Il datore di lavoro può rivolgersi a soggetti terzi (ed in particolare ad agenzia investigativa) per lo svolgimento di attività di controllo sui lavoratori dipendenti ma solo nei limiti relativi all'accertamento di eventuali illeciti. Questo il principio ribadito dalla Cassazione, con la ordinanza n. 25287 del 24 agosto 2022.
La vicenda trae origine dal licenziamento di un lavoratore cui era stato contestato di essersi allontanato dal luogo di lavoro, per ragioni estranee all’attività lavorativa, a seguito di controlli effettuati da agenzia investigativa.
La Corte territoriale, a quanto è dato desumere dalla pronuncia in commento, ha ritenuto legittimi i controlli in ragione della particolare diligenza richiesta nell’ambito del rapporto bancario, nonché in relazione alla circostanza che le investigazioni erano correlate ad una più ampia indagine, riguardante altro dipendente, attinente alla illegittima fruizione dei permessi ai sensi dell’art. 33 Legge 104 del 1992.
La disposizione di riferimento è l’art. 2 L. 300/70 (Statuto dei Lavoratori), a norma del quale “Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, … soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale. Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale. È fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull'attività lavorativa le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma”.
L’art. 3 dello Statuto dei Lavoratori riserva, invece, il controllo dell'attività lavorativa al personale interno preventivamente individuato dal datore di lavoro.
Le norme da ultimo richiamate contemperano il potere di controllo del datore di lavoro con il diritto di riservatezza del lavoratore. In questa prospettiva, “l'esigenza, pur meritevole di tutela, del datore di lavoro di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore” (Cass, 27 maggio 2015, n. 10955).
In particolare, gli artt. 2 e 3 Statuto dei Lavoratori, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, delimitano la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei suoi interessi con specifiche attribuzioni nell'ambito dell'azienda, ma non escludono il potere dell'imprenditore, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., di controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica o anche attraverso personale esterno - costituito in ipotesi da dipendenti di una agenzia investigativa - l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti già commesse o in corso di esecuzione, e ciò indipendentemente dalle modalità del controllo, che può avvenire anche occultamente (in questi termini, ancora Cass, n. 10955/2015)
Per consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio, il datore di lavoro può rivolgersi a soggetti terzi, ed in particolare ad una agenzia investigativa, per lo svolgimento di attività di controllo sui lavoratori dipendenti solo per l’accertamento di atti illeciti. Tale controllo non può dunque sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata, dall'art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori (cfr., in tali termini, Cass. n. 9167 del 2003).
Pertanto, è giustificato il controllo mediante agenzia investigativa non solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (Cass., 9 luglio 2008, n. 18821). Né a ciò ostano sia il principio di buona fede, “ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d'opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro” (v. Cass., 11 giugno 2018, n.15094).
Così, il controllo demandato alla agenzia investigativa, espletato al di fuori dell'orario di lavoro, è ritenuto legittimo nel caso di verifica sull'attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza (Cass. n. 12810 del 2017) ovvero nel caso di controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi L. n. 104 del 1992, ex art. 33 (v. Cass., 4 marzo 2014, n. 4984).
Dall’esame, pur sommario, del panorama giurisprudenziale così tracciato, può trarsi il principio della ammissibilità dei controlli difensivi "occulti", anche ad opera di personale estraneo all'organizzazione aziendale, in quanto diretti all'accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, pur sempre nel rispetto dei generali principi di correttezza e buona fede.
L’ordinanza in commento, riprendendo il costante insegnamento della giurisprudenza della medesima Cassazione, ha concluso nel senso della illegittimità del controllo mediante agenzia investigativa nei confronti del lavoratore, “ancorché occasionata da analogo, pur legittimo, controllo nei confronti di altro dipendente”, in quanto effettuata “nell'orario di lavoro del ricorrente, cioè durante l'espletamento dell'attività lavorativa da parte sua”, così finendo “con l'incidere direttamente e, quindi, al di fuori dei limiti consentiti, su detta attività”.