Il patto di non concorrenza è nullo ove sia previsto che, in caso di mutamento delle mansioni, il datore non sia più tenuto al pagamento del compenso, pur restando in vigore gli obblighi a carico del lavoratore.
Questo uno degli snodi motivazionali a mezzo dei quali la Corte di Cassazione, con ordinanza del 19 aprile 2024, n. 10679 ha dichiarato la nullità del patto di non concorrenza in controversia.
In particolare, e a quanto si evince dalla motivazione, nella fattispecie il patto prevedeva un compenso, a fronte dell’obbligo di non concorrenza assunto da un consulente finanziario, pari a € 5.000,00, per tre anni, con la precisazione che “nel caso di mutamento di mansioni la banca avrebbe cessato di corrispondere il compenso e le obbligazioni derivanti dal patto di non concorrenza sarebbero cessati decorsi dodici mesi dall’assegnazione alle nuove mansioni”.
La Corte, confermando sul punto la sentenza di merito, rinviene la ragione di nullità della clausola sopra trascritta sulla base della considerazione che “il diritto al compenso resta esposto all’unilaterale esercizio dello ius variandi” e, come tale, risulterebbe indeterminato al momento della stipula del patto, come invece richiesto dall’art. 2125 c.c.
L’ordinanza rievoca quindi i principi, ancora di recente affermati dalla Cassazione al cospetto della clausola attributiva del diritto di recesso dal patto in favore del datore di lavoro, secondo cui “la previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all'arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative, sicché non può essere attribuito al datore di lavoro il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di caducare l'attribuzione patrimoniale pattuita” (il riferimento è a Cass. n. 212/2013 e Cass. n. 23723/2021, per un commento alla quale si rimanda alla scheda pubblicata sul nostro sito: Il recesso dal patto di non concorrenza è illegittimo anche in costanza di rapporto; ma si veda anche Cass. n. 10535/20, sulla quale già ci eravamo soffermati: Il diritto di recesso in favore del datore di lavoro nel patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c.)
Occorre subito rilevare che la statuizione in esame appare in effetti destinata ad avere un impatto limitato nell’ampio contenzioso attinente ai requisiti di validità del patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c.
Infatti, la clausola esaminata dall’ordinanza in commento presenta una conformazione peculiare, invero non diffusa nella prassi, ove sono più spesso previste clausole che prevedono la risoluzione del patto ovvero il diritto unilaterale del recesso in favore del datore di lavoro, in caso di mutamento delle mansioni, senza permanenza delle obbligazioni a carico del (solo) lavoratore. Con riguardo a tali previsioni apparire più difficile sostenere l’indeterminatezza di un corrispettivo per un vincolo concorrenziale che non sarebbe nemmeno sorto, in pendenza del rapporto di lavoro, con liberazione immediata del lavoratore da qualsiasi vincolo.
Deve poi rilevarsi che la Corte di Cassazione (Ord., 01/03/2021, n. 5540), in un ancora recente precedente, ha ricondotto la previsione del corrispettivo di cui all’art. 2125 c.c. al paradigma dell’art. 1346 c.c., dunque ravvisando la nullità del patto di non concorrenza solo in caso di indeterminabilità (e non indeterminatezza).
Sotto un diverso profilo, l’ordinanza in esame ha confermato la sentenza d’appello nella parte in cui aveva dichiarato la nullità del patto di non controversia dedotto in giudizio in ragione della indeterminatezza della delimitazione territoriale, in ragione della estensione del vincolo, oltre che alla Regione individuata al momento della conclusione dell’accordo, alla diversa regione di assegnazione del lavoratore all’atto della cessazione del rapporto di lavoro.
Si deve rilevare, in primo luogo, come tale conclusione si ponga in contrasto con un precedente orientamento della medesima Corte di Cassazione, ed in particolare con quanto affermato, ancora di recente, da Cass., 28/04/2022 n. 13358, la quale ha ritenuto una previsione di identico contenuto, “intrinsecamente idonea a consentire la determinazione o determinabilità dell'ambito territoriale di efficacia del patto di non concorrenza”.
In effetti, al momento della cessazione del rapporto, il dipendente era perfettamente a conoscenza di quali fossero le regioni coperte dal patto e, pertanto, nessuna questione di determinatezza dell’ambito territoriale avrebbe potuto porsi. Né è possibile desumere dall’art. 2125 c.c. che la determinazione del luogo oggetto del vincolo debba essere cristallizzata al momento della stipula del patto.
