Le chat aziendali costituiscono ormai una prassi negli ambienti di lavoro.
La ricerca della immediatezza nelle comunicazioni, propria della nostra epoca, ha determinato un frequente ricorso all’utilizzo di programmi di messaggistica istantanea.
Occorre, dunque, interrogarsi, su come possano, e debbano, configurarsi tali chat nell’ambito della disciplina lavoristica e, in particolare, in relazione alla tutela della riservatezza del lavoratore.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la chat aziendale, laddove funzionale alla prestazione lavorativa, è qualificabile come strumento di lavoro.
Si applica, dunque, l’art. 4, co. 2, dello Statuto dei Lavoratori.
Tale disposizione esclude l’applicazione delle procedure di garanzia previste dal primo comma della medesima norma agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
Le informazioni raccolte con tali modalità dal datore di lavoro, in virtù del 3° co. dell’art. 4 Stat. Lav., sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro – quindi anche quelli disciplinari - a condizione, però, che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, e nel rispetto di quanto disposto dal d. lgs. n. 196/2003.
Nel caso in cui il datore di lavoro effettua un controllo sulla chat per finalità tecniche, può poi utilizzare gli elementi emersi per fini disciplinari?
Secondo la Corte di Cassazione, deve comunque trovare applicazione l’art. 4, co. 3 St. Lav. e, dunque, deve esserci stata l’adeguata informazione richiesta dalla norma.
In un caso recentemente affrontato (Cass. 22 settembre 2021, n. 25731), infatti, la Suprema Corte, dopo aver escluso che venisse in rilievo la disciplina dei cosiddetti “controlli difensivi” (per un approfondimento su questo tema, si segnala "Controllo del lavoratore a distanza: quando sono legittimi i cd. controlli difensivi" , ha confermato la decisione di secondo grado che aveva accertato la mancanza della adeguata informazione preventiva ai lavoratori.
In quel caso, infatti, la comunicazione aziendale che era stata prodotta dalla Società, e con la quale i lavoratori erano stati informati della soppressione della chat aziendale con decorrenza immediata, era successiva all’effettuazione dei controlli.
Eppure, la lavoratrice controricorrente era stata licenziata a causa di una conversazione con una collega, avvenuta sulla chat aziendale, avente un contenuto pesantemente offensivo nei confronti di una superiore gerarchica e di altre colleghe, che era stata conosciuta dalla Società in esito al controllo effettuato dal personale tecnico informatico che doveva verificare, in occasione della chiusura della chat, se vi fossero dati aziendali.
Pertanto, esclusa l’utilizzabilità dei dati in questo modo raccolti, l’intera base fattuale della contestazione è venuta meno.