Con l’ordinanza n. 11174 del 26 aprile 2024 la Corte di Cassazione ha rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale d’interpretazione della Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, e dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea.

1. - I fatti di causa

In seguito alla stipulazione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, concluso nel 1998, sorgeva una controversia tra i signori D.G.M e B.S., promissari acquirenti, e la soc. S. S.p.A., promittente alienante, che veniva devoluta alla cognizione di un Collegio arbitrale.

Impugnato il lodo arbitrale dai promissari acquirenti ai sensi dell’art. 828 c.p.c., la Corte d’appello di Ancona ne dichiarava la nullità per essere stato emesso oltre il termine decadenziale di cui all’art. 820 c.p.c. vigente ratione temporis.

Nel merito, la Corte d’appello di Ancona, previa dichiarazione della nullità della clausola del preliminare che obbligava i promissari acquirenti a sottostare ad un indeterminato futuro regolamento condominiale predisposto dal costruttore-venditore, dichiarava la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento degli stessi promissari acquirenti all’obbligo di stipulare il definitivo, avverso cui avevano opposto un rifiuto ingiustificato, e al correlato obbligo di pagamento del saldo del prezzo.

Condannava, poi, i promissari acquirenti alla restituzione dell’immobile e la promittente venditrice alla restituzione degli acconti versati.

In ordine alla penale prevista nel contratto, la Corte d’appello ne disponeva la riduzione nei limiti dei soli interessi spettanti sulla restituzione dei versamenti effettuati a titolo di acconto, rigettando la domanda, proposta dalla S. S.p.A., di risarcimento degli ulteriori danni, in quanto non provati.

Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona, la soc. S. S.p.A. proponeva ricorso per cassazione.

Con sentenza n. 22550/2015, dep. in data 4 novembre 2015, la Cassazione accoglieva il primo motivo del ricorso principale, ritenendo che la motivazione sulla riduzione della penale non fosse stata adeguata, in difetto di alcuna indicazione dei criteri adottati per addivenire alla sua determinazione nella misura indicata. La causa veniva quindi rinviata alla Corte d’appello.

All’esito del giudizio di rinvio, la Corte d’appello, nel condannare i promissari acquirenti al pagamento della penale, rilevava, per quanto in questa sede interessa:

a) che l’oggetto del giudizio di rinvio era circoscritto all’applicazione della penale e alla sua prospettata riduzione, all’individuazione e alla prova, con relativa motivazione, di un eventuale maggior danno e alla regolamentazione delle spese;

b) che era pacifico e coperto dal giudicato interno il fatto che si fossero verificate le condizioni perché la S… potesse pretendere la penale ex art. 7 del preliminare risolto, secondo cui, a tale titolo, la promittente alienante avrebbe potuto trattenere le somme versate quale anticipo dai promissari acquirenti”.

Avverso la sentenza emessa in sede di rinvio i signori D.G.M. e B.S. proponevano ricorso per cassazione.

2. - Il ricorso per cassazione promosso dai promissari acquirenti

Con il ricorso i promissari acquirenti lamentavano per la prima volta in relazione alla clausola penale la violazione della normativa prevista a tutela del consumatore.

Nello specifico rilevavano la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 cpv c.p.c. e dell’art. 36, primo e terzo comma, del d.lgs. n. 206/2005, in ordine all’omesso rilievo d’ufficio della nullità di protezione, per avere la Corte di merito mancato di dichiarare la nullità della clausola penale che imponeva il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento di importo manifestamente eccessivo, determinando così una presunzione di vessatorietà per il significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, secondo la normativa prevista a tutela del consumatore.

Secondo i ricorrenti la rilevazione d’ufficio del profilo di nullità non avrebbe potuto ritenersi preclusa dal giudicato implicito formatosi a seguito della pronuncia della Corte di legittimità sulla carenza di motivazione della riduzione della penale.

3. - L’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione

Nell’ordinanza in commento, la Cassazione si è dapprima soffermata sulla ricostruzione della normativa in materia consumeristica, affermando che la stessa è applicabile al contratto preliminare di compravendita di bene immobile, allorquando venga concluso tra un professionista ed altro soggetto, che contragga per esigenze estranee all’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale.

