Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza del 4 dicembre 2024 n. 31136 hanno chiarito che, nel caso di domande avvinte da un nesso di cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità, affinché il giudice d’appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado, l’attore deve avanzare appello incidentale condizionato, non potendo limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. la rispettiva domanda, esaminata e respinta nella sentenza impugnata.
1. - I fatti di causa
V.R. proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Roma che, nel riformare la sentenza di 1° grado, aveva respinto la domanda avanzata da quest’ultimo volta ad ottenere la condanna, in via alternativa, della Regione Lazio, del Comune di Latina o dell'INPS a pagare una somma di denaro a titolo di differenze retributive dovute per lo svolgimento di mansioni superiori.
Il giudice di 1° grado aveva accolto il ricorso di V.R. condannando l'INPS a corrispondere l’importo richiesto, “in quanto il lavoratore era stato comandato alle dipendenze dell'INPS dagli enti di appartenenza (prima Comune di Latina e poi Regione Lazio), e doveva perciò essere l’amministrazione ove era stato comandato, la quale aveva indebitamente utilizzato il dipendente nelle mansioni de quibus, a corrispondere le relative differenze retributive”.
La sentenza di primo grado è stata impugnata, in via principale, dall’INPS e, in via incidentale, da V.R. limitatamente al capo sulla compensazione delle spese.
La Corte d’appello, nell’accogliere il gravame principale proposto dall’INPS, ha rilevato che, poiché V.R. nel costituirsi in giudizio aveva proposto appello incidentale limitatamente al capo sulle spese di lite e non aveva riproposto le domande, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., nei confronti del Comune di Latina e della Regione Lazio, in ordine alle stesse non poteva esserci pronuncia nel giudizio di impugnazione.
Per il giudice di secondo grado la proposizione dell’appello incidentale sul solo capo attinente alle spese “attesterebbe l'accettazione della sentenza del Tribunale nelle parti relative al rigetto delle domande verso gli altri convenuti”.
Contro la sentenza d’appello V.R. ha proposto ricorso per cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e 346 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto la necessità di proporre appello incidentale condizionato al fine di ottenere il riesame e l’eventuale accoglimento delle pretese verso il Comune di Latina e la Regione Lazio.
2. - L’ordinanza interlocutoria
La questione giuridica sottesa al ricorso proposto da V.R. è stata ritenuta di particolare importanza dalla Cassazione che con l’ordinanza interlocutoria n. 3358/2024, pubblicata il 6 febbraio 2024, ha rimesso la causa alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
3. - Le Sezioni Unite n. 31136/2024
La questione sollevata nell’ordinanza interlocutoria è stata esaminata dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza in commento del 4 dicembre 2024 n. 31136 ed è stata così riassunta: nel caso di cumulo soggettivo passivo alternativo di domande, ovvero di un litisconsorzio soggettivamente alternativo, le possibili risposte circa la condotta che deve osservare l'attore appellato, a seguito del gravame avanzato dall'unico convenuto soccombente, sono tre:
“1) egli è tenuto a proporre appello incidentale condizionato contro i convenuti andati assolti;
2) egli è tenuto a riproporre espressamente in appello, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., le domande verso i convenuti non soccombenti;
3) egli non dovrebbe fare alcunché, bastando l'appello del soccombente a rimettere per intero in discussione il tema della individuazione dell'effettivo debitore”.
Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno ricordato che in materia si era già espressa la giurisprudenza di legittimità con la sentenza n. 11202 del 2002, resa sempre a Sezioni Unite, che aveva prescelto univocamente la tesi secondo cui, “avendo l'appellato, con la sentenza di condanna di un convenuto, visto per intero realizzato il proprio interesse, gli basta (ma gli occorre) la riproposizione ex art. 346 c.p.c. della(e) domanda(e) nei confronti dell'altro (degli altri) convenuto(i). Una manifestazione di volontà ad hoc da parte dell'appellato è richiesta giacché l'unicità del rapporto sostanziale di credito, con titolare passivo incerto, non toglie che due e distinte siano le formali pretese, caratterizzate, pur nell'identità del petitum, dalla diversità dei soggetti convenuti (personae) e in parte dai fatti e dagli argomenti di sostegno (causae petendi)”.
