlo, compresi quelli incidenti sulla formazione del consenso (in questo senso già Cass. n. 12929/1991).
Il Tribunale è così giunto ad annullare il verbale di conciliazione, rigettando le eccezioni sollevate dalle Società, con particolare riferimento alla decadenza ex art. 2113 c.c.
Difatti, secondo il Giudice, in presenza di un vizio di nullità o di una causa di annullabilità – per incapacità di intendere o di volere o per vizio del consenso - è irrilevante il fatto che la rinunzia o la transazione sia stata stipulata in una delle sedi protette previste dall’art. 2113 ultimo comma c.c. In altre parole, tale circostanza non sana la causa di invalidità e, pertanto, la parte interessata può sempre – ovviamente nei limiti previsti dalla più generale disciplina civilistica – impugnare la rinunzia o la transazione.
In relazione all’assistenza sindacale nell’ambito di una transazione ex art. 2113 c.c., si veda, sempre su questo sito, L’assistenza sindacale nell’ambito di una transazione ex art. 2113 c.c. deve essere effettiva