Il controllo delle agenzie investigative deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero adempimento o inadempimento all'obbligazione contrattuale. Il controllo dell'agenzia, infatti, resta giustificato solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione.
La risposta è stata data da una recente pronuncia nella quale la Corte di Cassazione, prendendo le mosse dall’interpretazione degli artt. 2 e 3 della l. 300/1970 ha precisato quali siano i confini del potere datoriale di controllo del lavoratore mediante l’attività investigativa (ord. 20 giugno 2024, n. 17004).
La Corte ha sottolineato che la disposizione di cui all'art. 3 della legge n. 300 del 1970 - secondo la quale i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa devono essere comunicati ai lavoratori interessati – non ha fatto venire meno il potere dell'imprenditore di controllare, direttamente o mediante l'organizzazione gerarchica che a lui fa capo, l'adempimento delle prestazioni e, quindi, di accertare eventuali mancanze specifiche dei lavoratori, già commesse o in corso di esecuzione. Questo - ha precisato la Cassazione - indipendentemente dalle modalità con le quali sia stato compiuto il controllo, il quale può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi osti il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione dei rapporti, soprattutto quando siffatta modalità trovi giustificazione nella pregressa condotta non palesemente inadempiente dei dipendenti (in questo senso già Cass. n. 2188 del 2020).
Tuttavia, l'adempimento della prestazione può essere legittimamente controllato dall'imprenditore, anche occultamente, sempre che ciò avvenga “direttamente o mediante l'organizzazione gerarchica che a lui fa capo”.
Invece, il controllo di terzi, sia quello di guardie giurate sia quello di addetti di un'agenzia investigativa– ha evidenziato la Suprema Corte - non può riguardare, in nessun caso, né l'adempimento, né l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, “essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come l'adempimento, all'attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza” (cfr. Cass. n. 9167 del 2003; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 21621 del 2018; Cass. n. 25287 del 2022).
Nel solco di quanto già affermato nelle precedenti pronunce citate, l’ordinanza ha sottolineato che il controllo delle agenzie investigative “deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducigli al mero inadempimento dell'obbligazione contrattuale”. Da qui la conseguenza secondo la quale “resta giustificato l'intervento in questione solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. n. 3590 del 2011; Cass. n. 15867 del 2017); ad esempio, è costantemente ritenuto legittimo il controllo tramite investigatori che non abbia ad oggetto l'adempimento della prestazione lavorativa ma "sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, come proprio nel caso di controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge n. 104 del 1992" (v. Cass. n. 4984 del 2014; Cass. 6 maggio 2016, n. 9217; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 4670 del 2019; da ultimo, Cass. n. 6468 del 2024)”.
La Corte di Cassazione ha poi rammentato, in via generale, che, anche in presenza di un sospetto di attività illecita, il datore è comunque chiamato a rispettare la disciplina a tutela della riservatezza del lavoratore. A questo riguardo, viene in rilievo, in particolare, l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo,come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che deve essere rispettato al fine di “assicurare un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, con un contemperamento che non può prescindere dalle circostanze del caso concreto”.