In altro precedente giudiziario (Cass. S.U., sent. n. 7700 del 2016) la Corte ha preliminarmente stabilito la linea di demarcazione fra l’appello incidentale e il concetto di riproposizione ex art. 346 c.p.c.
Per la Corte alla riproposizione “deve ritenersi estraneo ogni profilo di deduzione di una critica alla decisione impugnata, il che è connaturato al concetto di impugnazione… con la riproposizione il legislatore ha inteso alludere alla prospettazione al giudice di appello di domande ed eccezioni che possono essere nuovamente “proposte” come lo erano state al primo giudice, giacché da questo “non accolte”, ma senza che egli le abbia considerate espressamente o implicitamente nella sua motivazione, e dunque senza che le valutazioni su di esse abbiano concorso a determinare il contenuto della decisione, altrimenti imponendosi una critica alla sentenza e, perciò, un appello incidentale”.
Alla luce della predetta distinzione, la sentenza n. 7700 del 2016 si è posta in contrasto con la sentenza n. 11202 del 2002, avendo espunto dall'ambito di operatività dell'art. 346 c.p.c. “ogni ipotesi di domanda o eccezione respinta, cioè su cui il giudice di primo grado abbia espresso una decisione o sia incorso in un error in procedendo”. Pertanto, nel caso di rigetto espresso (o implicito) di una domanda, per ridiscuterne, sarà di regola necessario l’appello, che potrà assumere carattere principale oppure incidentale e non sarà mai utilizzabile l’art. 346 c.p.c.
Con riferimento specifico all’ipotesi di domande alternative, Cass., S.U. sent. n. 7700 del 2016 ha preliminarmente distinto il caso in cui si configura un’alternatività oggettiva per incompatibilità nello stesso diritto sostanziale(il giudice per ritenerne fondata una domanda deve necessariamente reputare infondata l'altra) dal caso in cui l'alternatività non sia tale (potendo coesistere i fatti costitutivi di entrambe le domande ed essendo essa solo espressione dell'indifferenza dell'interesse della parte all'accoglimento di una di esse).
Orbene, nella prima ipotesi la decisione impugnata deve aver necessariamente pronunciato (anche implicitamente) su entrambe le domande, per cui l’attore, a seguito dell'impugnazione del convenuto, non si troverà nella condizione né di dover proporre appello incidentale né di dover riproporre l'altra domanda, “qualora l'appellante convenuto proponga il suo appello censurando la sentenza di primo grado con una prospettazione che neghi la fondatezza di entrambe le domande, cioè sia di quella accolta, sia di quella esclusa solo perché incompatibile con quella accolta”. In tal caso, la discussione su entrambe le domande è stata già sollecitata dallo stesso appellante.
Semmai per l’attore, dicono le S.U. del 2006, si porrà un problema di devoluzione al giudice d'appello di eventuali questioni decise espressamente o implicitamente dalla sentenza di primo grado. L'appello incidentale sarà quindi configurabile in relazione a tali questioni.
Allo stesso modo, se il convenuto proponga appello avverso la decisione di accoglimento di una domanda per ragioni solo ad essa intrinseche, che non comporterebbero la fondatezza di quella invece ritenuta infondata, “l'attore, per ottenere che sia riesaminata la domanda reputata infondata, essendovi stata una decisione espressa (o implicita) riguardo ad essa, deve criticarla e, quindi, deve proporre appello incidentale quanto alla sua decisione”.
Nella seconda ipotesi, se il primo giudice ha accolto una domanda e rigettato l'altra, la posizione di indifferenza dell'attore rispetto all'accoglimento dell'una o dell'altra, esclude che egli abbia interesse ad impugnare, essendo la sua soccombenza non pratica ma solo teorica. L’impugnazione del convenuto non potrà che dirigersi contro la domanda accolta e l'attore, a questo punto, vedrà sorgere il suo interesse a rimettere in discussione il rigetto dell’altra domanda, attraverso l’appello incidentale condizionato all'eventuale accoglimento dell'appello del convenuto sull'altra domanda.
