La Corte di Cassazione ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 2, 3, 32 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, nel testo antecedente alla modifica normativa introdotta con l'art. 2, comma 1, lett. n) del decreto legislativo 30 giugno 2022, n.105, nella parte in cui non include il convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari del congedo straordinario finalizzato all'assistenza del familiare con disabilità grave.
L’ordinanza interlocutoria n. 30785 del 2 dicembre 2024 ha così rimesso la questione alla Corte Costituzionale, ritenendo sussistente sia la rilevanza che la non manifesta infondatezza.
Per quanto riguarda la rilevanza, la Corte:
- ha constatato che la norma in questione (pre-riforma) elenca un numero chiuso di soggetti legittimati alla percezione del beneficio, che non ricomprende il convivente more – uxorio;
- ha escluso che, sulla base della novella legislativa del 2022[1], fosse praticabile una interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata della disposizione.
Circa, invece, la non manifesta infondatezza, secondo la Corte, la norma dettata dall'art. 42, comma 5, D.lgs. n. 151 del 2001, nel testo anteriore alla riforma, applicabile ratione temporis, viola la tutela costituzionale da riconoscersi all'aggregazione costituita dalla convivenza di fatto e quindi dalla famiglia di fatto, in quanto comunità d'affetti in cui l'individuo sviluppa la propria personalità nella garanzia dei diritti inviolabili.
Tale esclusione comprime “in modo irragionevole (art. 3 Cost.) il diritto alla salute psicofisica (art. 32 Cost.) del disabile grave - inteso come diritto inviolabile dell'uomo ex art. 2 Cost. - limitandone l'assistenza all'interno della propria comunità di vita in funzione di un dato normativo integrato "dal mero rapporto di coniugio" (art. 29 Cost.)”.
E – si legge nella pronuncia – “il diritto inviolabile alla salute del disabile grave nella sua dimensione piena - anche relazionale - non può essere obliterato ove custodito e protetto in seno alla famiglia di fatto”.
L’ordinanza in esame è particolarmente interessante nella parte in cui richiama la posizione assunta nel tempo dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. A questo fine, vengono ripercorse le principali pronunce sulla base delle quali si può affermare che la famiglia è considerata, dalla normativa e giurisprudenza europea, sia nella sua “versione tradizionale”, composta da due membri di sesso diverso uniti in matrimonio, sia nella “versione moderna” costituita da coppie non unite in matrimonio, ma semplicemente conviventi, siano esse di sesso diverso o dello stesso sesso.
In sintesi, secondo la Corte, prendendo le mosse dai principi generali che vengono in rilievo nelle materie della famiglia, del lavoro e della protezione dei soggetti fragili, sia la Corte EDU sia la Corte Costituzionale, pur riconoscendo la discrezionalità del legislatore nel prevedere diverse soglie di tutela dei vincoli discendenti dal matrimonio e dalla convivenza di fatto in relazione alla necessità di proteggere i contro-interessi in gioco, hanno “stigmatizzato che nessuna situazione espressiva della scelta di un differente modello familiare può restare priva di tutela”.
Deve pur sempre trattarsi – prosegue la Corte – di un bilanciamento e non di indifferenza del legislatore allorché vengono in gioco, nella comunità degli affetti, i profili relativi alla protezione del componente fragile, protezione immutata e conformata a doveri di solidarietà indipendentemente dall'esservi o meno il crisma del vincolo coniugale.
La Cassazione rammenta che la salute psicofisica del disabile, quale diritto fondamentale dell'individuo tutelato dall'art. 32 Cost., rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.) e che “la cura, l'accudimento, la protezione del disabile e il soddisfacimento dell'esigenza di socializzazione conformato alle delicate modalità del vivere correlate alla disabilità, costituiscono fondamentali fattori di sviluppo della personalità e idonei strumenti di tutela della salute del disabile, nella sua accezione più ampia di salute psicofisica e sulla condizione giuridica della persona con disabilità confluisce un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale”.
Il ruolo fondamentale svolto dalla famiglia, nella cura e nell'assistenza dei soggetti disabili, dunque, “va affermato, pur nella distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale, nella comunità di vita e affetti in cui, l'assenza del vincolo coniugale costituisce un mero dato normativo che, ove così non fosse, comprimerebbe irragionevolmente l'effettività dell'assistenza ed integrazione del disabile nella comunità affettiva discriminando altresì i caregiver o prestatori di assistenza dediti, in identica misura, ad apprestare accudimento premuroso al congiunto disabile”.
Difatti, secondo la Corte, la convivenza di fatto è, in concreto, capace di corrispondere alle esigenze di realizzazione dei fondamentali bisogni di cura e protezione della persona disabile grave al pari del rapporto coniugale.
[1] Il D.lgs. n. 105 del 2022, art. 2, comma 1, lettera n), ha riformulato l'art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001 equiparando, ai fini del godimento del congedo straordinario per l'assistenza del congiunto con disabilità grave, ex art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, il convivente di fatto, di cui all'art. 1, comma 36, della legge n. 76 del 2016, al coniuge convivente.