La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 33984 del 23 dicembre 2024, è tornata ad occuparsi della responsabilità del produttore farmaceutico per i danni derivanti dall’utilizzo del farmaco.
La vicenda processuale è originata dalla domanda di risarcimento dal danno patrimoniale e non patrimoniale causato dalla produzione e messa in commercio di una pasta dentaria da cui sarebbe derivata una grave patologia neurologica.
I giudici del merito avevano escluso la sussistenza di una responsabilità in capo alla azienda farmaceutica sia da prodotto difettoso che ex art. 2043 c.c., ritenendo che la pasta dentaria non fosse un presidio medico e comunque accertando che la stessa non fosse difettosa, riconducendo invece il danno alla condotta imprudente della utilizzatrice.
La Corte esclude, innanzi tutto, che l'attività di produzione di farmaci sia riconducibile alla disciplina della responsabilità per danni da prodotto difettoso.
In particolare, l’ordinanza muove dal dato normativo dell’art. 1 D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219 che definisce il medicinale come “ogni sostanza (o associazione di sostanze) che presenta proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o che viene utilizzata con mera finalità di diagnosi”. Da tale dato normativo la Cassazione trae il corollario che il medicinale “non è un bene voluttuario, venendo di norma utilizzato a seguito di indicazioni promananti da figure professionali terze rispetto al produttore e al distributore, e, soprattutto, è ad esso connaturale un potenziale effetto "collaterale" pregiudizievole per la salute degli utenti, il quale, una volta materializzatosi, diviene causa del danno”.
Le perplessità evocate dall’ordinanza in commento sono alla base dell'orientamento giurisprudenziale (Cass., 7 marzo 2019, n. 6587) in base al quale la produzione del medicinale va qualificata come attività pericolosa, in tal modo innalzandosi la protezione del consumatore-utilizzatore del prodotto medicale in forza del principio di precauzione, “l'impresa farmaceutica essendo ritenuta responsabile anche qualora la causa della pericolosità del farmaco sia ignota ovvero quando la scienza, pur provando la correlazione tra l'assunzione del farmaco e il danno potenziale, non sia in grado di affermare con certezza se e in che misura l'organismo del paziente abbia inciso sulla manifestazione dell'effetto collaterale”.
Tale conclusione si fonda sulla distinzione tra prodotto pericoloso e prodotto difettoso, sottolineando che:
Da tale premessa possono trarsi poi i seguenti corollari:
Pertanto, “il fatto che l'agente abbia osservato una norma cautelare esclude, di norma, la sua colpa specifica, ma tanto non esime dal verificare la sussistenza di una sua colpa generica”.
Nel caso di specie la parte attrice aveva fondato la responsabilità del produttore sul difetto o l’insufficienza di informazioni, date dal produttore, per evitare i rischi connessi all’uso del prodotto.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, “detta informazione, sia quella tratta dalla presentazione del prodotto e dalle sue caratteristiche palesi, sia quella fornita dal produttore con istruzioni e avvertenze aggiuntive, ha un contenuto inversamente proporzionale alle ragionevoli attese di sicurezza del bene e deve essere contemperata con l'uso ragionevole del prodotto” (v. Cass. 15/03/2007, n. 6007).
Rileva la Corte che “il giudice è tenuto a mettere a confronto le condotte delle parti in causa per valutare se il danno poteva essere più facilmente (cioè con minor sacrificio) evitato dalla vittima o dal produttore, alla luce delle informazioni di cui ciascuno dei due poteva disporre nel momento in cui ha agito”.
Tale valutazione deve tenere conto che:
L’ordinanza, quindi, richiama due recenti precedenti di legittimità:
Nello stesso senso di è espressa ancora di recente la Cassazione, nella sentenza n. 6587 del 7 marzo 2019, secondo cui “ai fini dello scrutinio in ordine alla sussistenza della prova liberatoria di cui all'art. 2050 c.c. (e cioè la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno), è necessario valutare, da un lato, la rigorosa osservanza di tutte le sperimentazioni e i protocolli previsti dalla legge prima della produzione e della commercializzazione del farmaco (questione nella fattispecie, non controversa); dall'altro l'adeguatezza della segnalazione dell'effetto indesiderato, dovendosi solo per completezza qui precisare che non una qualunque informativa circa i possibili effetti collaterali del farmaco possa scriminare la responsabilità dell'esercente, essendo invece necessario che l'impresa farmaceutica svolga una costante opera di monitoraggio e di adeguamento delle informazioni commerciali e terapeutiche, allo stato di avanzamento della ricerca, al fine di eliminare o almeno ridurre il rischio di effetti collaterali dannosi e di rendere edotti nella maniera più completa ed esaustiva possibile i potenziali consumatori”.
Applicando tali principi al caso di specie la Corte conclude che “le informazioni contenute nel bugiardino non erano affatto tali da rendere edotta la ricorrente del rischio cui sarebbe andata incontro ove avesse ecceduto nell'uso del prodotto”. Infatti, l'utilizzatore era messo sull'avviso circa il fatto che, ove richiedesse un utilizzo frequente, la protesi potesse essere difettosa, ma non già del rischio che, “continuando ad usare l'adesivo in maniera abnorme rispetto a quella consigliata, avrebbe corso il rischio di subire danni così gravi alla propria salute”.
Applicando il principio secondo cui “il danno subito da colui che si serve di una cosa può essere addebitato al produttore solo se questa è stata usata secondo la destinazione che il produttore poteva ragionevolmente prevedere e se il comportamento tenuto dall'utente (e dal quale il danno è dipeso) era ragionevolmente prevedibile” (Cass., 3/3/2005, n. 4662), la Corte ritiene che “non solo la ricorrente non aveva fatto un uso atipico, ma neppure era stata avvertita del tipo di conseguenze cui sarebbe andata incontro se avesse usato in maniera eccessiva il prodotto, pur essendo detto comportamento ragionevolmente prevedibile”.
Affermata la responsabilità del produttore della pasta dentaria, l’ordinanza in commento cassa la sentenza di merito per avere ritenuto interrotto il nesso causale tra idoneità lesiva del prodotto e danno dal comportamento imprudente della danneggiata. Infatti, il comportamento imprudente dell’utilizzatrice non è stato caratterizzato, a giudizio del Supremo Collegio, né dall’imprevedibilità né dall’eccezionalità.