Secondo le Sezioni Unite del 2006, in tal caso “la mera riproposizione ai sensi dell'art. 346 c.p.c. non sarà, dunque, sufficiente”.
L’interpretazione sui limiti di operatività dell'art. 346 c.p.c. data nella sentenza n. 7700 del 2016 (nel senso che alla riproposizione debba ritenersi estraneo ogni profilo di critica ad una decisione comunque, espressamente o implicitamente, resa) trova più ampia conferma, dicono le Sezioni Unite, nella recente giurisprudenza di legittimità (si v. sent. nn. 7940/2019; 13195/2018; 11799/2017).
In particolare, la sentenza n. 11799 del 2017, ricorda la Corte, nel tracciare i confini fra “appello incidentale” e c.d. “mera riproposizione”, ha richiamato puntualmente la sentenza n. 7700 del 2016, “confermando i legami di rigorosa consequenzialità, rispettivamente, tra: enunciazione espressa o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza e gravame incidentale; carenza di enunciazione espressa, o comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza e riproposizione”.
Le Sezioni Unite nella sentenza in commento n. 31136/2024 hanno rilevato che i profili problematici colti dall'ordinanza interlocutoria si pongono soltanto nel caso di “cumulo alternativo sostanziale incondizionato di domande tra loro incompatibili” che si ha quando l'attore proponga in giudizio due (o più) pretese tra loro incompatibili nei confronti di due (o più convenuti).
In altre parole, tale cumulo si verifica quando l'attore fa causa alternativamente nei confronti di due o più convenuti, “richiedendo uno stesso bene della vita, ma le domande sostanzialmente cumulate divergono, oltre che per la persona del destinatario della pretesa, eventualmente anche per il petitum immediato e/o per la causa petendi, sicché l'una domanda non può dirsi fondata ed essere accolta se risulta fondata e si accoglie l'altra, mentre esse ben possono essere entrambe rigettate”.
Le domande, dicono le Sezioni Unite, restano, pertanto, due, sotto il profilo strutturale, seppure avvinte da unitarietà funzionale e da interdipendenza processuale, atteso che la soluzione dell'una non può aversi se non in funzione della soluzione dell'altra, e ciò delinea l'unitarietà del litisconsorzio.
In caso di cumulo alternativo sostanziale incondizionato, il rispetto della regola di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato “impone al giudice di primo grado di adempiere al proprio dovere decisorio in maniera da dirimere il dubbio irrisolto nella individuazione dell'effettivo obbligato, pervenendo all'affermazione della responsabilità di uno di essi, sicché la sentenza contiene una pluralità di statuizioni, di fondatezza e di infondatezza delle rispettive pretese, l'una dipendente e discendente dall'altra”.
Come già riscontrato più volte da una costante elaborazione giurisprudenziale, il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo in sede di impugnazione comporta l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. e cioè una situazione di litisconsorzio unitario (o necessario processuale).
Tuttavia, rileva la Cassazione, il litisconsorzio processuale in sede di gravame se, da una parte, garantisce, appunto, l'integrità del contraddittorio (quanto ai soggetti che devono prendere parte al giudizio), dall’altra, “non ne determina ipso iure l'ampiezza, questa dipendendo dalle specifiche iniziative dei singoli litisconsorti in relazione all'ambito oggettivo di quanto è devoluto al giudice del gravame”.
Ne deriva che l'appellato, soccombente sul capo che ha respinto le domande verso i convenuti alternativi, deve proporre impugnazione incidentale per chiedere che le stesse siano nuovamente decise nel merito.
Gli effetti dell'eventuale accoglimento dell'appello formulato dal singolo convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado vanno stabiliti alla luce del principio simul stabunt simul cadent.
Nello specifico, il capo dipendente di sentenza recante l'enunciazione espressa (o indiretta) di infondatezza della pretesa azionata dall'attore verso il convenuto alternativo rispetto a quello condannato, “subisce l'effetto espansivo interno della riforma derivante dall'accoglimento del gravame principale e, dunque, non passa in giudicato, sicché dall'accoglimento dell'appello principale non discende una duplice soccombenza dell'attore stesso”.
