La domanda di un lavoratore che chiedeva, tra le altre cose, la condanna della propria datrice di lavoro al ristoro dei pregiudizi alla dignità lavorativa, all’onore ed alla sfera morale derivanti dal trattamento mortificante subito è stata accolta dal Tribunale di Tivoli (sentenza n. 1442 dell’8 ottobre 2024).
La causa era stata istruita mediante l’escussione dei testimoni e l’espletamento dell’interrogatorio formale della convenuta (andato, invero, deserto).
Da quanto si legge nella pronuncia, dalle dichiarazioni dei testi era emerso che effettivamente il ricorrente, durante l’esecuzione dell’attività lavorativa di bracciante agricolo (oltretutto senza alcuna regolarizzazione del rapporto), era costantemente insultato, anche con offese a sfondo razziale, ospitato in un alloggio poco consono rispetto alle proprie esigenze abitative (un container collocato a ridosso dei campi condiviso con altri braccianti) e che, allorquando riceveva le offese e gli insulti provenienti dal datore, si sentiva mortificato e aveva delle crisi di pianto.
Secondo il Giudice, si sarebbe trattato di comportamenti palesemente spregiativi della persona rilevanti sul piano del diritto all’integrità psicofisica e che, senza necessità di ulteriori allegazioni, possono configurare, per la loro palese offensività, un diritto al risarcimento del danno da determinarsi in via equitativa.
In questo senso, la pronuncia ha richiamato la recente Cass. n. 25114 del 2024, secondo cui “in presenza di comportamenti offensivi della persona, consistenti in condotte di emarginazione lavorativa accompagnate da insulti, il lavoratore ha diritto, nella misura congrua rispetto al caso di specie ed equitativamente determinata, al risarcimento del danno alla dignità personale, senza necessità di ulteriori allegazioni quanto ai profili pregiudizievoli di tali condotte ed a prescindere dal ricorrere di altri danni”.
Nel caso di specie, tenuto conto del contesto in cui erano avvenute le offese, della sistematicità e gratuità delle stesse, del fatto che l’insulto proveniva dal titolare della ditta, peraltro nell’ambito di un rapporto non regolarizzato, il Giudice ha ritenuto equo fissare un risarcimento del danno alla dignità personale commisurato alla somma di € 1.000,00 per ogni mese di durata del rapporto, per un totale di € 7.000,00.