L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore non costituisce trasferimento d'azienda se il complesso di elementi organizzativi e produttivi introdotti dal subentrante sia caratterizzato da profili di tale novità da interrompere il nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà precedentemente sussistente tra i fattori della produzione che consentivano l'esecuzione dell'appalto.
Questo il principio affermato dalla Cassazione, con sentenza del 24 ottobre 2024, n. 27607.
La Corte era chiamata a pronunciarsi sulla sentenza resa dalla Corte d’Appello di Bologna, la quale aveva accertato che il subentro nell'appalto dei servizi di vigilanza, accoglienza e portierato presso la società appaltante integrasse un trasferimento di ramo di azienda, ai sensi del novellato art. 29, comma 3, del D.Lgs. n. 276 del 2003. A tale conclusione la Corte territoriale era giunta sulla base dell’assunto che l’impresa subentrante non presentasse elementi di discontinuità nella gestione dell’appalto, posto che una parte della strumentazione tecnica impiegata nonché i locali erano necessariamente forniti dalla stazione appaltante, mentre gli unici elementi di novità organizzativa introdotti dalla società subentrante erano consistiti nell'adozione delle nuove divise di lavoro e dei cartellini di riconoscimento.
La sentenza in commento muove dalla ricognizione del dato normativo di riferimento: l’art. 29, comma 3, del D.Lgs. n. 276 del 2003, come novellato dall’art. 30, Legge n. 122 del 2016, emanato in ossequio alla Direttiva 2001/23/CE, a norma del quale “L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda”,
Come rilevato dalla Corte, il legislatore ha “ribaltato la prospettiva precedente (ossia la formulazione originale dell'art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, ove si escludeva che il cambio di appalto integrasse un trasferimento di azienda), ed ha ritenuto che - in caso di appalto genuino da parte di un nuovo appaltatore ossia di un imprenditore che abbia propria struttura organizzativa ed operativa - opera una sorta di presunzione di operatività dell'art. 2112 c.c., per cui il cambio di appalto costituisce un trasferimento di azienda, a meno che la società subentrante sia caratterizzata da "elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa"”.
Dunque, solo in presenza di circostanze tali da determinare una discontinuità fra la precedente organizzazione produttiva e quella nuova si potrà escludere l'applicabilità dell'art. 2112 c.c.
Come evidente, l’elemento della discontinuità è l’opposto della identità/continuità d’impresa, proprio della cessione d’azienda, che si realizza allorché “permangono gli stessi mezzi, beni e rapporti giuridici finalizzati all'esercizio stabile e continuativo dell'attività economica in forma di impresa" (la sentenza in commento rammenta, in tal senso, Cass. n. 17063 del 2015)
Secondo la giurisprudenza comunitaria – rammenta la Cassazione - “per poter apprezzare la conservazione dell'autonomia funzionale di un ramo di impresa, dev'essere preso in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l'operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il tipo di impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, quali gli edifici e i beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un'eventuale sospensione di tali attività” (si richiama, CGCE 11.3.1997, C - 13/95, Suzen; CGCE 20.11.2003, C - 340/2001, Abler; CGCE 15.12.2005, C-232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir; CGUE 6.9.2011, C-108/10, Scattolon; CGUE 20.7.2017, C - 416/18, Piscarreta Ricardo; CGUE 13.6.2019, C - 664/2017, Ellinika Nafpigeia AE).
Invero, sottolinea la Corte, “è il mantenimento non già della struttura organizzativa specifica imposta dall'imprenditore ai diversi fattori di produzione trasferiti, bensì del nesso funzionale di interdipendenza e complementarità fra tali fattori a costituire l'elemento rilevante per determinare la conservazione dell'identità dell'entità trasferita: il mantenimento di un siffatto nesso funzionale tra i vari fattori trasferiti consente al cessionario di utilizzare questi ultimi, anche se essi sono integrati, dopo il trasferimento, in una nuova diversa struttura organizzativa al fine di continuare un'attività economica identica o analoga (CGUE 12.2.2009, C - 466/07, Klarenberg; successivamente, in conformità, CGUE 9.9.2015, C - 160/2014, Ferreira)”.
Pertanto, è rinvenibile la discontinuità dell’impresa subentrante nell’appalto, pure se questa abbia acquisito il personale già impiegato nell’appalto, “se il complesso di elementi organizzativi e produttivi introdotti, nello specifico appalto, dal subentrante sia caratterizzato da profili di tale novità da interrompere il nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà precedentemente sussistente tra i fattori della produzione che consentivano l'esecuzione dell'appalto”.
Conclude la Corte che “L'applicazione delle tutele dettate dall'art. 2112 c.c. conseguirà tutte le volte in cui si rilevi che l'entità trasferita - senza la necessità di integrazioni di rilievo da parte dell'impresa subentrante - sia idonea ad eseguire l'appalto in tendenziali condizioni di autonomia operativa”.
Dunque, il giudice del merito è chiamato a verificare se “quella organizzazione funzionale rappresenti una struttura coordinata e autonomamente capace di conseguire un determinato obiettivo (l'esecuzione dell'appalto), senza necessità di rilevanti integrazioni da parte dell'impresa subentrante nell'appalto”.
La sentenza in commento si pone nel solco della più recente giurisprudenza di legittimità, la quale, ancora di recente, ha ribadito che “la discontinuità va accertata o esclusa con riguardo alla conservazione dell'identità dell'entità trasferita, da intendersi quale organizzazione funzionale, ovvero quale struttura coordinata autonomamente capace di conseguire un determinato obiettivo, che prosegue nel cambio di appalto, anche nel caso in cui l'assunzione dei lavoratori sia imposta dal contratto di appalto o da clausola sociale di contratto collettivo” (la Corte richiama in tal senso, Cass. n. 19977 del 2024).
Nella fattispecie, la Cassazione ritiene quindi corretta l’applicazione da parte della Corte territoriale di tali principi, allorché non ha rinvenuto “la ricorrenza di elementi di discontinuità nelle modifiche organizzative inserite dal nuovo appaltatore consistenti nell'adozione delle divise della società e dei cartellini di riconoscimento”, modifiche tali “da non incidere sull'autonomia funzionale del gruppo di lavoratori acquisito”.