L’ordinanza in commento, pubblicata in data 10 maggio 2023, costituisce uno dei primi provvedimenti resi dalla Suprema Corte (in particolare, secondo quanto previsto dalla disciplina normativa della quale subito si dirà, dalla Prima Presidente della medesima) in materia di rinvio pregiudiziale (art. 363-bis c.p.c.), istituto recentemente introdotto dalla Riforma Cartabia.
La questione interpretativa è stata rimessa allo scrutinio della Cassazione con ordinanza del 30 marzo 2023 dal Tribunale di Taranto, che, nel corso di un giudizio pensionistico, aveva ritenuto opportuno procedere al rinvio pregiudiziale degli atti per la risoluzione della seguente questione di diritto: “se, ai fini della misura del trattamento pensionistico avente decorrenza dal 1° maggio 2020, la quota di pensione calcolata con il sistema “contributivo”, per il periodo dal 1° gennaio 1996 in poi, possa essere riliquidata in base alla maggiorazione prevista dall’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (come modificato dalla legge 4 agosto 1993, n. 271) per i lavoratori esposti all’amianto”.
Secondo il giudice a quo, dovevano ritenersi sussistenti tutte le condizioni previste dal nuovo art. 363-bis c.p.c. (v. ord. Trib. Taranto, sez. lav., dott. Cosimo Magazzino, 30 marzo 2023):
Al contrario, il giudice ad quem ha ritenuto che il quesito sollevato nell’ordinanza di rinvio non fosse dotato del requisito della “novità della questione”, essendo rinvenibili all’interno della giurisprudenza della stessa Cassazione “principi idonei ad orientare ai fini della risoluzione interpretativa posta”.
La Corte di Cassazione, dopo aver ricordato che la Sezione Lavoro si è espressa “non soltanto sulla ratio della disciplina rilevante ai fini della decisione della controversia oggetto del giudizio a quo (sul punto anche Cass., Sez. IV, 13 luglio 2017, n. 17433), ma pure sul rilievo che il beneficio in esame assume in relazione alle concrete modalità di calcolo delle pensioni (Cass., Sez. VI-L, 23 dicembre 2016, n. 26923; Cass., Sez. IV, 14 ottobre 2022, n. 30264), nonché sulla portata del giudicato formatosi sul diritto alla rivalutazione dei contributi da esposizione all'amianto ed ai suoi riflessi sulla posizione contributiva del titolare (Cass., Sez. IV, 18 ottobre 2022, n. 30639; Cass., Sez. IV, 11 gennaio 2023, n. 528)”, ha dichiarato inammissibile il rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Taranto appunto per difetto del requisito della novità della questione, richiesto dall’art. 363-bis c.p.c.
Per leggere l’ordinanza di inammissibilità in commento clicca qui: https://www.cortedicassazione.it/cassazione-esources/resources/cms/documents/Rg_6965_23_Decreto_Prima_Presidente_inammissibilita_quest_preg_no-index.pdf
Per leggere l’ordinanza di di rinvio del Tribunale di Taranto clicca qui:
Alcune organizzazioni sindacali hanno adito il Tribunale di Palermo al fine di accertare la condotta antisindacale tenuta dalla soc. (omissis) s.r.l. nell’ambito del rapporto lavorativo con i rider.
Tra le condotte contestate, le O.O.S.S. hanno lamentato il mancato riconoscimento del rappresentante dei lavoratori sui temi della sicurezza eletto dai rider della comunità di rischio di Palermo, la mancata consegna e/o messa a disposizione per la consultazione del D.V.R. e della documentazione richiesta e il rifiuto di un confronto sui temi della salute e sicurezza dei rider.
Inoltre, sempre in tema di trasparenza, veniva contestato il diniego da parte della società di comunicare alle organizzazioni sindacali ricorrenti le informazioni previste dal d.lgs. 104/2022 (v. sul punto la scheda di approfondimento al seguente link: Condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili: oggetto e modalità di adempimento degli obblighi informativi posti a carico del datore dal decreto trasparenza).
Il Tribunale di Palermo rigettava l’eccezione sollevata dalla società resistente di inammissibilità del procedimento ex art. 28 L. 300/1970, ritenendo comunque inquadrabile la prestazione resa dai riders nell’alveo dell’art. 2, comma 1, d.lgs. 81/2015 (v. sul medesimo tema altri nostri precedenti articoli: “La giurisprudenza torna a pronunciarsi sull’applicabilità dell’art. 28, co. 3, L. 300/70 alle collaborazioni eterorganizzate di cui all’art. 2, co. 1, L. 81/15”; “Condotta antisindacale di Deliveroo Italy srl. Il Tribunale di Firenze condanna alla rimozione degli effetti”.).
In relazione alla richiesta di informazioni sull’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati ha ritenuto sussistente la legittimazione di Filcams Cgil, quale associazione sindacale comparativamente più rappresentativa.
E ciò in ragione del nuovo art. 1-bis del d.lgs. n. 152/1997, introdotto dall’art. 4 del d.lgs. 104/2022, “Decreto trasparenza”, che prevede quanto segue: “Il datore di lavoro o il committente pubblico e privato è tenuto a informare il lavoratore dell'utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell'incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell'assegnazione di compiti o mansioni nonchè indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l'adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori”.
Posto che la richiesta di informazioni compete non solo al lavoratore, ma anche alle RSA, RSU o alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative, il Tribunale di Palermo ha ritenuto che il diniego di informazioni, nella misura in cui limita e compromette l’attività sindacale, integra “una lesione del diritto alla informativa azionabile anche da parte sindacale, quindi in aggiunta e non in alternativa rispetto all’eventuale previo rilascio al lavoratore, ragion per cui nessuna rilevanza assume la difesa della convenuta di aver già fornito le informazioni richieste ai lavoratori”.
A fronte della richiesta di informazioni, negata dalla società resistente, sono rimasti ignoti “il dataset dell’algoritmo” e “i criteri della valutazione media minima su cui parametrare la media di valutazione necessaria per accedere all’APP ossia “una media di valutazione superiore alla valutazione media minina definita da … per il Territorio, che potrà essere aggiornata di volta in volta da… a sua esclusiva discrezione”.
Altresì ignoto è se “l’abbinamento” (da intendersi come conferimento dell’incarico) venga effettuato “in base alla disponibilità, alla posizione o alla prossimità, alle proprie impostazioni o preferenze” e anche in base “ad altri fattori, come la probabilità di accettare una corsa in base ai comportamenti precedenti” e “se quest’ultimo elemento configura una profilazione basata su una analisi statistica comportamentale” e quali sono gli ‘altri fattori’.
Sono rimaste altresì sconosciute, continua il Tribunale di Palermo, “le misure di controllo delle decisioni automatizzate (promozioni o disattivazione dell’account in base al tasso di rifiuti o di cancellazioni di consegne da parte del rider o di feedback negativi) e gli eventuali processi di correzione, nonché il livello di accuratezza, robustezza e cybersicurezza dei sistemi automatizzati, le metriche utilizzate per misurare tali parametri e gli impatti potenzialmente discriminatori delle metriche stesse”.
In conclusione, il Tribunale di Palermo ha dichiarato la natura antisindacale del diniego di comunicare a Filcams Cgil Palermo le informazioni sull’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati ordinando alla società resistente di fornire le informazioni richieste, per il resto ha rigettato il ricorso.
Sullo stesso tema leggi i nostri articoli ai seguenti link:
La natura subordinata del rapporto di lavoro del rider con la società di food delivery
La natura subordinata del rapporto di lavoro tra Uber Italy s.r.l. e i rider. Il procedimento per la repressione della condotta antisindacale è applicabile ai soli rapporti di natura subordinata. La decisione del Tribunale di Firenze del 9 febbraio 2021
Con la sentenza n. 9479 del 6 aprile 2023 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato principi importanti in tema di tutela del consumatore con specifico riferimento al procedimento di ingiunzione, allineando la normativa nazionale ai principi espressi nelle sentenze del 17 maggio 2022 dalla Corte di Giustizia.
1. - I fatti di causa
Nel 2007 T.N. stipulò un contratto di fideiussione con il Credito Valtellinese a garanzia delle obbligazioni assunte dalla Magnus Costruzioni s.r.l. verso il predetto istituto di credito.
Il Credito Valtellinese, dopo aver escusso senza esito la garanzia, otteneva dal Tribunale di Sondrio un decreto ingiuntivo per le somme dovute da T.N.
Contro il decreto ingiuntivo non veniva proposta opposizione.
Nel frattempo contro T.N. era stata intrapresa da altro creditore (Italfondiario S.p.A.) davanti al Tribunale di Busto Arsizio una procedura di espropriazione immobiliare.
Il Credito Valtellinese, dopo essere intervenuto nella predetta procedura esecutiva, cedeva
il proprio credito a Elrond NPL 2017 s.r.l., che, a sua volta, interveniva in veste di cessionaria.
L’esecutata contestava il progetto, depositato dal giudice dell’esecuzione, di distribuzione della somma ricavata in seguito alla vendita dei beni immobili oggetto di espropriazione adducendo l'insussistenza del diritto di credito della cessionaria Elrond s.r.l. in ragione della nullità del titolo costituito dal decreto ingiuntivo in quanto emesso da giudice territorialmente incompetente.
Avverso l’ordinanza con il quale il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato esecutivo il progetto di distribuzione T.N. proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c., ribadendo la precedente contestazione sulla nullità del titolo per essere stato il decreto ingiuntivo emesso da giudice territorialmente incompetente, “in quanto adito sulla scorta di una clausola del contratto di fideiussione illegittimamente derogatrice del foro del consumatore (ossia, il Tribunale di Busto Arsizio, comune di residenza dell'ingiunta), qualità che essa poteva vantare anche come fideiussore alla luce del mutamento di giurisprudenza nella materia”.
Il Tribunale di Busto Arsizio riconosceva a T.N. l'anzidetta qualità di consumatore e individuava nell'opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. il rimedio per farla valere “compatibilmente con il diritto Europeo”.
In ogni caso, l'opposizione ex art. 617 c.p.c. veniva rigettata non avendo T.N. utilizzato tempestivamente il rimedio previsto.
Contro la sentenza T.N. ha proposto, ai sensi della Cost., art. 111, co. 7, ricorso straordinario deducendo “la violazione e/o errata interpretazione della direttiva 93-13 e dell'art. 19 del TUE, con riferimento al principio di effettività della tutela del consumatore, mettendo in discussione l'impossibilità, a fronte di decreto ingiuntivo non opposto, sia di "un secondo controllo d'ufficio nella fase dell'esecuzione sulla abusività delle clausole contrattuali", sia di "una successiva tutela, una volta spirato il termine per proporre opposizione nei confronti del decreto ingiuntivo"”.
Le intimate non hanno svolto attività difensiva in sede di legittimità.
Successivamente T.N. rinunciava al ricorso.
Il pubblico ministero chiedeva l’estinzione del giudizio, sollecitando, però, la Corte ad enunciare, ai sensi dell'art. 363 c.p.c., il principio di diritto nell'interesse della legge reputando ciò necessario "a fronte della particolare rilevanza della questione e della situazione di grave incertezza interpretativa determinata dalle quattro recenti sentenze del 17 maggio 2022 della Corte di Giustizia, tutte relative ad analoghe vicende, inerenti le sorti del giudicato nazionale dinanzi alla normativa Eurounitaria qualificata inderogabile dalla CGUE".
Il ricorso veniva così affidato alle Sezioni Unite civili.
La questione è sorta a seguito delle quattro pronunce della Corte di Giustizia, emesse dal Collegio della Grande Sezione in data 17 maggio 2022[1].
2. – La vicenda in esame quale esempio paradigmatico di una futura virtuosa applicazione del nuovo istituto del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 363-bis c.p.c. introdotto dalla ‘Riforma Cartabia’.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto di doversi soffermare sulla questione sollecitata dal ricorso, trattandosi di questione di particolare importanza in relazione alla quale la rinuncia al ricorso da parte di T.N. non impedisce l’enunciazione del principio nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363, co. 3, c.p.c.
La questione di diritto che scaturisce dalle citate pronunce della Corte di Giustizia (si v. in particolare, la sentenza ‘SPV/Banco di Desio’ nelle cause riunite), secondo le Sezioni Unite, per i connotati che la caratterizzano e per le implicazioni che ne discendono, si presta, ad essere “esempio paradigmatico di come possa trovare virtuosa applicazione l'istituto, di nuovo conio, del rinvio pregiudiziale di cui all'art. 363 bis c.p.c.” - introdotto dalla Riforma Cartabia - “rimesso alla valutazione del giudice di merito in base a concorrenti presupposti (questione di diritto, necessaria alla definizione anche parziale del giudizio non ancora risolta da questa Corte di cassazione, che presenta gravi difficoltà interpretativa e che è suscettibile di porsi in numerosi giudizi)”.
3. – La sentenza della Corte di Giustizia “SPV/Banco di Desio”.
Partendo dall’esame di una delle quattro pronunce citate, segnatamente dalla sentenza “SPV/Banco di Desio” (resa all’esito di un rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Milano), le Sezioni Unite hanno affermato la rilevanza dei principi espressi in quella sede dalla Corte di Giustizia in relazione all’interpretazione da dare agli articoli 6 e 7 della Direttiva 93/13/CEE, concernente l'abusività di clausole presenti in un contratto concluso tra il professionista e il consumatore.
Al fine di garantire l’uniforme applicazione del diritto unionale, l’interpretazione fornita nelle sentenze dalla Corte di Giustizia, alla luce del disposto degli artt. 19, § 1, TUE e 267 TFUE, deve ritenersi cogente per il giudice nazionale.
Le Sezioni Unite in una precedente occasione (v. sent. 30 ottobre 2020, n. 24107) avevano già messo in risalto quel rapporto di complementarità tra Corte di Giustizia e giudice nazionale, il quale è tenuto ad applicare il diritto unionale come interpretato dalla Corte di Giustizia.
Ciò detto, la pronuncia del principio di diritto da parte delle Sezioni Unite non poteva non prendere le mosse dalla risposta che la Corte di Giustizia ha dato alle questioni pregiudiziali sollevate con la già menzionata ordinanza di rinvio del Tribunale di Milano.
Secondo la Corte di Giustizia, al fine di ovviare allo squilibrio esistente tra consumatore e professionista, il giudice nazionale è tenuto a esaminare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricada nell'ambito di applicazione della Direttiva 93/13/CEE, laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto a tal riguardo necessari.
Premesso che gli Stati membri, ai sensi dell’art. 7 della predetta direttiva, sono tenuti a “fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori”, la Corte di Giustizia nella sentenza ha precisato che le procedure applicabili a tal fine, in assenza di armonizzazione, devono essere rispettose del principio di equivalenza (non devono cioè essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno) e del principio di effettività (non devono cioè rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell'Unione).
Dopo aver riconosciuto l’importanza che il principio dell'autorità di cosa giudicata riveste sia nell'ordinamento giuridico europeo sia negli ordinamenti giuridici nazionali, la Corte di Giustizia ha affermato come il diritto dell'Unione non imponga "di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13”.
Viene espressamente fatto salvo il caso, però, in cui vi sia una violazione dei principi di equivalenza e di effettività.
Nel caso di specie, secondo la Corte di Giustizia, il principio di equivalenza sarebbe rispettato, in quanto la normativa nazionale non consente al giudice dell'esecuzione “di riesaminare un decreto ingiuntivo avente autorità di cosa giudicata, anche in presenza di un’eventuale violazione delle norme nazionali di ordine pubblico”.
Quanto al rispetto del principio di effettività, vi è da dire che lo stesso, pur non potendo “supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato”, impone di garantire l'effettività dei diritti spettanti ai singoli, implicando una tutela giurisdizionale effettiva.
Alla luce di ciò, la Corte di Giustizia ha affermato che “in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito”.
