Il decreto che impone la dicitura “padre e madre”, in luogo di “genitore e genitore”, sulla carta di identità del minore adottato (d.m. 31 gennaio 2019) deve essere disapplicato in quanto discriminatorio.
La Corte di Cassazione (sentenza 8 aprile 2025, n. 9216) ha confermato questa conclusione.
In seguito ad una sentenza di adozione, il minore acquisisce lo stato di figlio dell'adottante, e, quindi, la sua situazione familiare deve essere adeguatamente rappresentata anche nei documenti di identificazione, come la carta d'identità elettronica. Il decreto ministeriale che limita questa rappresentazione non può essere considerato conforme alla normativa, in quanto non riflette la realtà giuridica.
Il giudizio
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 2023, aveva ordinato al Ministero dell’Interno, previa disapplicazione per illegittimità del decreto ministeriale del 31 gennaio 2019, di indicare sulla carta d'identità elettronica del minore la dicitura "genitore" o, in alternativa, "padre/genitore madre/genitore" in corrispondenza dei nomi delle due donne attrici.
La Corte d’appello di Roma, a seguito dell’impugnazione presentata dal Ministero dell'Interno, aveva condiviso il contenuto delle difese delle appellate secondo le quali, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di legittimità, anche l'adozione del minore in casi particolari produceva effetti pieni e faceva nascere relazioni di parentela con i familiari dell'adottante, cosicché non era possibile stabilire che, sulla carta di identità, potessero essere indicati dati personali difformi dalle risultanze dei registri da cui quei dati erano estratti.
La medesima Corte territoriale, nel rigettare l’appello, aveva evidenziato che l'effetto finale, irragionevole e discriminatorio, dell'assunto del Ministero sarebbe stato quello di precludere al minore di ottenere una carta d'identità valida per l'espatrio, per le deficitarie caratteristiche della stessa, solo perché questi era figlio naturale di un genitore naturale e di uno adottivo dello stesso sesso.
Aveva poi evidenziato che l'esistenza di istituti come l'adozione in casi particolari, che poteva dar luogo alla presenza di due genitori dello stesso sesso (l'uno naturale, l'altro adottivo), dimostrava che le diciture previste dai modelli ministeriali (padre/madre) non erano rappresentative di tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione.
La decisione della Corte di Cassazione
Il Ministero aveva proposto ricorso per cassazione lamentando, tra le altre cose, un contrasto con il principio di bigenitorialità attualmente in vigore nel nostro sistema giuridico e la normativa vigente.
La Cassazione, nel confermare le motivazioni della Corte d’Appello, ha rammentato di aver già riconosciuto, rispetto ad una coppia omoaffettiva femminile, che l'adozione in casi particolari ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d), L. 184/1983 si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 79/2022 (Cass. 22179/2022; nello stesso senso Cass., Sez. U., 38162/2022, Cass. 4448/2024).
Se così è, allora – secondo la Cassazione - la Corte d'Appello, a fronte di una sentenza di adozione che riconosceva alla partner della madre naturale la condizione di madre adottiva, non poteva che addivenire alla disapplicazione del decreto ministeriale del 31 gennaio 2019.
Nel respingere le censure mosse dal Ministero dell’interno alla pronuncia di appello, la Cassazione ha sottolineato che il tenore di un decreto ministeriale che prevedeva che la parola "genitori" fosse sostituita dalle parole "madre e padre" sul documento di identità “non solo contrasta con lo specifico contenuto della disposizione di legge, che si riferisce ai "genitori" come soggetti richiedenti il rilascio della carta d'identità e presenti assieme al minore durante il viaggio all'estero”, ma limitava anche “il diritto di ciascun genitore di veder riportata sulla carta di identità del figlio minore il proprio nome, in quanto consentiva un'indicazione appropriata solamente per una delle due madri ed imponeva all'altra di veder classificata la propria relazione di parentela secondo una modalità ("padre") non consona al suo genere”.
Secondo la Cassazione, il decreto ministeriale che impediva di dare adeguata rappresentazione alla realtà giuridica familiare venutasi a creare a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di adozione, quand'anche avesse rivestito natura di regolamento di attuazione, doveva comunque essere disapplicato, ai sensi dell'art. 4, comma 1, preleggi, perché conteneva una norma contraria alla disposizione di legge prevista dall'art. 3, comma 5, R.D. 773/1931.