Nel contratto di agenzia all'agente va riconosciuto il diritto alla provvigione per tutti i contratti conclusi per effetto del suo intervento (art. 1748 c.c.). Presupposto necessario per l'applicazione di tale norma è che sia stato concluso un affare. Non spetta all'agente la provvigione sulla transazione conclusa tra preponente e cliente, benché apporti un risultato utile al preponente, giacché non è equiparabile alla conclusione di un singolo affare. Tuttavia, se la transazione ha ad oggetto la risoluzione consensuale dei contratti conclusi tra preponente e terzo, spetta all'agente la provvigione ex art. 1748, comma 5, c.c.
Questi sono, in sintesi, i chiarimenti forniti recentemente dalla Corte di Cassazione in ordine alla portata di tali disposizioni (Cass. civ., ord., 10 maggio 2024, n. 12816).
La vicenda
L’agente aveva convenuto in giudizio la preponente al fine di ottenere l’accertamento dell’inadempimento agli obblighi di cui all’art. 1749 c.c. ed ottenere la condanna al pagamento della provvigione ex art. 1748 c.c. per i contratti conclusi dalla preponente con la società che era stata dal medesimo procurata e per quelli non adempiuti ai sensi dell’art. 1748, 5° co. c.c., alla luce della transazione formalizzata tra la preponente e la società cliente.
Il diritto alla provvigione ex art. 1748, co. 1 c.c.
In primo luogo, la Cassazione ha escluso il diritto dell’agente alla provvigione sulla transazione conclusa, benché avesse apportato un risultato utile alla preponente.
La Corte ha ricordato che, ai sensi dell'art. 1748 co.1 c.c. “la provvigione spetta all'agente per gli affari conclusi durante la vigenza del contratto; il presupposto della conclusione dell'affare è sempre necessario e soltanto a fronte della sua esistenza si pone la questione successiva dell'esecuzione e dell'esito dell'affare (nella fattispecie la sentenza impugnata ha accertato anche che in base alle previsioni contrattuali il diritto alla provvigione maturava "sugli affari diretti e indiretti andati a buon fine")”. Quindi, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, secondo la Suprema Corte, non sarebbe sufficiente il conseguimento di un risultato utile dalla transazione conclusa con il cliente che era stato procurato dall'agente (costituito, nella vicenda in esame, dall'importo riconosciuto al preponente a titolo transattivo) a far nascere il diritto dell’agente alla provvigione su quell’importo.
In altre parole, il diritto alla provvigione consegue (solo) alla conclusione ed esecuzione dei singoli affari.
Il diritto alla provvigione ex art. 1748, 5° co. c.c.
La ricorrente aveva lamentato altresì il rigetto del motivo di appello incidentale con il quale aveva chiesto il riconoscimento delle provvigioni ai sensi dell'art. 1748, 5° c.c.
Secondo l’agente, la transazione posta alla base della domanda avrebbe dovuto essere configurata quale transazione diretta a non dare ulteriore esecuzione ai contratti stipulati dalle parti, ed essere equiparata all'accordo di cui all'art. 1748, 5° co. c.c.
La Corte d'appello aveva rifiutato questa lettura qualificando la transazione come novativa e ritenendo che si trattasse di un nuovo regolamento di interessi posto in sostituzione di quello precedente.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’agente affermando che la pronuncia di appello si sarebbe concretizzata nella violazione dell'art. 1748 co. 5 c.c. lamentata in quanto, al fine del riconoscimento della provvigione ridotta ivi prevista, “la disposizione richiede esclusivamente che il preponente e il terzo si accordino per non dare esecuzione in tutto o in parte al contratto”. Pertanto, rientrerebbe nello schema legale anche l'ipotesi in questione, nella quale il preponente e il terzo hanno concluso una transazione con la quale hanno sciolto consensualmente i contratti che prevedevano forniture periodiche, in forza delle quali sarebbero spettate all'agente provvigioni. L'affermazione della sentenza, secondo la quale la transazione dava luogo a un nuovo regolamento di interessi, che evoca il concetto che la transazione fosse novativa, non giustificherebbe – secondo la Corte - la mancata applicazione dell'art. 1748 co.5 c.c.
Dunque, a prescindere del carattere novativo o meno della transazione, quello che rileverebbe è che “si trattava di contratto con il quale il preponente e il terzo si sono accordati per non dare esecuzione ai contratti in forza dei quali sarebbe sorto il diritto dell'agente alla provvigione”. Il quinto comma dell'art. 1748 c.c. – ha precisato ulteriormente la Corte - non pone limitazioni in ordine al contenuto dell’accordo ivi previsto, ma richiede esclusivamente che si tratti di accordo il cui contenuto comporti che non sia data esecuzione in tutto o in parte al contratto; infatti, “è nel caso in cui il contratto non abbia in tutto o in parte esecuzione, a prescindere dalle modalità con il quale il preponente e il terzo raggiungano questo scopo, che deve essere tutelato il diritto dell'agente alla provvigione ridotta previsto dalla disposizione”.
La conclusione
La sentenza impugnata è stata cassata sul punto, con rinvio alla Corte in diversa composizione che deciderà facendo applicazione del seguente principio di diritto: “in ogni caso in cui il preponente e il cliente acquisito dall'agente concludano transazione che comporti che non abbiano ulteriore esecuzione i contratti che avrebbero comportato vendite periodiche in forza delle quali all'agente sarebbe spettata la provvigione, all'agente spetta provvigione ai sensi dell'art. 1748 co. 5 cod. civ. per la parte non eseguita dei contratti, nella misura determinata dagli usi o in mancanza secondo equità”.