Una normativa nazionale, continua la Corte, “secondo la quale un esame d'ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall'autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell'importanza dell'interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93-13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l'obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d'ufficio dell'eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali”.
Da tale affermazione deriva, sempre secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, che il giudice dell'esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione.
In conclusione, la Corte di giustizia ha dato la seguente risposta al quesito di diritto formulato dal Tribunale di Milano nell’ordinanza di rinvio, affermando che: “L'art. 6, paragrafo 1, e l'art. 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell'esecuzione non possa - per il motivo che l'autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità - successivamente controllare l'eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come "consumatore" ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo".
4. – La decisione delle Sezioni Unite
In un contesto che vede primeggiare l'ordinamento sovranazionale, l'autonomia procedurale degli Stati membri è un valore, affermano le Sezioni Unite, che “la stessa Corte di Giustizia si preoccupa di tenere ben fermo, configurandolo come recessivo solo a certe condizioni, ossia per dare piena espansione ai principi di equivalenza ed effettività della tutela giurisdizionale”.
D’altra parte, non può essere dimenticato che i Trattati assegnano un ruolo centrale "nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività dell'Unione" (art. 12 TFUE) alla figura del consumatore, sulla cui persona convergono gli obiettivi valoriali comuni ai Paesi dell'Unione.
Gli artt. 6 e 7 della citata direttiva, alla stregua della lettura che ne ha dato la Corte di Giustizia con la sentenza “SPV/Banco di Desio”, hanno come scopo quello di riequilibrare la posizione strutturalmente minorata del consumatore sia sotto il profilo del potere negoziale, che per il livello di informazione.
L’obiettivo della normativa europea è raggiungibile “solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale… ossia, nella sede processuale, tramite il dovere del giudice investito dell'istanza di ingiunzione di esaminare d'ufficio il carattere abusivo della clausola contrattuale e di dare conto degli esiti di siffatto controllo”.
In applicazione del principi affermati a livello eurounitario, continuano le Sezioni Unite sostenendo che “l’inattività del giudice del procedimento monitorio, ove non rimediabile in una sede successiva, impedirebbe definitivamente di colmare proprio nel processo quel dislivello sostanziale esistente tra i contraenti, facendo gravare la violazione dell'obbligo del rilievo officioso della abusività della clausola negoziale sul consumatore, sebbene questi sia rimasto privo di tutte le "informazioni" che gli sono dovute per porlo in condizione di determinare la portata dei suoi diritti al fine di poter esercitare, per la prima volta, la propria difesa in sede di opposizione al decreto ingiuntivo "con piena cognizione di causa".
La carente attivazione del giudice del monitorio (mancato rilievo officioso e omessa motivazione) comporta, secondo l'interpretazione vincolante della Corte di Giustizia, che la decisione adottata, sebbene non fatta oggetto di opposizione, sia comunque insuscettibile di dar luogo alla formazione, stabile e intangibile, di un giudicato.
In altri termini, affermano le Sezioni Unite, “sarebbe monca la provocatio ad opponendum (ossia la "provocazione a contraddire": Cass., S.U., 1 marzo 2006, n. 4510) che il decreto ingiuntivo innesca, richiedendo che il debitore si attivi entro un certo termine per evitare altrimenti la c.d. impositio silentii (il giudicato o la c.d. "preclusione da giudicato": la citata Cass., S.U., n. 4510/2006) sul provvedimento d'ingiunzione emesso”.
In altri termini è l'omissione del giudice a frustrare il diritto di azione e difesa del consumatore, vulnerandone in modo insostenibile la tutela giurisdizionale effettiva.
Nonostante l’importanza che l’istituto del giudicato riveste anche per l’ordinamento europeo, le esigenze di certezza dei rapporti giuridici, presidiate dal principio di immutabilità della decisione, non possono prevalere su quelle di effettività della tutela del consumatore imposte dalla Direttiva 93/13/CEE.
5. – La nuova disciplina individuata dalle Sezioni Unite
Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite della Cassazione sono poi passate ad una ricostruzione della disciplina del procedimento per ingiunzione, con evidenti profili di novità, improntandola al pieno rispetto dei principi affermati dalla Corte di Giustizia.
Come abbiamo visto, secondo la giurisprudenza eurounitaria, il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d'ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, connessa all'oggetto della controversia e, nel caso, anche a richiedere d’ufficio “informazioni complementari ovvero la produzione di ulteriori documenti dalla parte interessata”.
Secondo le Sezioni Unite gli approdi della giurisprudenza eurounitaria non pongono problemi di compatibilità con l'assetto processuale interno, delineato dagli artt. 633-644 c.p.c., “il quale rende certamente praticabile il doveroso controllo, da parte del giudice, sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore”.
Tant’è vero che, rilevata d’ufficio la vessatorietà della clausola incidente, in tutto o in parte, sull'oggetto della domanda monitoria, il giudice deve addivenire al rigetto del ricorso (che non preclude la riproposizione della domanda: art. 640, ultimo comma, c.p.c.), ovvero al suo consentito accoglimento parziale (v., per tutte, Cass., S.U., n. 4510/2006).
Le Sezioni Unite affermano poi come non sia possibile seguire “la diversa tesi secondo la quale il c.d. "diritto all'interpello" del consumatore imporrebbe al giudice di emettere il decreto ingiuntivo, evidenziando la presenza di uno o più profili di abusività delle clausole contrattuale, per invitare, poi, il consumatore stesso a prendere posizione sul punto mediante la proposizione dell'opposizione”.
Peraltro, costringere il consumatore a proporre l'opposizione per far valere i propri diritti, risulta in contrasto con lo stesso principio del rilievo d'ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali.
Al fine di rispettare il diritto eurounitario, il giudice “dovrà sollecitare il ricorrente a "provvedere alla prova" del credito anche sotto il profilo che la relativa spettanza, in parte o per l'intero, non sia esclusa dai profili di abusività negoziale rilevati, a tal fine richiedendo che sia prodotta pertinente documentazione (anzitutto, il contratto su cui si basa il credito azionato) e/o che siano forniti i chiarimenti necessari”.
Così letto il sistema, le Sezioni Unite affermano che “l'istanza di tutela che il diritto dell'Unione impone di soddisfare non trova ostacoli nel modello processuale di diritto interno, il quale con detta istanza verrebbe, invece, a confliggere ove interpretato nel senso che il controllo sull'abusività delle clausole non possa compiersi nel procedimento d'ingiunzione”.
5.1. – Il nuovo avvertimento di cui all’art. 641, co.1, c.p.c. e la motivazione del provvedimento monitorio
Una ricaduta immediata dei principi affermati dalla Corte di Giustizia riguarda proprio la motivazione del decreto ingiuntivo.
Nel caso in cui venga accolta la domanda del creditore, il provvedimento di ingiunzione, affermano le Sezioni Unite, dovrà essere provvisto di una motivazione che dia atto della sussistenza dell'esame in base al quale il giudice ha ritenuto che le clausole in discussione non abbiano carattere abusivo, in modo da consentire al debitore consumatore di valutare con piena cognizione di causa se occorra proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo.
L’assolvimento di tale obbligo motivazionale può essere strutturato anche per relationem al ricorso monitorio.
Altro importante corollario riguarda l’avvertimento previsto all’art. 641, co. 1, c.p.c., che, interpretato in senso conforme al diritto eurounitario di cui alla direttiva 93/13/CEE, dovrà, altresì, rendere edotto “il consumatore che, in assenza di opposizione, "decadrà dalla possibilità di far valere l'eventuale carattere abusivo" delle clausole del contratto”.
In ultima analisi, ritengono le Sezioni Unite che, una volta che il decreto ingiuntivo presenti la motivazione e l'avvertimento anzidetti, “la tutela del consumatore è da reputarsi rispettosa del canone dell'effettività e la maturazione del termine di cui all'art. 641 c.p.c., senza che sia stata proposta opposizione, non consentirà più successive contestazioni sulla questione di abusività delle clausole contrattuali”.
5.2. – La portata retroattiva delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia. Il rimedio dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.
Vista la portata retroattiva delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia, la questione si fa più problematica con riferimento ai decreti ingiuntivi in precedenza emessi in difetto dell’esame sull’abusività delle clausole e divenuti irrevocabili, ma anche in relazione ai conseguenti procedimenti esecutivi ancora in corso.
Le soluzioni individuate dalla dottrina al fine di garantire una tutela piena ed effettiva al consumatore sono molte, ma la risposta che le Sezioni Unite hanno inteso privilegiare e declinare in principio nomofilattico “è quella che, a valle del rilievo sui profili di abusività della clausola contrattuale ad opera del giudice dell'esecuzione, fa applicazione della disciplina dell'opposizione tardiva a decreto ingiuntivo dettata dall'art. 650 c.p.c., con gli adeguamenti che per essa si rendono necessari in ragione di una piena conformazione al diritto unionale di cui alla direttiva 93/13/CEE, secondo l'interpretazione della CGUE”.
5.3. – Il rilievo d’ufficio da parte del G.E. è consentito sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito.
Secondo la soluzione individuata dalle Sezioni Unite il giudice dell'esecuzione avrebbe il potere/dovere di rilevare d'ufficio l'esistenza di una clausola abusiva, che incida sulla sussistenza o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo, sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito.
A tal fine, il Giudice dell’esecuzione, secondo un modello strutturalmente deformalizzato, dovrà, nel contraddittorio delle parti, provvedere, ove detto rilievo non sia possibile solo in base agli elementi di diritto e di fatto già in atti, ad una sommaria istruttoria, rispetto alla quale si presenterà la necessità di acquisire anzitutto il contratto fonte del credito ingiunto.
Il Giudice dell’esecuzione, continuano le Sezioni Unite, “se rileva il possibile carattere abusivo di una clausola contrattuale, ma anche se ritenga che ciò non sussista, ne informa le parti e avvisa il debitore consumatore (ciò che varrà come interpello sull'intenzione di avvalersi o meno della nullità di protezione) che entro 40 giorni da tale informazione - che nel caso di esecutato non comparso è da rendersi con comunicazione di cancelleria - può proporre opposizione a decreto ingiuntivo e così far valere (soltanto ed esclusivamente) il carattere abusivo delle clausole contrattuali incidenti sul riconoscimento del credito oggetto di ingiunzione”.
Prima della maturazione del predetto termine, il Giudice dell’esecuzione si asterrà dal procedere alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito.
5.4. – Il caso in cui sia stata già proposta opposizione all’esecuzione.
Nel caso in cui il debitore/consumatore abbia già proposto un'opposizione all'esecuzione ai sensi dell’art. 615, co. 1, c.p.c. - dunque, prima dell'inizio dell'esecuzione, a seguito della notificazione del precetto - intendendo elidere il titolo esecutivo costituito dal decreto ingiuntivo divenuto irrevocabile proprio a motivo dell'abusività delle clausole contrattuali incidenti sul riconoscimento del credito del professionista, secondo le Sezioni Unite, il giudice adito dovrà riqualificare “l'opposizione come opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.” e rimettere “la decisione al giudice di questa, fissando un termine non inferiore a 40 giorni per la riassunzione (in applicazione dell'art. 50 c.p.c., in forza di interpretazione adeguatrice)”.
5.5. – Il caso in cui sia in corso un’opposizione esecutiva.
Le Sezioni Unite passano poi ad esaminare il caso in cui sia, allo stato, già in corso un'opposizione esecutiva ed emerga un problema di abusività delle clausole del contratto concluso tra consumatore e professionista. In tal caso, il giudice dell'opposizione dovrà rilevare d'ufficio la questione e interpellare il consumatore se intende avvalersi della nullità di protezione. Nel caso in cui il consumatore voglia avvalersene, “il giudice darà al consumatore termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e, nel frattempo, il G.E. si asterrà dal disporre la vendita o l'assegnazione del bene o del credito”.
5.6. – La sospensione dell’esecutorietà del decreto ingiuntivo illegittimo.
