La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da illecito endofamiliare decorre solo dal momento dell’effettiva cessazione della condotta contraria ai doveri di genitore e comunque dal momento della concreta percepibilità del danno da parte della vittima.
Inoltre, la cessazione dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti, ai fini del decorso della prescrizione, non può prescindere dall’accertamento dell'assolvimento da parte del genitore dell'obbligo di mantenimento, dato che l'adempimento di tale dovere costituisce la condizione imprescindibile per lo sviluppo personale e professionale del figlio maggiorenne.
Questi i principi affermati dalla Cassazione, con la sentenza n. 9930 del 13 aprile 2023.
La vicenda decisa dal Supremo Collegio trae origine dalla domanda risarcitoria proposta dal figlio nei confronti del padre adottivo per avere questi tenuto nei suoi confronti comportamenti contrari agli obblighi genitoriali, di mantenimento, istruzione ed educazione, così provocandogli un forte disagio personale e sociale, di cui ha chiesto il ristoro.
Come rilevato dalla sentenza in esame “totale disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti del figlio integra, da un lato, la violazione degli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione, e determina, dall'altro, un'inevitabile e insanabile ferita di quei fondamentali diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella Carta costituzionale (in particolare, negli artt. 2 e 30) e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un livello assoluto di riconoscimento”. In particolare, l’abbandono parentale consiste “nel mancato adempimento di tutti gli obblighi che il genitore assume nei confronti della prole: una completa e costante assenza di un genitore nella vita filiale, dunque, è ritenuto un indiscutibile esempio di illecito omissivo di carattere permanente”.
La Corte territoriale aveva ritenuto estinto per prescrizione sia il diritto al risarcimento del danno da illecito endofamiliare che il diritto al mantenimento.
In particolare, i giudici del merito avevano preso le mosse dalla qualificazione dell’illecito endofamiliare in termini di illecito permanente, con riguardo al quale – secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. SS.UU., 14 novembre 2011, n. 23763) – “protraendosi la verificazione dell'evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica”.
Pertanto, a giudizio della Corte territoriale, il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione andava individuato nel momento della cessazione del rapporto tra padre e figlio ovvero del raggiungimento da parte di quest’ultimo dell’autosufficienza economica ovvero del mancato svolgimento di attività economica per negligenza imputabile allo stesso figlio (in questi termini, Cass. 24 gennaio 2018, n. 1744).
La sentenza in commento muove, invece, dall’assunto che “l’illecito endofamiliare si caratterizza per una serie di omissioni protrattesi per un apprezzabile lasso di tempo, suscettibile di essere interrotta in ogni momento soltanto per effetto di una radicale modificazione del proprio atteggiamento genitoriale, e cioè solo con l'adempimento degli obblighi dovuti alla prole”. Di conseguenza, “finché la situazione di assenza, disinteresse, abbandono - integrata, come nella specie, dal consapevole e costante rifiuto di adempiere ai propri doveri di padre – non viene rimossa, l'illecito si perpetua nel tempo, restando attuale ed eguale a sé stesso, in ragione del fatto che il comportamento produttivo di danno non può ritenersi commesso unico actu”.
Tale ricostruzione discenderebbe, secondo quanto precisato dalla Corte, dalla configurazione dell’illecito permanente quale “fattispecie complessa ed a formazione progressiva, nel senso che il protrarsi dell'offesa proviene da un comportamento volontario dell'autore che prosegue senza interruzione, per cui egli è in grado in qualsiasi momento di porre fine a tale situazione dannosa” (cfr., di recente, Cass. 01/03/2023, n. 6177).
Su queste premesse, la Cassazione ribalta la conclusione della sentenza di merito nella parte in cui ha fatto coincidere la cessazione del comportamento illecito non con il venir meno dell’abbandono per effetto del recupero del rapporto parentale (o perché il genitore non fosse in grado di provvedere all’assistenza del figlio per causa a lui non imputabile) ma con la materiale cessazione del rapporto ovvero con il raggiungimento dell’autosufficienza del figlio. Sennonché, sarebbe contraddittorio con i caratteri dell’illecito permanente, attribuire alla persistenza della condotta omissiva del padre (che ha continuato a non accogliere il figlio e non lo ha nemmeno informato della morte della madre) il valore di atto di cessazione della condotta illecita, e dunque di dies a quo del termine prescrizionale.
Sotto altro profilo, a giudizio della sentenza in commento, il giudice del merito, ai fini della determinazione dies a quo dell’azione risarcitoria, non deve limitarsi a individuare il momento di cessazione dell’illecito endofamiliare (comunque, erroneamente, fatto coincidere dalla Corte territoriale con l’interruzione dei rapporti fra le parti), ma è chiamato ad indagare se la vittima dell’abbandono “fosse pervenuta ad una reale condizione emotiva di consapevole esercitabilità del diritto risarcitorio come sopra illustrato”.
Così opinando la sentenza in esame ha ritenuto di dare piena applicazione al più recente insegnamento del Supremo Collegio (ordinanza Cass., 10 giugno 2020, n. 11097, ed ancora, negli stessi termini, Cass., 6 ottobre 2021, n. 27139 e Cass., 28 novembre 2022, n. 34950), secondo cui “L'abbandono genitoriale, quale costante omissione di tutti gli obblighi che il genitore ha nei confronti della prole, integra un illecito endofamiliare permanente, cosicché la peculiare natura di tale danno, che investe la progressiva formazione della personalità del danneggiato condizionando le sue capacità di comprensione e autodifesa, incide sul 'dies a quo' della prescrizione, da individuarsi nel momento in cui la vittima è pervenuta alla concreta possibilità di esercitare la pretesa risarcitoria”. Tale illecito, infatti, “produce anche un danno non patrimoniale lato sensu psicologico-esistenziale, ovvero che investe direttamente la progressiva formazione della personalità del danneggiato, condizionando così pure lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa”.
Con riguardo, invece, alla diversa questione della prescrizione al diritto al mantenimento e alla educazione del figlio, benché maggiorenne, la sentenza in commento richiama l’orientamento del Supremo Collegio, secondo cui “ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all'assegnazione della casa coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l'assegnazione dell'immobile, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni” (Cass., 14/08/2020, n. 17183).
Facendo applicazione di tali principi, la sentenza in commento conclude che la valutazione della persistenza dell’obbligo di mantenimento “pur dovendo riguardare senz'altro la complessiva condotta tenuta da parte dell'avente diritto dal momento del raggiungimento della maggiore età in poi, non può prescindere dal pregiudiziale accertamento circa l'assolvimento, da parte del genitore gravato, dell'obbligo di mantenimento. Ciò in quando l'adempimento di tale dovere costituisce la condizione imprescindibile per lo sviluppo personale e professionale del figlio maggiorenne”.
Nel caso di specie, il Supremo Collegio ha ritenuto completamente omesso tale accertamento da parte dei giudici di merito che hanno invece ritenuto sufficiente il dato materiale del trasferimento della residenza del figlio, senza considerare se quest’ultimo fosse stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente.