La distinzione tra abbandono del posto di lavoro e mero allontanamento va effettuata valutando in concreto l'intensità dell'inadempimento, la sua incidenza sul servizio e la semplice coscienza e volontà dell'assenza. Ne consegue che, in tema di licenziamento per giusta causa, l'abbandono del posto di lavoro da parte di un dipendente cui siano affidate mansioni di custodia o sorveglianza di beni pubblici costituisce di per sé mancanza di rilevante gravità, idonea a fare irrimediabilmente venire meno l'elemento fiduciario nel rapporto di lavoro, indipendentemente dalla durata dell'assenza e dall'effettiva produzione di un danno.
Con la motivazione qui riassunta la Corte di Cassazione ha deciso il ricorso di un lavoratore licenziato per giusta causa per aver abbandonato il proprio posto di lavoro (Cass. sent. 20 gennaio 2025, n. 1321).
Nell’impugnare la sentenza di appello, il lavoratore aveva prospettato un motivo di ricorso sul concetto di abbandono del posto di lavoro previsto dalla contrattazione collettiva di categoria che prevedeva la sanzione del licenziamento per le ipotesi di abbandono da parte del personale cui siano state affidate mansioni di sorveglianza, custodia o controllo.
La Corte territoriale aveva ritenuto che si vertesse in una ipotesi di abbandono del posto di lavoro in considerazione della lontananza tra i due luoghi (quello di espletamento della prestazione e quello del rinvenimento del lavoratore) tale da richiedere l'utilizzo dell'autovettura, di talché doveva ritenersi reciso il legame del lavoratore con il luogo ove avrebbe dovuto svolgere le sue mansioni nel senso che esse non avrebbero potuto essere riprese immediatamente o in un tempo ragionevole.
Il lavoratore aveva contestato tale impostazione attribuendo rilevanza al concetto di definitività e sostenendo che, nel suo caso, le assenze erano state esigue, non si era determinata una incidenza sul regolare svolgimento del servizio ed era mancata ogni volontà di abbandono.
La Corte di Cassazione non ha condiviso questa tesi ed ha espressamente dato continuità ai precedenti secondo cui la distinzione tra allontanamento e abbandono del posto di lavoro, tra loro coincidenti parzialmente, è ravvisabile “nella distinzione, tra loro, solo per l'elemento temporale durante il quale si prolunghi la condotta dell'agente, configurandosi la prima esclusivamente quando la assenza del soggetto dal luogo in cui avrebbe dovuto assicurare la sua prestazione non sia tale da incidere sul regolare svolgimento del servizio”.
Tuttavia – ha osservato la Corte - il concetto di definitività dell'assenza sul regolare svolgimento del servizio non può essere inteso in senso astratto, ma deve essere valutato in concreto, avendo riguardo “sotto il profilo oggettivo, all'intensità dell'inadempimento agli obblighi di sorveglianza, dovendosi l'abbandono identificare nel totale distacco dal bene da proteggere, alla durata nel tempo della condotta in relazione alla sua possibilità di incidere sulle esigenze del servizio (dovendosi comunque escludere che l'abbandono richieda una durata protratta per l'intero orario residuo dei turno di servizio svolto), mentre, sotto il profilo soggettivo, alla semplice coscienza e volontà della condotta di abbandono, indipendentemente dalle finalità perseguite e salva la configurabilità di cause scriminanti, restando irrilevante il motivo dell'allontanamento”.
Applicando tali principi al caso esaminato, la Cassazione ha rilevato che, sulla base delle circostanze in fatto emerse (quale l'attività affidata al lavoratore di custodia di un bene pubblico di notevole estensione e la distanza del luogo di rinvenimento del ricorrente a circa 1 Km da quello di lavoro) le assenze avevano inciso direttamente sulle esigenze di servizio e che era ravvisabile anche la semplice coscienza e volontà della condotta.
Il ricorso, come detto, è stato respinto.