Secondo le Sezioni Unite, il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo avrà “il potere, ex art. 649 c.p.c. (quale disposizione richiamata dal comma 2 dell'art. 650 c.p.c.), di sospendere l'esecutorietà del decreto ingiuntivo in modo totale o parziale, a seconda degli effetti che potrebbe comportare l'accertamento sulla abusività clausola che viene in rilievo”.
Il giudizio di opposizione procederà, quindi, secondo il rito.
6. – L’assenza di motivazione del decreto ingiuntivo integra un’ipotesi di ‘caso fortuito o forza maggiore’ ai sensi dell’art. 650 c.p.c.
Le Sezioni Unite, al fine di uniformare la normativa interna ai principi espressi dalla Corte di Giustizia, si spingono fino ad affermare che “attraverso un'interpretazione conforme del comma 1 dell'art. 650 c.p.c., è dato ritenere che l'assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in punto di valutazione della vessatorietà delle clausole e (specialmente) il mancato avvertimento circa la possibilità di far valere detta abusività solo entro un certo termine configurino un'ipotesi riconducibile alla previsione normativa del "caso fortuito o forza maggiore".
Le già indicate carenze formali del decreto ingiuntivo, continuano le Sezioni Unite, “vengono a configurare per il consumatore, privo della necessaria informazione per esercitare con piena consapevolezza i propri diritti, una causa non imputabile impeditiva della proposizione tempestiva dell'opposizione sul profilo della abusività delle clausole contrattuali e, dunque, il requisito richiesto dall'art. 650 c.p.c. per accedere all'opposizione tardiva”.
7. – I principi di diritto da enunciarsi ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, infine, enunciato i seguenti principi di diritto.
7.1. – I principi di diritto per la fase monitoria
In relazione alla fase monitoria, hanno affermato che “Il giudice del monitorio:
a) deve svolgere, d'ufficio, il controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all'oggetto della controversia;
b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell'art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d'ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d'ingiunzione:
b.1.) potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;
b.2) ove l'accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un'istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l'istanza d'ingiunzione;
c) all'esito del controllo:
comma 1) se rileva l'abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all'accoglimento parziale del ricorso;
comma 2) se, invece, il controllo sull'abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell'art. 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione;
comma 3) il decreto ingiuntivo conterrà l'avvertimento indicato dall'art. 641 c.p.c., nonché l'espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile”.
7.2. – I principi di diritto per la fase esecutiva
In relazione alla fase esecutiva, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: “Il giudice dell'esecuzione:
a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, ha il dovere - da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito - di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;
b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;
c) dell'esito di tale controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole - sia positivo, che negativo - informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole, con effetti sull'emesso decreto ingiuntivo;
d) fino alle determinazioni del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito;
e) se il debitore ha proposto opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c., al fine di far valere l'abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);
f) se il debitore ha proposto un'opposizione esecutiva per far valere l'abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva - se del caso rilevando l'abusività di altra clausola - e non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell'opposizione tardiva sull'istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.
7.3. – I principi di diritto per la fase di cognizione
In relazione alla fase di cognizione, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: “Il giudice dell'opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:
a) una volta investito dell'opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l'esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l'accertamento sull'abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;
b) procederà, quindi, secondo le forme di rito”.
Per leggere il testo integrale della sentenza clicca qui: https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/9479_04_2023_civ_no-index.pdf
Sullo stesso argomento leggi anche: Tutela del consumatore e decreto ingiuntivo non opposto. La parola alla Corte di Giustizia.
In chiave critica, sullo stesso argomento, leggi anche https://www.judicium.it/la-tutela-del-consumatore-secondo-la-cgue-e-le-sezioni-unite-e-lo-stato-di-diritto-secondo-la-civil-law/
[1] Si tratta delle seguenti pronunce:
- sentenza in C-600/19, Ibercaja Banco;
- sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C831/19, Banco di Desio e della Brianza;
- sentenza in C-725/19, Impuls Leasing Romania;
- sentenza in C-869/19, Unicaja Banco.