I mesi di marzo ed aprile 2020 sono stati uno dei periodi più drammatici che l’Italia, ed il mondo intero, hanno attraversato dalla fine della seconda guerra mondiale. Ben presto, l’emergenza sanitaria correlata alla necessità di contenere la diffusione del Sars Covid-19 si è poi trasformata nel nostro Paese in emergenza economica: l’interruzione forzosa di ogni attività economica non strettamente indispensabile, così come previsto dall’Autorità al fine di limitare al massimo le possibili interazioni fra gli individui, ha avuto inevitabili ripercussioni negative sulla produttività delle singole imprese e, dunque, a livello agglomerato, sul PIL nazionale.
La disciplina emergenziale
Per evitare che tale spaventosa ed improvvisa contrazione economica che la maggior parte delle imprese si sono trovate a dover fronteggiare potesse tradursi anche in una emergenza sociale, tra le varie misure adottate, con il D.L. c.d. “cura Italia” (n. 18/2020), all’art. 46, è stato previsto il c.d. “blocco dei licenziamenti”, in ragione del quale, per i sessanta giorni successivi all’entrata in vigore del Decreto (17 marzo 2020) è stato precluso ai datori di lavoro l’accesso alle procedure di licenziamento collettivo ed il ricorso a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Tale blocco dei licenziamenti è stato poi prorogato con il Decreto c.d. “rilancio” (n. 34/2020) ed ulteriormente prorogato con l’art. 14 del Decreto c.d. “agosto” (104/2020): in base a tale ultima disciplina di legge, il licenziamento per g.m.o. può essere intimato solo dal datore di lavoro che abbia integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale di cui all’art. 1 del D.L. n. 104/2020 o solo dal datore che abbia beneficiato dell’agevolazione contributiva prevista dall’art. 3 del Decreto stesso. Come lo stesso Giudice mantovano ha rilevato, “trattasi di una tutela temporanea della stabilità dei rapporti per la salvaguardare la stabilità del mercato e del sistema economico ed è una misura di politica del mercato del lavoro e di politica economica collegata ad esigenze di ordine pubblico”.
Le sanzioni previste in via generale per il licenziamento nullo
Si consideri altresì che, l’art. 2, comma 1, D. Lgs. 23/2015 (applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in causa, posto che il lavoratore licenziato era stato assunto con un contratto apprendistato successivo all’8 marzo 2015) prevede che venga dichiarata la nullità del licenziamento, con le conseguenze sanzionatorie annesse a tale forma di invalidità, ove l’atto di recesso datoriale sia “riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge”. E’ altresì noto che l’art. 1418 c.c., la cui disciplina è applicabile agli atti unilaterali ai sensi di quanto disposto dall’art. 1324 c.c., sancisca la nullità del contratto che sia contrario a norme imperative. Con riferimento alla natura di “norme imperative” da riconoscere alle disposizioni di legge che hanno sancito temporaneamente il c.d. “blocco dei licenziamenti”, la migliore dottrina, in proposito, insegna che “non sempre…soccorrono elementi letterali sufficientemente precisi, e allora per stabilire se una norma sia imperativa o dispositiva…bisogna indagare quale sia lo spirito della norma o, come anche si dice, la volontà del legislatore”. Ciò posto, la gravità della situazione sanitaria ed economica cui si faceva cenno in apertura, unite alla straordinarietà ed incisività dell’intervento legislativo che ha sancito il c.d. “blocco dei licenziamenti”, consentono agevolmente di ritenere che lo spirito delle norme in parola sia quello di tutelare l’ordine pubblico attraverso una protezione eccezionale di carattere sociale.
La decisione del caso concreto
E’ allora fin troppo scontato l’esito cui è pervenuto il Tribunale lombardo: è infatti indubbio che l’atto di recesso datoriale intimato per giustificato motivo oggettivo (chiusura di un reparto aziendale) durante il periodo temporale in cui, per ragioni di tutela degli interessi di rilevanza sovraindividuale poc’anzi evocati, è sancito temporaneamente il c.d. “blocco dei licenziamenti”, sia un atto contrario a “norme imperative”, con conseguente nullità dello stesso ai sensi dell’art. 1418 c.c.