Inoltre, ha rilevato che, seppur in materia contrattuale le caparre e le clausole penali non abbiano natura vessatoria, non rientrando tra quelle di cui all’art. 1341 c.c. e non necessitando, pertanto, di specifica approvazione, deve ritenersi sussistente “una presunzione di vessatorietà delle clausole che, in caso di inadempimento, prevedano il pagamento di una somma manifestamente eccessiva”.

Successivamente la Corte è passata ad esaminare il punto centrale della questione e cioè si è chiesta se “sulla nullità (recte inefficacia) della clausola penale – quale questione nuova sollevata dai promissari acquirenti solo in sede di legittimità (all’esito del rinvio disposto da una precedente sentenza di questa Corte) … si sia formato il giudicato implicito interno, presupponendo la decisione sulla riduzione, come invocata dagli stessi promissari acquirenti nel corso dei gradi di merito del giudizio, la validità ed efficacia della clausola, con la conseguente preclusione della rilevazione dell’abusività della clausola stessa, oppure se – alla stregua della giurisprudenza della Corte di giustizia – tale inefficacia possa essere comunque rilevata d’ufficio anche in sede di legittimità, pure all’esito di un precedente rinvio (nella fattispecie, nessuna censura inerente alla validità/efficacia della clausola penale è stata a monte sollevata dai ricorrenti incidentali all’esito del primo ricorso principale in cassazione, con cui si contestava il difetto di motivazione sui termini della disposta riduzione)”.

Nel ricordare che il giudizio di rinvio è un procedimento chiuso, nel quale è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum, mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, la Cassazione ha altresì ribadito che nel predetto giudizio operano le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, “onde neppure le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità.

Questi principi, d’altra parte, devono oggi essere riletti alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenze gemelle del 17 maggio 2022) e della Corte di Cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9479 del 06/04/2023) intervenute recentemente sulla questione delle clausole abusive in relazione al procedimento monitorio per decreto ingiuntivo.

Nelle quattro sentenze gemelle del 17 maggio 2022 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, è stata affrontata la questione relativa proprio alla compatibilità, con i principi posti dagli artt. 6, § 1, e 7, § 1, della direttiva 93/13/CEE e dall’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, delle norme processuali del diritto degli Stati membri (rispettivamente spagnolo, rumeno e italiano) che, in caso di intervenuta formazione del giudicato, impediscono al giudice dell’esecuzione (ovvero dell’appello) di esaminare, d’ufficio, la natura abusiva delle clausole contenute nei contratti posti a fondamento del provvedimento passato in giudicato.

Le sentenze interpretative del diritto dell’Unione europea rese dalla Corte di Giustizia, ha ricordato la Cassazione, “hanno effetto di ius superveniens” con la conseguenza che i principi dalla stessa enunciati devono ritenersi immediatamente applicabili nell’ordinamento nazionale, travalicando anche il principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento con l’unico limite dei rapporti esauriti.

La Cassazione ha altresì ricordato che, in tema di nullità di protezione, “le indicazioni provenienti dalla stessa Corte di giustizia in tema di rilievo officioso (nella specie, delle clausole abusive nei contratti relativi alle ipotesi di cd. commercio business-to-consumer) consentono di desumere un chiaro rafforzamento del potere-dovere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità”, con la conseguenza che l’omessa rilevazione officiosa della nullità “finirebbe per ridurre la tutela di quel bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole”.

In relazione poi al concetto di giudicato implicito, la Cassazione nell’ordinanza in commento ha ritenuto opportuno precisare che il giudicato implicito richiede, per la sua formazione, che “tra la questione decisa in modo espresso e quella che si deduce essere stata risolta implicitamente sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare l’assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione e che la questione decisa in modo espresso non sia stata impugnata”.

Si ritiene configurabile la decisione implicita di una questione o di un’eccezione di nullità, “quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza”.

Orbene, nel caso di specie, indubbiamente la disposizione della riduzione della clausola penale manifestamente eccessiva postula implicitamente la questione della validità/efficacia della clausola penale stessa.