L'effetto espansivo della riforma provocato dal nesso di dipendenza tra le pretese in cumulo alternativo e tra i correlativi capi della decisione inerenti alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite non comporta, dice la Cassazione, la devoluzione automatica al giudice d'appello della pronuncia sulla domanda dell'attore verso il litisconsorte alternativo assolto, non potendosi giustificare la modifica della prima sentenza su tale punto, nel senso di condannare l'altro convenuto, in forza soltanto dei motivi dell'appello principale.
Le pretese in cumulo alternativo verso i distinti convenuti, reciprocamente incompatibili sul piano sostanziale, concorrono, ha affermato la Cassazione, “in modo apparente ai fini del soddisfacimento del medesimo interesse e si pongono tra loro in relazione di esclusione (non di assorbimento), sicché la decisione del giudice nel merito deve riguardare sempre entrambe perché, se è fondata l'una, è infondata l'altra. L'eguaglianza del risultato economico cui mirano le domande cumulate non ne giustifica, tuttavia, la simultanea integrale devoluzione al giudice d'appello sol perché il convenuto soccombente con l'impugnazione principale rimette in discussione la statuizione inerente alla sua condanna, e quindi alla individuazione del soggetto passivo della pretesa azionata”.
In definitiva, l'effetto espansivo della riforma della sentenza che abbia visto condannato uno dei convenuti alternativi non può quindi giovare oltre i limiti della soccombenza di quest'ultimo ed in favore dell'attore, il quale non abbia proposto alcuna doglianza volta a sovvertire l'esito del giudizio in danno dell'altro convenuto.
4. - Il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite
In conclusione, nella sentenza in commento le Sezioni Unite, hanno pronunciato il seguente principio di diritto: “Nel caso di domande avvinte da un nesso di cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità, proposte dall'attore nei confronti di due diversi convenuti, la sentenza di primo grado che condanna colui che sia individuato come effettivo obbligato contiene una statuizione di fondatezza della rispettiva pretesa e una statuizione di rigetto nel merito della pretesa alternativa incompatibile. Il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo comporta in sede di impugnazione l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. e la riforma del capo della sentenza inerente alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite, conseguente all'accoglimento dell'appello formulato dal convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado, ha effetto anche sul capo dipendente recante l'enunciazione espressa, o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza della pretesa azionata dall'attore verso l'altro convenuto. Affinché il giudice d'appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa altresì accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado e perciò condannare quest'ultimo, l'attore non può limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. la rispettiva domanda, esaminata e respinta nella sentenza impugnata, ma deve avanzare appello incidentale condizionato”.
In applicazione del principio enunciato e sopra riportato, la Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso proposto da V.R., in quanto, essendo le domande da quest’ultimo proposte avvinte da un nesso di cumulo alternativo sostanziale per incompatibilità, il ricorrente avrebbe dovuto proporre appello incidentale condizionato per far valere in sede di gravame le domande contro la Regione Lazio e il Comune di Latina respinte dal Tribunale.
Per leggere il testo integrale della sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, del 4 dicembre 2024, n. 31136 clicca qui: https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/31136_12_2024_civ_noindex.pdf
Per leggere il testo integrale dell’ordinanza interlocutoria della Cassazione del 6 febbraio 2024, n. 3358 clicca qui: https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/3358_02_2024_civ_noindex.pdf
Con l’ordinanza n. 29690 del 19 novembre 2024, la Corte di Cassazione si è espressa in materia di famiglia affermando che gli istituti sanzionatori previsti rispettivamente dall’art. 709-ter c.p.c. (oggi abrogato e sostituito dall’art. 473-bis.39) e dall’art. 614–bis c.p.c. (c.d. astreinte), avendo finalità diverse, possono coesistere al fine di meglio tutelare il principio di bigenitorialità.
