A fronte dell’accertata inidoneità psicofisica del lavoratore nel contesto di un contratto di apprendistato professionalizzante, species rispetto al genus del lavoro subordinato, non è richiesto al datore l’adempimento dell’obbligo di repêchage in caso di licenziamento.
La Corte di Cassazione ha deciso in questi termini il caso di una lavoratrice, assunta con contratto di apprendistato professionalizzante e poi licenziata per accertata inidoneità alla mansione (sentenza n. 30657 del 28 novembre 2024).
La Corte d’Appello, in riforma della pronuncia del Tribunale, aveva accolto la domanda della lavoratrice diretta all’accertamento della illegittimità del licenziamento. In particolare, la Corte territoriale, accertata l'inidoneità psichica della lavoratrice alle mansioni in vista delle quali era stata assunta, aveva ritenuto violato l'obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro ed aveva condannato la società al pagamento della tutela indennitaria di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015.
La (ex) datrice di lavoro aveva impugnato la pronuncia di secondo grado, censurando la sentenza per avere questa erroneamente ritenuto che la Società non avesse fornito la prova dell'assolvimento dell'obbligo di repêchage. Secondo la ricorrente, il lavoratore era stato assunto con contratto di apprendistato per la formazione in una determinata qualifica cosicché l'impossibilità di continuare ad utilizzarlo nelle specifiche mansioni integrava il definitivo e integrale venir meno della causa contrattuale.
La Cassazione ha reputato la censura fondata.
Come rammenta la pronuncia, il contratto di apprendistato professionalizzante è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all'occupazione dei giovani e che “dà origine ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bi-fasico, nel quale la prima fase è contraddistinta da una causa mista (al normale scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione si aggiunge, con funzione specializzante, lo scambio tra attività lavorativa e formazione professionale) mentre la seconda fase soltanto eventuale, perché condizionata al mancato recesso ex art. 2118 c.c., rientra nell'ordinario assetto del rapporto di lavoro subordinato”. Si tratta di caratteristiche confermate dalla legislazione vigente, che prevede la possibilità, per il datore di lavoro, alla fine del periodo di formazione, di licenziare ad nutum, ex art. 2118 c.c., l’apprendista oppure di mantenerlo in servizio con un normale rapporto di lavoro (art. 42, comma 4, D.lgs. n. 81 del 2015), mentre, durante il periodo di apprendistato, trovano applicazione le ordinarie tutele previste per il licenziamento illegittimo.
La qualificazione professionale (al cui conseguimento è finalizzato il contratto) – precisa la Corte - è determinata dalle parti sulla base dei profili professionali previsti nel settore di riferimento: l’obbligo formativo (a carico del datore di lavoro) connota la causa (mista) del contratto, con la conseguenza che l'apprendista deve essere adibito soltanto ai lavori attinenti alla specialità professionale a cui si riferisce il tirocinio (art. 2132 c.c.). In mancanza di formazione, teorica e pratica, oppure in caso di attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi propri del contratto, il datore di lavoro decade dalle agevolazioni contributive (cfr. Cass. n. 4416 del 2021, con riguardo all'art. 49 della legge n. 276 del 2003; Cass. n. 8564 del 2018 con riguardo all'art. 16 della L. n. 196 del 1997; attualmente, l'art. 47, comma 1, del D.Lgs. n. 81 del 2015 prevede analoga sanzione in caso di inadempimento all'obbligo della formazione che sia "esclusivamente" imputabile al datore di lavoro); l'inadempimento degli obblighi di formazione determina la trasformazione, fin dall'inizio, del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato (cfr. n. 16595 del 2020).
Secondo la Corte, dunque, il regime dettato dalla legislazione vigente “rende evidente che è vietato al datore di lavoro adibire l'apprendista ad altre mansioni diverse da quelle oggetto del contratto (e finalizzate all'acquisizione delle specifiche competenze professionali), con chiara limitazione dello ius variandi, tipico del potere organizzativo che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato”. Ne consegue che, in caso di inidoneità, fisica o psichica, allo svolgimento della mansione (afferente alla qualifica professionale da conseguire alla fine del periodo di apprendistato) tale da impedire, al datore di lavoro, di impartire la formazione e, all'apprendista, di riceverla, viene meno l'oggetto del contratto. Pertanto, il datore di lavoro è legittimato a recedere senza che possa configurarsi alcun obbligo di ricercare mansioni compatibili con lo stato di salute del lavoratore (mansioni ulteriori e diverse il cui disimpegno, come visto, è vietato ex lege).
Nel caso di specie, secondo la Cassazione, la Corte territoriale aveva errato nel ravvisare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo e a richiedere l'adempimento dell'obbligo di repêchage al datore di lavoro a fronte dell'accertata inidoneità psicofisica del lavoratore, nel contesto di un contratto di apprendistato professionalizzante.