In questo contesto, alla luce dei principi fissati dalla Corte di Giustizia con le sentenze gemelle del 17 maggio 2022, la Corte di Cassazione ha ritenuto necessario dover rinviare alla Corte di giustizia l’esame della questione “relativa alla possibilità del Giudice di legittimità, adito all’esito del già disposto rinvio, di verificare – e a quali condizioni –, ove emerga ex actis, l’esistenza di una clausola che appaia abusiva in contratto concluso con un consumatore, anche a fronte della sollecitazione pervenuta dal consumatore, rilevandone d’ufficio l’inefficacia. E ciò tenuto conto, nella fattispecie, del precedente rinvio disposto da questa Corte, affinché fosse adeguatamente motivata la riduzione di una penale reputata manifestamente eccessiva, vincolando nei termini anzidetti il potere del giudice di rinvio, quale giudizio a carattere chiuso ex art. 394 c.p.c. In sede di rinvio, alcuna nullità è stata rilevata e si è invece provveduto a rimodulare i termini quantitativi della riduzione della clausola penale reputata manifestamente eccessiva, in attuazione del disposto della Corte di legittimità”.

A fare da contraltare al rilievo d’ufficio della natura abusiva della clausola vi è il principio di stabilità-intangibilità delle sentenze emesse in sede di legittimità, che dovrebbe impedire al giudice di legittimità, adito successivamente alla celebrazione del giudizio di rinvio, stando al diritto processuale interno, di rilevare, la nullità/inefficacia della clausola abusiva e ciò “a salvaguardia dell’unità dell’interpretazione giurisprudenziale rimessa alla Corte di legittimità, quale garante dell’uniforme interpretazione delle norme giuridiche e dell’unità del diritto oggettivo”.

4. - Il quesito di diritto oggetto del rinvio pregiudiziale

In conclusione, la Cassazione, visto il quadro normativo interno e giurisprudenziale delineato, ha ritenuto opportuno sottoporre alla Corte di Giustizia il seguente quesito, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’UE:

Se l’art. 6, paragrafo 1, e l’art. 7, paragrafo 1, della Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, e l’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea debbano essere interpretati:

(a) nel senso che ostino all’applicazione dei principi del procedimento giurisdizionale nazionale, in forza dei quali le questioni pregiudiziali, anche in ordine alla nullità del contratto, che non siano state dedotte o rilevate in sede di legittimità, e che siano logicamente incompatibili con la natura del dispositivo cassatorio, non possono essere esaminate nel procedimento di rinvio, né nel corso del controllo di legittimità a cui le parti sottopongono la sentenza del giudice di rinvio;

(b) anche alla luce della considerazione circa la completa passività imputabile ai consumatori, qualora non abbiano mai contestato la nullità/inefficacia delle clausole abusive, se non con il ricorso per cassazione all’esito del giudizio di rinvio;

(c) e ciò con particolare riferimento alla rilevazione della natura abusiva di una clausola penale manifestamente eccessiva, di cui sia stata disposta, in sede di legittimità, la rimodulazione della riduzione secondo criteri adeguati (quantum), anche in ragione del mancato rilievo della natura abusiva della clausola a cura dei consumatori (an), se non all’esito della pronuncia adottata in sede di rinvio”.

Per leggere il testo integrale dell’ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 11174 del 26 aprile 2024 clicca qui:

https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/11174_04_2024_civ_noindex.pdf

Per leggere il testo integrale della sentenza della Corte di Giustizia (Grande Sezione) del 17 maggio 2022

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62019CJ0693

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L’11 marzo 2024 durante il Consiglio "Occupazione, politica sociale, salute e consumatori" (EPSCO) è stato approvato l’accordo sulla direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme digitali.

Tra gli obiettivi vi è anche quello di migliorare la protezione dei dati personali nel lavoro mediante piattaforme digitali e disciplinare l'uso degli algoritmi sul luogo di lavoro.

Durante la sessione del Consiglio EPSCO è stato ricordato come la transizione digitale abbia radicalmente trasformato l’economia tradizionale ed il mercato del lavoro.