1. - I fatti di causa
In seguito al ricorso proposto nel novembre 2015 da Ap. Gi. ai sensi degli artt. 330, 333 e 336 c.c. davanti al Tribunale per i minorenni di Roma era stata disposta la decadenza di Ma. La. dall’esercizio della responsabilità genitoriale sul figlio Ap. Lo, nato nel 2010, ed era stato ordinato che il minore fosse collocato in una casa-famiglia con sospensione temporanea dei rapporti con la madre.
Il giudizio proseguito fino in Cassazione era stato successivamente riassunto davanti alla Corte d’appello di Roma che con decreto n. 369/2023, in accoglimento del reclamo proposto dalla madre Ma. La., ascoltato il minore e all’esito di nuova CTU psicologica, ha disposto il ripristino della responsabilità genitoriale di Ma. La. sul figlio Ap. Lo., limitatamente alla sua gestione ordinaria, revocando la nomina del tutore.
Veniva altresì disposto, fermo restando il collocamento del minore presso l’abitazione materna, l'affidamento ai Servizi Sociali territorialmente competenti, per tutte le decisioni più importanti.I Servizi venivano incaricati “di monitorare l'evoluzione psicofisica del minore effettuando colloqui periodici con la scuola, con l'ospedale (…) e con lo psicoterapeuta di Ap.Lo., relazionando al riguardo, a scadenza almeno semestrale, il Giudice Tutelare, nonché relazionando immediatamente al PMM, qualora ravvisino comportamenti pregiudizievoli all'interesse del minore, posti in essere da Laura Ma.La.”.
Tra le altre prescrizioni, veniva confermata la previsione di un contributo per il mantenimento del minore, a carico del padre, nell’importo già stabilito di € 500,00 mensili, fermo l’adeguamento secondo gli indici Istat, oltre al 50% delle relative spese straordinarie.
Infine, veniva respinta la domanda formulata da Ap. Gi. ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c. nei confronti di Ma.La.
2. – Il ricorso per cassazione
Avverso la suddetta pronuncia, Ap. Gi. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
In particolare, con il sesto motivo, il ricorrente ha dedotto “la violazione dell'art. 709ter c.p.c. per la mancata adozione delle misure sanzionatorie previste dalla norma, in particolare, la condanna al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria ai danni del genitore inadempiente”.
Nello specifico, il ricorrente aveva chiesto, in sede di riassunzione del giudizio di rinvio, ex art. 709-ter c.p.c., che fosse sanzionato l’impedimento all’esercizio passato della bigenitorialità, deducendo che:
“- il padre, da quando il minore aveva tre anni, ne ha perso tutti i contatti a causa dei comportamenti ostativi riconosciuti in capo alla ricorrente fermata decisa ad impedire immotivatamente la frequentazione tra il padre ed il figlio e il padre, disconoscendo a quest’ultimo qualsiasi ruolo e volendone azzerare la presenza nella vita della persona concepita insieme;
- deve ritenersi comprovato, ed anzi coperto da un giudicato interno, un atteggiamento ostruzionistico della madre ed il condizionamento al corretto svolgimento delle modalità di vista del padre, nonché il disagio, le sofferenze ed i conflitti derivati al minore da tale atteggiamento”.
Nelle conclusioni del ricorso in riassunzione Ap. Gi. aveva anche chiesto anche l’applicazione dell’art. 614-bis c.p.c., nel caso in cui la madre avesse continuato “a reiterare un comportamento ostativo ed impeditivo dei rapporti tra padre e figlio”.
L’utilizzo delle sanzioni economiche previste dall’art. 709 - terc.p.c., aveva ricordato la Cassazione con la precedente ordinanza n. 9691/2022, costituisce una delle “misure che le autorità debbono considerare - come richiesto dai principi CEDU in ordine all'effettività del principio di bigenitorialità”.
Con la riforma Cartabia (D.Lgs. 149/2022) l’art. 709 - terc.p.c. è stato abrogato e la disposizione è stata trasferita nel nuovo art. 473-bis.39 c.p.c. che oggi prevede, nel caso di gravi inadempienze che minano il corretto svolgimento delle modalità di affidamento e di atti volti a danneggiare il minore, la possibilità per il Giudice di disporre anche d’ufficio, non solo su istanza di parte, alternativamente o cumulativamente, una serie di interventi: dall’ammonimento, alla condanna, ad una sanzione pecuniaria o alla fissazione di una somma di denaro da doversi corrispondere ai sensi dell'art. 614 - bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento o per le violazioni successive nei casi più gravi di inerzia volontaria.
