Nell’espressione “fatto colposo” rientra il fumo attivo che costituisce un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di soggetto dotato di capacità di agire. Il tabagismo di un lavoratore deceduto per l’esposizione all’amianto durante l’attività lavorativa non è idoneo ad interrompere il nesso causale con l’insorgenza della patologia, ma il risarcimento del danno deve essere proporzionalmente ridotto in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale del comportamento della vittima.
La Cassazione (ord., 24 ottobre 2024, n. 27572) ha così concluso che la quantificazione del risarcimento del danno da parte del datore deve tenere in considerazione il tabagismo del lavoratore.
La Corte d’Appello, in accoglimento dell’impugnazione degli eredi del lavoratore, aveva condannato la Società datrice di lavoro al pagamento del risarcimento dei danni patiti in conseguenza del decesso del loro congiunto per neoplasia polmonare. Il risarcimento era stato riconosciuto per la responsabilità della datrice di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., nell'insorgenza della patologia tumorale che aveva cagionato il decesso del dante causa; questi aveva lavorato per oltre vent’anni con mansioni che avevano comportato l’ esposizione a sostanze nocive sul luogo di lavoro (amianto). La Società aveva proposto ricorso per cassazione lamentando, tra le altre cose, la mancata considerazione dell'efficienza causale del fatto colposo (abitudine al fumo di sigaretta) del soggetto leso, con conseguenze sulla determinazione dell'entità del risarcimento.
In primo luogo, la pronuncia impugnata è stata reputata conforme alla giurisprudenza di legittimità che, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, applica la regola contenuta nell'art. 41 c.p.: il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l'evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni (In argomento si veda anche Consapevolezza della nocività delle sostanze e responsabilità del datore per mancata adozione di adeguate misure di prevenzione).
In senso analogo, il giudice di appello, secondo la Corte, aveva rispettato il principio secondo cui, nell’ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può essere data anche in termini di probabilità sulla base della particolarità della fattispecie; è, tuttavia, necessario acquisire il dato della cd. probabilità qualificata, da verificarsi attraverso ulteriori elementi, come ad esempio i dati epidemiologici, idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale.
La Suprema Corte ha poi osservato che la sentenza impugnata aveva riconosciuto rilevanza concausale al tabagismo, ma non tale da interrompere il nesso (con)causale dell'esposizione sul luogo di lavoro a sostanze nocive della patologia tumorale a origine multifattoriale.
Secondo la Cassazione, la Corte di merito aveva sovrapposto il profilo della causalità del danno (governata dal principio di equivalenza delle condizioni) con quello della sua quantificazione (governata dai principi di personalizzazione e di responsabilità).
Tenuto conto del tabagismo del lavoratore deceduto, come emerso dalla CTU, la sentenza gravata – si legge nella pronuncia - non ha correttamente applicato l’art. 1227 c.c., atteso che “in caso di concorso della condotta colposa del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso, l'espressione "fatto colposo" adoperata nell'art. 1227, comma 1, c.c., non va intesa come riferita all'elemento psicologico della colpa, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive o dettata dalla comune prudenza”. E, nell’espressione “fatto colposo”, rientra il fumo attivo, che costituisce un atto di volizione libero, consapevole e autonomo di soggetto dotato di capacità di agire.
Ne consegue che il risarcimento del danno deve essere proporzionalmente ridotto in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale del comportamento della vittima, con la precisazione che l’art. 1227, comma 1, c.c. è applicabile in relazione sia al danno iure proprio, sia al danno iure hereditatis.
La sentenza è stata cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello competente.