La conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell'art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest'ultima essere annoverata tra le sedi protette mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all'assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore.
Questo il principio affermato dalla Cassazione, con ordinanza del 15 aprile 2024, n. 10065 (in calce).
Il Supremo Collegio è stato chiamato a valutare la legittimità, ai sensi degli artt. 411 c.p.c. nonché degli artt. 2103 e 2113, 4° co, c.c., della conciliazione formalizzata tra datore di lavoro e lavoratore presso i locali dell’azienda e non presso la sede sindacale.
La Corte è stata, in particolare, sollecitata a stabilire se per “sede sindacale”, di cui all’art. 411 c.p.c., debba intendersi il “luogo fisico-topografico” ovvero il “luogo virtuale di protezione del lavoratore”, individuato in relazione alla effettiva assistenza, in sede di conciliazione, del rappresentante sindacale.
L’ordinanza in commento, riportato il contenuto degli artt. 2103 e 2113 c.c., ribadisce – nel solco della consolidata giurisprudenza della Cassazione - che “Il legislatore ha ritenuto necessaria una forma peculiare di "protezione" del lavoratore, realizzata attraverso la previsione dell'invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l'introduzione di un termine di decadenza per l'impugnativa, così da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell'atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo” (si vedano, tra le più recenti, Cass. n. 25796/2023).
Tale forma di protezione è ritenuta non necessaria “in presenza di adeguate garanzie costituite dall'intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi cd. Protette” individuate dall’art. 2113, ult. co., c.c. nella sede giudiziale (nell’ambito di una causa già incardinata dinanzi ad un dato giudice, cfr. art. 185 c.p.c.), nella commissione di conciliazione istituita presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 c.p.c.), nelle sedi di certificazione dei contratti (art. 31, co. 13, L. n. 183/2010), nei collegi di conciliazione ed arbitrato irrituali (art. 412-quater c.p.c.), nella commissione di conciliazione istituita presso la sede sindacale (412-ter c.p.c.).
In questa prospettiva, le rinunzie e le transazioni sottoscritte presso le c.d. “sedi protette” sono valide perché queste sedi – ontologicamente – “offrono maggiore garanzia e protezione in ordine alla presenza di volontà effettiva in capo alla parte debole di aderire al testo dell’accordo, cosicché la medesima, scevra da pressioni e/o raggiri, sia in grado di vagliare liberamente i benefici eventualmente conseguibili alla stipula e, dunque, prestare il proprio sentito consenso” (così, nella giurisprudenza di merito, v. Trib Bergamo, 24 gennaio 2024, n. 59, pubblicata sul nostro sito: Si può impugnare la conciliazione sottoscritta in una sede sindacale “protetta”?).
Come, ancora di recente, chiarito dal Supremo Collegio “l’intervento di un organo pubblico giustifica l’ammissibilità di qualunque oggetto della conciliazione giudiziale”. Sono quindi valide le conciliazioni aventi ad oggetto diritti indisponibili, ove sottoscritti nelle sedi individuate dall’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. Quest’ultima disposizione, infatti, fa salve “quelle conciliazione nelle quali la posizione del lavoratore viene ad essere adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto dell’intervento in funzione garantista del terzo (autorità giudiziaria, amministrativa o sindacale) diretto al superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del consenso da parte del lavoratore, essendo la posizione di quest’ultimo adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro” (in questi termini, Cass., 4 aprile 2024, n. 8898, commentata sul nostro sito da Roberto Lama, La conciliazione giudiziale avente ad oggetto diritto indisponibili è soggetta ad impugnazione?).
La Corte, nell’ordinanza in esame, sviluppando questi rilievi,precisa quindi che, nel sistema normativo risultante dalle disposizioni di cui sopra, “la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l'assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere”.
Il Supremo Collegio, su queste premesse, conclude che “I luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, sia perché direttamente collegati all'organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all'influenza della controparte datoriale”.
Pertanto, è nullo l’accordo sottoscritto dalle parti, alla presenza di un rappresentante, presso i locali della società.