Nell’ordinanza in commento la Cassazione ha affermato come sul modello dei ‘punitive damages’, tipico dei paesi di Common law, sia stata introdotta la possibilità per il Giudice di adottare d’ufficio le astreintes, già previste, in generale, dall’art. 614-bis c.p.c.
Nel caso in esame, visto il susseguirsi di normative, la Cassazione nell’ordinanza in commento, ha ritenuto operasse il vecchio art. 709-ter c.p.c.
La Corte si è poi interrogata se potessero applicarsi, al presente giudizio, anche le c.d. astreintes, comunque già contemplate dall’art. 614-bis c.p.c., ricordando che “le astreintes sono volte non tanto a sanzionare ex post violazioni già verificatesi ma ad evitare ex ante l'inadempimento futuro, mediante la condanna al pagamento di una somma di denaro, destinata ad accrescersi con il protrarsi della condotta indesiderata e ad acquistare automaticamente efficacia di titolo esecutivo”.
Si tratta di una misura compulsoria che può essere comminata dal giudice in via accessoria, volta a prevenire a priori l’inosservanza di “obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro”.
Nell’ordinanza in commento, la Corte ha altresì chiarito che l’art. 614-bis c.p.c. subordina la concessione della sanzione accessoria compulsiva a determinate condizioni, quali l’istanza di parte, la non manifesta iniquità, l'estraneità alle controversie di lavoro, e “ciò diversamente da quanto dispone il nuovo art. 473-bis.39 c.p.c.”, non operante nel caso di specie.
Al contrario i rimedi prescritti dall’art. 709-ter c.p.c. (abrogato), come l’ammonizione, il risarcimento del danno, la sanzione amministrativa pecuniaria, rispondono, dice la Corte “ad una funzione repressiva di già avvenute violazioni o inattuazioni totale o parziale dei doveri familiari, di maggiore gravità, tra i quali rientrano anche i comportamenti che, ad es., ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento e dell’esercizio della responsabilità genitoriale”.
La giurisprudenza in più occasioni ha affermato l’ammissibilità dell’art. 614-bis c.p.c. nell’ambito del procedimento di famiglia.
Tra gli “obblighi diversi dal pagamento di somme” può essere invero ricompreso, ha affermato la Cassazione, “qualsivoglia ordine incoercibile di fare, compresi, quindi, i provvedimenti che riguardano i figli”.
Inoltre, secondo la Corte, non si verificherebbe una sovrapposizione tra gli artt. 614-bis e 709-ter c.p.c. in quanto mentre le astreintes svolgono una funzione preventivae guardano al futuro per cui divengono esigibili se si verificherà una violazione, l’art. 709-ter c.p.c., svolge una funzione prettamente sanzionatoria che postula una violazione che si è già verificata.
Pertanto, i due istituti, avendo finalità diverse, possono coesistere.
Secondo la Corte, l’applicazione combinata dell’art. 709-ter c.p.c. e dell’art. 614-bis c.p.c. “può rivelarsi efficace e necessaria proprio in relazione all’attuazione del principio di bigenitorialità, secondo cui va preservata, nell’interesse del minore, la presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea ad assicurargli una stabile consuetudine di vita e di relazioni affettive con entrambi i genitori, unitamente al dovere di questi di cooperare nell’assistenza, educazione e istruzione del figlio”.
