Di recente è giunta all’esame della Corte di Cassazione una vicenda decisa con una pronuncia (sentenza n. 1404 del 21 gennaio 2025) che contiene numerosi e interessanti spunti di approfondimento relativi, in particolare, alla distinzione tra responsabilità ex art. 2043 c.c. e responsabilità ex art. 2051 c.c.
I fatti
La (risalente) vicenda alla base della decisione, come ha dato atto la stessa sentenza, è piuttosto complessa e, in realtà, era stata già sottoposta (seppure, ed ovviamente, in relazione ad altri profili) al vaglio della Corte di legittimità. La causa era stata introdotta nel 1999 da un’Azienda Agraria che aveva chiesto la condanna del Comune competente al risarcimento dei danni subiti dal proprio fondo, utilizzato quale sito di stoccaggio provvisorio di rifiuti in forza di atto autoritativo, a seguito di un incendio propagatosi dal bosco confinante. L’ente aveva chiamato in causa la Società incaricata per lo stoccaggio dei rifiuti. Il Tribunale aveva condannato in solido l’ente e la terza chiamata in causa a risarcire il danno dell’attrice ai sensi dell'art. 2051 c.c., sul presupposto dell'accertato esercizio della signoria di fatto del Comune e della Società sull'area, entrambi quali suoi custodi. Con la prima sentenza d'appello, la Corte territoriale aveva riformato però la sentenza di primo grado, ritenendo sussistente il caso fortuito, individuato nel fatto doloso del terzo ignoto che aveva appiccato l’incendio nel vicino bosco, così determinando la propagazione delle fiamme verso l'area. La prima decisione d'appello si era, dunque, mossa nell'ambito dell'art. 2051 c.c., ossia in quello della responsabilità da custodia. La Cassazione, a Sezioni Unite, nell’accogliere entrambi i motivi di ricorso proposti dall'Azienda Agraria tra cui quello concernente la dedotta violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2051 c.c. e dell'art. 2043 c.c., aveva sottolineato che non fosse affatto sufficiente, al fine di integrare il caso fortuito ed individuare la sola serie causale rilevante, il mero fatto doloso del terzo, occorrendo invece tener conto, fra le altre possibili cause concorrenti, anche dello stato in cui era tenuto “il fondo circostante i capannoni, che nella specie si assumeva colmo di rifiuti sino al confine col bosco, e dunque in uno stato tale da rendere agevole la propagazione di un eventuale incendio ai capannoni, a loro volta colmi di rifiuti”. Si tratta, insomma, - precisa ora la Cassazione – di una statuizione che certamente si attaglia alla fattispecie della responsabilità da custodia, ex art. 2051 c.c., ma che senz'altro è estensibile anche alla responsabilità aquiliana tout court, ex art. 2043 c.c., investendo direttamente il profilo inerente al nesso di causalità, comune ad entrambe le azioni. Entrambi i profili risarcitori di cui si era discusso in giudizio (ex art. 2043 c.c., nonché ex art. 2051 c.c.) inerenti all’iniziativa dell'Azienda Agraria – secondo la Corte - erano ancora "vivi" nel giudizio di rinvio, in forza dell'ampia portata cassatoria della pronuncia delle Sezioni Unite.
La responsabilità della Società e del Comune secondo il giudice di rinvio
La sentenza di appello aveva individuato il titolo della responsabilità in capo alla Società nell’aver questa abbandonato l’area di stoccaggio, alla cessazione dell’attività, senza alcuna custodia, in condizioni estremamente pericolose con vere e proprie cataste di rifiuti infiammabili all’interno e all’esterno dei capannoni, senza informare il Comune sulle condizioni del sito.
Quanto al Comune, la Corte di rinvio aveva individuato la responsabilità prima di tutto nel non avere l’ente vigilato periodicamente sulla correttezza delle attività si stoccaggio da parte della Società e, poi, nel non aver verificato la il ripristino del sito, garantendo e la pulizia e salubrità.
Infine, entrambe le parti sono state considerate responsabili per aver abbandonato i capannoni colmi di rifiuti, senza assumere, per anni, alcuna iniziativa per rimuoverli.
Secondo la Cassazione, il profilo di responsabilità della Società accertato dalla Corte del rinvio dovrebbe necessariamente ascriversi al disposto dell'art. 2043 c.c.: rispetto all'evento di danno, ciò che le è stato imputato, infatti, è di aver posto in essere le condizioni di fatto che hanno consentito la propagazione dell' incendio, per l’incuria con cui ha svolto l'attività di stoccaggio e per non aver segnalato le precarie condizione del sito al momento dell’abbandono del terreno. Insomma – si legge nella pronuncia - la Società è stata ritenuta responsabile per negligenza e non già quale custode del sito. Più nel dettaglio, “a parte l'ardua configurabilità di una simile qualità a circa due anni dalla cessazione dell'attività di stoccaggio, la Corte del rinvio ha censurato l'operato della odierna ricorrente principale per aver violato il dovere di accurata manutenzione del sito cui essa era tenuta nell'espletamento del servizio, che è cosa ben diversa dalla responsabilità del custode ex art. 2051 c.c., il cui presupposto è, notoriamente, l'esercizio della signoria di fatto sulla cosa di cui si abbia la disponibilità materiale è di natura oggettiva e concerne le sole ipotesi in cui l'evento dannoso derivi comunque dal determinismo causale riferibile alla res custodita, non risultando pertinente rispetto ai danni subiti da quest'ultima: l'art. 2051 c.c., infatti, disciplina l’ipotesi di responsabilità per danni provocati a terzi dalla cosa in custodia e non per danni alla stessa cosa custodita”.
