La liquidazione equitativa di un danno non patrimoniale richiede l'individuazione di un parametro di natura quantitativa, in termini monetari e l'adeguamento quantitativo di detto parametro monetario attraverso il riferimento a uno o più fattori oggettivi, controllabili e idonei a consentire il controllo dell'intero percorso di specificazione dell'importo liquidato.
Questo il principio affermato dalla Cassazione, con ordinanza del 26 novembre 2024, n. 30487 (riportata in calce).
Il Supremo Collegio era chiamato a pronunciarsi su unaa sentenza d’appello, la quale aveva confermato la condanna di un dirigente dell'Ufficio tecnico e del Dipartimento di pianificazione urbanistica del locale Comune al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli originari attori in conseguenza della commissione, da parte del convenuto, di taluni reati nel corso di un procedimento amministrativo volto al conseguimento, da parte degli attori, di provvedimenti amministrativi concernenti l'attività di edificazione su un proprio terreno.
La Corte di Cassazione ha (parzialmente) accolto il primo motivo di ricorso, che prospettava la violazione di legge (in particolare, dell’art. 1226 c.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente quantificato l'entità del risarcimento, sulla base di una valutazione illegittima e arbitraria e determinandone nell'importo in assenza di alcuna ragione giustificativa.
A quanto si evince dalla ordinanza in commento, il Giudice d’appello si è limitato a ritenere la correttezza della quantificazione del danno morale alla luce della estrema gravità degli illeciti commessi da un soggetto che, per la qualifica che rivestiva, avrebbe dovuto garantire imparzialità e correttezza, piuttosto che abusare della propria posizione.
La Corte di Cassazione rileva come l'articolazione argomentativa elaborata dalla Corte territoriale “non sia idonea a dar conto in termini esaustivi del procedimento logico seguito dal giudice di merito per l'esatta determinazione monetaria dell'importo equitativamente liquidato a titolo risarcitorio”.
Il Supremo Collegio muove dalla considerazione che “la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. (richiamato, per la responsabilità extracontrattuale, dall'art. 2056 c.c.) presuppone che, a fronte dell'avvenuta dimostrazione dell'esistenza e dell'entità materiale del danno, per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo esatto ammontare, ferma restando la necessità di riferirsi all'integralità dei pregiudizi accertati” (in questi termini viene richiamata Cass. n. 31546 del 06 dicembre 2018; tra le più recenti, Cass., 11 aprile 2024, n. 9834).
La liquidazione equitativa consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto. Sicché, nell'esercizio di un potere di carattere discrezionale, “il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato sul rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento”. Il potere discrezionale di liquidazione del danno in via equitativa è insuscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, attraverso la specifica indicazione del processo logico e valutativo seguito (cfr. anche Cass. 16 settembre 2022, n. 27282).
La sentenza in commento sottolinea come, “al fine di rendere realmente controllabile il processo logico e valutativo seguito dal giudice della liquidazione equitativa (nel caso in esame, nella liquidazione equitativa di un danno non patrimoniale), occorra necessariamente muovere dalla fissazione di un parametro di natura quantitativa da rendere in termini strettamente monetari, sostanziandosi propriamente, la liquidazione di un danno, nell'articolazione di un linguaggio monetario quale 'minimo comune destinato a rimodulare (sottoforma di moneta) qualsivoglia argomentazione originariamente elaborata su un piano logico o in termini di puro valore giuridico o etico-sociale”. Peraltro, “la scelta di tale iniziale parametro quantitativo dovrà necessariamente esibire un profilo di diretto o indiretto collegamento con la natura degli interessi incisi dal fatto dannoso, sì da presentarsi in una relazione di ragionevole (e oggettivamente controllabile) congruità tra natura del danno e parametro monetario di riferimento”.
Una volta fissato un tale parametro di natura monetaria, spetterà al giudice “adeguarne l'entità, al fine di giungere all'importo ritenuto appropriato quale risarcimento del danno, aumentandone o diminuendone la cifra (attraverso operazioni aritmetiche di moltiplicazione o di divisione) in funzione dell'incidenza modulare di altri fattori di riferimento concretamente apprezzabili in considerazione dello specifico danno così come materialmente accertato; fattori a loro volta caratterizzati (necessariamente) da: 1) oggettività; 2) controllabilità e 3) non manifesta incongruità (né per eccesso, né per difetto)”.
Applicando tali principi al caso di specie, l’ordinanza in esame conclude che “la corte territoriale, mentre ha avuto cura di evidenziare adeguatamente il concreto ricorso di una serie di fattori di per sé pienamente dotati di oggettività, controllabilità e non manifesta incongruità (segnatamente con riguardo alle specifiche circostanze connesse alle modalità di commissione del reato, alla gravità del comportamento lesivo del danneggiante, ai riflessi sulla vita emotiva e patrimoniale delle vittime, etc.), ha del tutto omesso di fornire alcuna spiegazione circa il relativo funzionamento in chiave di 'adeguamento', trascurando di individuare un punto di riferimento oggettivo di natura monetaria (direttamente o indirettamente connesso alla natura degli interessi lesi dal fatto illecito) sul quale agire attraverso l'azione combinata dei ridetti fattori, così sottraendosi al dovere di spiegare (e dunque di dar conto in termini oggettivi e controllabili del) l'iter attraverso il quale la stessa corte è giunta alla determinazione della specifica entità monetaria (euro 50.000,00) liquidata quale danno riconoscibile in favore degli originari attori”.