E d’altronde, sul piano della ratio del requisito secondo il quale il vincolo deve essere contenuto “entro determinati limiti di tempo, di oggetto e di luogo”, la stessa si ricollega, come è evidente, alla necessità di contenere, appunto, il sacrificio alla libertà negoziale del lavoratore: si tratta, pertanto, di una ratio che è soddisfatta dalla clausola elastica in esame. Essa, infatti, non estende il vincolo sia alla regione di originaria assegnazione sia a quella di successivo, eventuale trasferimento del lavoratore, ma ‘sposta’, per così dire, l’incidenza territoriale del vincolo da una regione all’altra, per evitare l’esito assurdo, del quale si è appena fatto cenno, di un patto di non concorrenza riferito ad una zona del territorio con riferimento alla quale il lavoratore non aveva più svolto la propria attività lavorativa nel periodo finale del rapporto.
È poi opinabile che la nullità di una previsione del tipo di quella decisa dall’ordinanza in commento discenda dal fatto che l’ambito territoriale del patto dipenda in questo caso dall’esercizio di un potere unilaterale datoriale. Infatti, l’esercizio del diritto al trasferimento del lavoratore è comunque vincolato da rigorosi parametri normativi che ne consentono il controllo di legittimità (art. 2103 c.c.), in sede giudiziaria, con onere della prova a carico del datore di lavoro ove venga affermata dal lavoratore l’illegittimità sostanziale del provvedimento. Una situazione del tutto diversa da quella di un’eventuale arbitraria determinazione rimessa al datore di lavoro.
L’ordinanza ha poi condiviso le statuizioni a mezzo delle quali la Corte territoriale ha ritenuto la clausola di estensione territoriale del vincolo in caso di trasferimento, essenziale, con conseguente nullità dell’intero patto di non concorrenza. Sul punto, a giudizio del Supremo Collegio, la disciplina dell’art. 2125 c.c. è speciale e “esclude quella della nullità parziale ex Art. 1419 c.c., atteso che il legislatore ha compito a monte la sua valutazione di essenzialità di quelle clausole sul piano funzionale dello specifico patto: l’indeterminatezza del corrispettivo, così come quella dei limiti di luogo del vincolo, determina la nullità dell’intero patto, a prescindere da ogni valutazione di essenzialità in concreto della singola clausola”.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (su tutte, Cass, Sez. Un. n. 41994/21), proprio per la natura eccezionale della propagazione della nullità, l’oggetto della prova – con onere a carico della parte che intenda conseguire l’effetto di estensione della nullità – è relativo al fatto che il contratto non sarebbe stato stipulato senza quella clausola.
Nell’argomentare come sopra, l’ordinanza in commento, discostandosi dai principi da ultimo richiamati, svolge in astratto una valutazione di ‘essenzialità’ che dovrebbe essere invece operata in concreto, avuto riguardo allo specifico patto oggetto di controversia e alla clausola ‘elastica’.
In questa prospettiva deve considerarsi che la valutazione di essenzialità operata dal legislatore si riferisce alla previsione di un limite territoriale del vincolo concorrenziale. E qui – come nella generalità dei patti diffusi nella prassi del settore - tale limite appariva ben determinato, sin dalla sottoscrizione del patto, per effetto della clausola a mezzo della quale era stato individuato l’ambito territoriale dell’obbligo concorrenziale nella Regione di assegnazione del lavoratore al momento della sottoscrizione del patto. E tale previsione appare sufficiente a soddisfare il requisito di determinatezza richiesto dall’art. 2125 c.c., anche ove venisse meno la clausola ‘elastica’ di estensione dell’ambito spaziale in caso di mutamento della sede di lavoro.
Le conclusioni cui è pervenuta la Cassazione nel provvedimento in esame non appaiono, dunque, destinate a sopire il dibattito, testimoniato anche dai contrastanti precedenti della stessa Corte, in merito alla validità delle clausole, in uso nella prassi (in particolare nell’ambito di patti di non concorrenza sottoscritti dai consulenti finanziari), di delimitazione dell’estensione territoriale del vincolo concorrenziale. Non fosse altro in quanto le stesse sono affidate ad un passaggio argomentativo forse troppo rapido, anche in ragione, evidentemente, dei limiti del sindacato rimesso al Supremo Collegio.
Non resta che attendere i prossimi interventi dei giudici di legittimità, nell’auspicio che possano fare chiarezza sul punto, anche avuto riguardo alla ratio sottesa agli stringenti limiti, fissati dall’art. 2125 c.c., del patto di non concorrenza post contrattuale.