Le domande derivanti da un rapporto di lavoro possono essere proposte al di fuori della procedura di verificazione dello stato passivo?

È da escludere una generalizzata possibilità - al di fuori di una casistica eccezionale o di altre ipotesi in cui emerga un interesse specifico altrimenti non tutelabile - di convenire le procedure in via di accertamento di diritti in sede ordinaria.

La Corte di Cassazione (sentenza 28 ottobre 2024, n. 27796) ha chiarito quali siano i confini entro i quali si può agire nei confronti di un ente in liquidazione o in fallimento.

La Corte ha dapprima sottolineato che, rispetto ai profili lavoristici, deve distinguersi tra domande del lavoratore che mirano a pronunce di mero accertamento oppure costitutive e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro (anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale), in quanto per le prime va riconosciuta la perdurante competenza del giudice del lavoro, mentre per le seconde opera la regola della improcedibilità o improseguibilità della domanda.

Premessa la sovrapponibilità delle discipline previste per la liquidazione coatta amministrativa di cui al D.Lgs. n. 267 del 1942, per il fallimento, e per la liquidazione giudiziale, la Cassazione ha ritenuto di dover chiarire i termini entro cui sono ammesse azioni di accertamento in forme diverse dalla verificazione del passivo.

Ha così ricordato che le azioni aventi ad oggetto il riconoscimento di diritti pecuniari possono essere iniziate o condotte in sede esterna al concorso - pur dovendosi coordinare comunque con corrispondenti insinuazione al passivo necessarie per partecipare ai riparti - solo in casi eccezionali, imposti dalle norme (art. 88 D.P.R. 602/1973 per i crediti tributari; art. 96, co. 2, n. 3 L.Fall. per i diritti già oggetto di sentenza in sede di cognizione ordinaria al momento di apertura del concorso, da intendersi per esteso alla L.c.a.: Cass. 22 settembre 2023, n. 27163) o inevitabili per struttura dell'ordinamento (crediti soggetti ad altra giurisdizione). Ciò in ragione primariamente di esigenze di contraddittorio tra i creditori, regolato attraverso il sistema delle contestazioni ed impugnazioni dei crediti altrui in sede di verificazione endoconcorsuale.

In particolare, le azioni di mero accertamento o costitutive sono reputate ammissibili se non funzionali alla partecipazione al concorso. Tuttavia – afferma la Corte - il punto va chiarito anche a fronte dell’assunto della Corte territoriale in ordine ad una generalizzata possibilità di accesso alla tutela di accertamento in sede di cognizione ordinaria pur in pendenza di liquidazione.

Ecco allora che la Cassazione precisa che qualunque azione contro una delle procedure “ha riflessi sul concorso, perché quanto meno comporta, oltre all'impegno processuale, rischi sul piano delle spese di lite che sono destinate in caso di soccombenza a dover essere considerate, in via tra l'altro prededucibile e dunque con preferenza sugli altri creditori”. Ma poi, in generale, “ogni accertamento patrimoniale o pronuncia di natura costitutiva, imponendo alle procedure di riconoscere diritti di terzi, ha riflessi patrimoniali e comporta pertanto conseguenze rispetto al concorso, dovendosi ritenere che di regola, se vi è interesse di chi agisce ad una certa pronuncia, essa inevitabilmente abbia incidenza patrimoniale sull'impresa o sull'ente in procedura, perché così non può non essere”.

Il punto – secondo la Cassazione - non sta dunque tanto nell'interferenza con il concorso dei creditori  (difficilmente destinata a mancare) ma “nella necessità che sussista un interesse specifico, non realizzabile altrimenti, che imponga l'accertamento di situazioni di terzi in ambito diverso da quello della verificazione”.

Si tratterebbe, precisa la Corte, “della coniugazione ed integrazione, rispetto al caso specifico, del comune e risalente principio per cui l'azione di mero accertamento è sempre ammessa, ma deve ricorrere un interesse giuridicamente tutelato rispetto ad essa”; e solo quell'interesse giustifica l'alterazione delle regole sull'accertamento endoconcorsuale, che individuano presupposti ineludibili e strutturali di rito e non riguardano in senso stretto la competenza, afferendo alla tutela più completa del contraddittorio con i creditori.

A dire della Corte, questa condizione si realizza non per qualsivoglia azione, ma solo quando si tratti di azioni che, in concreto, non possono trovare spazio in una sede, come la verificazione endoconcorsuale, che è costruita per l'accertamento di crediti o di diritti alla restituzione o immobiliari, nei soli riguardi dell'impresa o ente in procedura.

In particolare, vanno svolti in sede di cognizione ordinaria gli accertamenti riguardanti l'assetto dei rapporti pendenti che proseguono o comunque intercorrono, per instaurazione successiva, con la procedura. E, infatti, in relazione a questo profilo si ammette la cognizione al di fuori del concorso anche rispetto alle situazioni lavoristiche.

Questo, però, non in via indiscriminata, per quanto si è sopra detto, ma solo in ragione di un interesse specifico ed altrimenti non tutelabile.

In questa prospettiva, è stata consentita l’azione di reintegrazione per licenziamento illegittimo (Cass. 30 marzo 2018, n. 7990), quale controversia riguardante lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, estesa per ragioni specifiche e non generalizzabili alla fissazione delle misure delle indennità conseguenti ai sensi dell'art. 18 legge n. 300/70 (Cass. 21 giugno 2018, n. 16443).

Analogamente, è stata ammessa l'azione di accertamento del diritto ad una certa qualifica nell'azienda (Cass. 20 agosto 2009, n. 18557; Cass. 6 ottobre 2017, n. 23418), proprio perché la verificazione non fornisce tutele ripristinatorie in forma specifica e dunque non permetterebbe di soddisfare l'interesse del lavoratore a riprendere in concreto l'attività presso l'azienda, pur se in procedura, ed a farlo con le caratteristiche proprie, sul piano professionale, che gli spettano.

Ogni altro diritto o credito (retributivo, risarcitorio, indennitario etc.), anche dei lavoratori, “non può essere accertato se non attraverso la verificazione (Cass. 28 ottobre 2021, n. 30512), che è processo scevro da limiti sul piano cognitivo che impongano di privilegiare forme diverse o alternative”.

Da qui la conclusione, anticipata in apertura, secondo la quale è da escludere una generalizzata possibilità - al di fuori della casistica eccezionale di cui sopra o di altre ipotesi in cui emerga quell'interesse specifico altrimenti non tutelabile - di convenire le procedure in via di accertamento di diritti in sede ordinaria.

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Maria Santina Panarella
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