Nell’appalto (endoaziendale) di servizi sono fisiologiche interlocuzioni derivanti dall’esecuzione del contrato di appalto, purché non sfocino nella gestione e nel coordinamento delle risorse umane.
In questi termini si è espressa la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1733 del 16 maggio 2024, al cospetto di un appalto avente ad oggetto il servizio di gestione dell’archivio di un istituto di credito.
La Corte d’Appello muove dai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità alla cui stregua, in tema di interposizione di manodopera, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell'art. 29, comma 1, del d. lgs. n. 276 del 2003, “è necessario verificare, specie nell'ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. "labour intensive"), che all'appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d'impresa, dovendosi invece ravvisare un'interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente” (v., tra le tante, Cass. Sez. Lav. n. 25 giugno 2020, n. 12551).
Dunque, l’appalto può ritenersi genuino, e come tale lecito, tutte le volte in cui sussistano in capo all’appaltatore
In questo senso, si configura un appalto lecito anche nelle ipotesi in cui il rapporto si esaurisca essenzialmente in prestazioni di opera (altamente qualificate, come ad esempio assistenza sistemistica, o anche non particolarmente qualificate: si pensi ad appalti di facchinaggio, pulizia e manutenzione ordinaria, già espressamente presi in considerazione dall’art. 3 della legge n. 1369/1960), “qualora l’appaltatore provveda effettivamente ad organizzare, dirigere e controllare il lavoro del proprio personale in modo tale che l’effetto complessivo delle prestazioni lavorative soddisfi l’interesse dell’appaltante dedotto in contratto”.
Sui c.d. appalti leggeri si è già soffermata la nostra Maria Santina Panarella, nella nota di commento alla ordinanza della Corte di Cassazione n. 23615 del 27 ottobre 2020 (Appalti "leggeri": se vi è l’effettiva gestione dei dipendenti l’appalto è genuino), la quale ha chiarito che, se negli appalti che richiedono l’impiego di importanti mezzi o materiali, cd. "pesanti", il requisito dell’autonomia organizzativa deve essere calibrato, se non sulla titolarità, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi; negli appalti cd. "leggeri", nei quali l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro, è invece sufficiente che sussista, in capo all'appaltatore, una effettiva gestione dei propri dipendenti.
Come osservato ancora di recente dal Supremo Collegio, qualora venga prospettata una intermediazione vietata di manodopera “il giudice del merito deve accertare se la società appaltante svolga un intervento direttamente dispositivo di controllo sulle persone dipendenti dall'appaltatore del servizio, non essendo sufficiente a configurare la intermediazione vietata il mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto”. Sono dunque leciti gli appalti di opere e servizi che “costituiscano un servizio in sé svolto con organizzazione e gestione autonoma dell'appaltatore, senza diretti interventi dispositivi di controllo dell'appaltante sulle persone dipendenti dall'altro soggetto” (Cass., 22 gennaio 2021, n. 1403).
Quanto alla interlocuzione tra dipendenti dell’appaltante e dell’appaltatore, la sentenza in commento chiarisce che “in tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro non è sufficiente, ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, occorrendo verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto”.
Applicando correttamente tali principi e ripercorrendo le risultanze istruttorie, la sentenza in commento ritiene sussistere un’effettiva attività organizzativa svolta dalla appaltatrice (tramite un proprio referente) grazie alla quale i servizi oggetto di appalto venivano eseguiti e controllati dalla appaltante relativamente al loro buon risultato.
Quanto ai contatti tra i dipendenti dell’appaltatrice e quelli dell’appaltante, la sentenza in esame accerta che gli stessi sono rimasti limitati a situazioni particolari, connotate dal carattere dell’urgenza. Conseguentemente, conclude che tali contatti non siano sintomatici di una fittizia interposizione di manodopera in quanto “riconducibili a fisiologiche interlocuzioni derivanti dall’esecuzione del contrato di appalto – specie se di natura c.d. endoaziendale - che non superano l’ambito della necessaria collaborazione mediante indebita ingerenza nelle modalità di adempimento della prestazione lavorativa del dipendente delle società appaltatrici, rimanendo in capo alle medesime la gestione e il coordinamento delle proprie risorse umane”.
La Corte d’Appello, dunque, ritiene di aderire alle conclusioni della sentenza di primo grado (che avevamo commentato sul nostro sito: “L’appalto di manodopera è genuino anche se l’appaltante ha contatti diretti con i dipendenti dell’appaltatore al fine di garantire l’utilità del servizio”).