La Corte ha affermato che “anche la disciplina dettata dall’art. 709-ter c.p.c., in materia di famiglia, non precludeva la possibilità di fare ricorso ad altri istituti generali dell’ordinamento processuale, non trattandosi di un sistema chiuso ed avendo i provvedimenti ex art. 614bis c.p.c. e quelli ex art. 709-ter c.p.c. diversa natura e funzione, ben potendo, quindi, concorrere ed essere cumulati. Deve peraltro ribadirsi che la misura di coercizione indiretta nella materia della famiglia, ex art. 614-bis c.p.c., ha (aveva in considerazione della Riforma operata con il D.Lgs. 149/2022 e l’introduzione del nuovo art. 473-bis. 39 operante per i nuovi giudizi) un ambito di applicazione relativo a tutti i provvedimenti che attengono ai profili della responsabilità genitoriale e al minore (affidamento, collocamento, regolamentazione dei rapporti genitore e figlio, statuizioni relative agli interventi disposti a tutela del percorso di crescita del minore) e al provvedimento di assegnazione della casa coniugale, mentre non può applicarsi alla violazione delle statuizioni economiche che godono già di loro pregnante sistema di garanzie successive all'inadempimento”.
La Corte ha poi precisato che il disposto dell’art. 709-ter c.p.c. non contemplava espressamente l’applicazione delle c.d. astreintes, cosa che invece consente oggi il nuovo art. 473-bis.39 c.p.c. (“potendo ora il giudice applicare tali misure coercitive indirette specifiche anche d’ufficio”). Perciò, avendo il ricorrente denunciato con il ricorso per cassazione solo la mancata applicazione dei rimedi sanzionatori previsti dall’art. 709-ter c.p.c. senza avanzare in relazione all’applicazione dell’art. 614-bis c.p.c. alcuna doglianza, su quest’ultimo punto la Corte non ha potuto prendere alcuna decisione.
Nel giudizio definito dalla pronuncia qui segnalata, il padre aveva chiesto una sanzione a carico della Ma. La., essendosi quest’ultima “sottratta alle prescrizioni impartite dai giudici” avendo impedito l’esercizio della bigenitorialità. Il predetto comportamento della madre – di mancata collaborazione all’attuazione della ricostituzione di un rapporto padre-figlio – era stato accertato in modo incontrovertibile dalla Corte d’appello per cui quest’ultima, rileva la Cassazione, dovrà riesaminare la possibilità di riconoscere la sanzione sulla base dell’inadempimento passato con la precisazione che eventuali futuri comportamenti ostativi potranno formare oggetto di valutazione “anche ai sensi del nuovo disposto normativo”, con possibilità per il giudice di adottare d’ufficio le misure di coercizione indiretta.
La Cassazione, in accoglimento del sesto motivo di ricorso, respinti gli altri, ha cassato la pronuncia impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.
In data 20 novembre 2024 è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2024/2847 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2024 “relativo a requisiti orizzontali di cibersicurezza per i prodotti con elementi digitali e che modifica i regolamenti (UE) n. 168/2013 e (UE) 2019/1020 e la direttiva (UE) 2020/1828” (regolamento sulla ciberresilienza)
L’ ambito di applicazione del Regolamento (v. art. 2) riguarda, salvo specifiche esclusioni, i prodotti con elementi digitali messi a disposizione sul mercato la cui finalità prevista o il cui utilizzo ragionevolmente prevedibile include una connessione dati logica o fisica diretta o indiretta a un dispositivo o a una rete.
Il regolamento stabilisce (v. art. 1):
Gli altri capi del Regolamento riguardano gli obblighi degli operatori economici e disposizioni in materia di software liberi e open source (Capo II), le regole di conformità del prodotto con elementi digitali (Capo III), la notifica degli organismi di valutazione della conformità (Capo IV), norme sulla vigilanza del mercato (Capo V) etc…
Infine, tra le disposizioni transitorie e finali disciplinate al Capo VIII, l’articolo 71 prevede che il Regolamento entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e si applicherà dall’11 dicembre 2027.
Con la specificazione che “l’articolo 14 si applica a decorrere dall’11 settembre 2026 e il capo IV (articoli da 35 a 51) si applica a decorrere dall’11 giugno 2026”.
Per leggere il testo integrale del regolamento clicca qui:
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:L_202402847
Sullo stesso tema, leggi anche, sempre sul nostro sito, l’articolo di Maria Santina Panarella - La legge sulla cybersecurity: le novità per aziende e p.a.