Considerazioni analoghe, prosegue la Cassazione, possono essere svolte in relazione alla responsabilità del Comune. In particolare, la responsabilità accertata in relazione all'omessa vigilanza, nonché all'inerzia nel provvedere, è quella tipica del neminem laedere, poste la pacifica origine autoritativa dell'occupazione del sito di stoccaggio, nonché l'insussistenza di un vincolo di natura negoziale tra il Comune e l'Azienda Agraria ed, infine, l'ardua configurabilità di una responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c. rispetto ai danni reclamati dall'originaria attrice.
La decisione della Corte di Cassazione: le norme e i principi in materia ambientale e la violazione degli artt. 40 e 41 c.p.
Nell’esaminare i motivi articolati dalla Società in relazione alle norme e ai principi in materia ambientale, la Cassazione ha ritenuto che il ruolo rivestito dalla ricorrente rispetto all’attività di stoccaggio, e, cioè, se fosse un “mero gestore provvisorio” o un “titolare di discarica”, non potesse essere reputata “ininfluente”, consistendo, in realtà, nel necessario punto di partenza da cui far discendere il raffronto tra il comportamento al quale era tenuta la Società e quello al quale la stessa aveva, al contrario, improntato il proprio operato. Solo in questo modo, secondo la Suprema Corte, sarebbe stato possibile valutare le condotte (e/o le omissioni) imputabili alla società che avevano cagionato il danno al fondo e ai capannoni dell'Azienda, con le conseguenti responsabilità risarcitorie.
Tale lacunosità dell’esame svolto dalla Corte d’appello si sarebbe riverberato – secondo la Corte – sul piano della stessa tenuta della motivazione. Dopo aver rilevato la contraddittorietà logica ed il carattere apodittico di diversi snodi argomentativi, la Cassazione ha così soggiunto che il giudice del rinvio dovrà procedere ad un nuovo esame dell'appello principale della Società, individuando esattamente il ruolo da questa rivestito nella vicenda e, di conseguenza, gli obblighi che sulla stessa gravavano per legge, o in forza di altra fonte (amministrativa, negoziale, ecc.) e, sulla base delle evenienze istruttorie, verificare se eventuali inadempienze abbiano assunto valenza determinante nella sequenza causale che aveva condotto all’incendio. Inoltre, dovrà verificare altresì se la protratta inerzia del Comune nello smaltimento dei rifiuti nel sito abbia potuto assumere il rango di “causa prossima di rilievo”, quale causa esclusiva da sé idonea a produrre l'evento, pur a prescindere dalle eventuali inadempienze della stessa Società e dalla loro efficienza eziologica.
Il concorso di colpa dell’Azienda Agricola
La Corte ha poi approfondito anche la questione – il cui esame era stato precluso dal giudice del rinvio - circa il concorso di colpa della danneggiata. Secondo la Cassazione, la presenza di un bosco confinante di proprietà della stessa Azienda Agricola danneggiata, dal quale era scaturito l’incendio poi propagatosi nel sito di stoccaggio, avrebbe dovuto portare a valutare l’eventuale responsabilità del danneggiato ex art. 2051 c.c. ai fini di quanto previsto dall’art. 1227, 1° co. c.c.; sarebbe invece irrilevante – si legge nella sentenza - l’accertamento sul “se le condizioni del bosco stesso fossero tali da agevolare la propagazione dell’incendio”, alla luce della già richiamata natura oggettiva della responsabilità in parola (avevamo approfondito le caratteristiche di tale fattispecie in Responsabilità ex art. 2051: il danneggiato non deve provare l’assenza di colpa, nonché Responsabilità da cose in custodie: la condotta colposa del danneggiato rileva anche se prevedibile?). Secondo la Corte, una volta appurata la sussistenza del nesso di causalità tra la responsabilità custodita (il bosco) e l’evento (questione rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito), il custode può andare esente dalla responsabilità di cui all’articolo. 2051 c.c. solo mediante la prova del caso fortuito (sul punto si veda anche La condotta del danneggiato eccezionalmente incauta può costituire causo fortuito?). Dunque, il (nuovo) giudice del rinvio dovrà ora verificare l’eventuale rilevanza della condotta della danneggiata, quale custode del bosco e rispetto al fatto doloso del terzo rimasto ignoto, ai fini del concorso nella causazione dell’evento dannoso, sulla base dell’apprezzamento delle circostanze emerse, “avendo cura di accertare se la condotta del terzo possa dirsi oggettivamente imprevedibile ed inevitabile, solo in tal caso dovendosi escludere la rilevanza causale del suddetto concorso”.