Nel mutato quadro socio-economico, sono emerse nuove figure di lavoratori, i platform workers, la cui prestazione lavorativa è inevitabilmente connessa all’esistenza di piattaforme digitali e all’uso degli algoritmi.

Le piattaforme digitali, offrendo nuovi modelli economici basati su algoritmi, hanno creato numerose possibilità per consumatori ed imprese.

Sono emerse nuove forme di organizzazione dell’attività lavorativa che hanno facilitato l’accesso al mercato del lavoro (v. settore dei trasporti e della consegna dei pasti).

D’altra parte, il fenomeno ha creato nuovi squilibri legati principalmente alla gestione algoritmica del rapporto di lavoro.

L’algoritmo non è usato solo per assegnare compiti, ma anche per sorvegliare, valutare i lavoratori e prendere decisioni che interessano gli stessi lavoratori senza alcun controllo ‘umano’.

La mancanza di interlocutori umani aumenta il rischio che i lavoratori possano essere vittima degli stereotipi con conseguente aumento delle disuguaglianze in particolare tra uomini e donne.

Per affrontare le questioni di cui sopra la Commissione europea aveva proposto già nel dicembre 2021 una direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel quadro del lavoro mediante piattaforma.

I negoziati, avviati nel luglio 2023 con il Parlamento Europeo, hanno portato poi ad un accordo politico provvisorio raggiunto l’8 febbraio 2024.

Durante la sessione pubblica del Consiglio EPSCO dell’11 marzo 2024 è stato presentato il testo di compromesso che spiega in dettaglio i principali elementi dell’accordo provvisorio concluso l’8 febbraio 2024 (per leggere il testo clicca qui https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-7212-2024-ADD-1/it/pdf).

Tra le novità più importanti, vi è la presunzione legale che aiuterà a determinare il corretto status occupazionale dei lavoratori nel quadro del lavoro mediante piattaforme digitali.

Per quanto riguarda la gestione algoritmica l’accordo vuole ricomprendere i modi in cui gli algortmi influenzano alcune decisioni in modo che vi sia maggiore trasparenza per i lavoratori e per le autorità nazionali.

Posto che le piattaforme digitali sono in grado di raccogliere una vasta quantità di dati personali, l’accordo provvisorio vuole concedere una protezione supplementare ai lavoratori rispetto al Regolamento sulla protezione dei dati.

La direttiva andrà a regolamentare per la prima volta l’uso dell’Intelligenza Artificiale sul luogo di lavoro ed offrirà un quadro comune di tutela dei lavoratori.

Per ascoltare la riunione del Consiglio EPSCO clicca qui  https://www.consilium.europa.eu/it/meetings/epsco/2024/03/11/

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Con l’ordinanza n. 3013 del 1° febbraio 2024 la Corte di Cassazione, nel ribadire il principio generale della prevalenza del diritto all’oblio rispetto al diritto all’informazione, ha ritenuto ammissibile la prova presuntiva in tema di risarcimento del danno all’onore e alla reputazione.

I fatti di causa

Il sig… con ricorso ex art. 702bis c.p.c. davanti al Tribunale di Firenze assumeva di avere patito un danno in conseguenza dell’omessa cancellazione dal sito internet del quotidiano Ge.Ne.Ne. S.p.a. della notizia relativa alla sua condanna giudiziaria, nonché del suo mancato aggiornamento con quella relativa alla sua successiva e definitiva assoluzione all’esito del giudizio di appello.

La Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda risarcitoria proposta dal sig… sul presupposto che la sussistenza del danno all’onore e alla reputazione non era stata provata.

Avverso la sentenza di appello, il sig... ha proposto ricorso per cassazione.

Con l’ordinanza in commento n. 3013 del 1° febbraio 2024 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’appello di Firenze.

Nell’ordinanza in commento, la Cassazione è tornata a ribadire, in armonia con quanto affermato dalla giurisprudenza europea, il principio generale della prevalenza del diritto all’oblio rispetto al diritto all’informazione.

Il diritto all’oblio può subire una compressione, a favore del diritto di cronaca, solo in presenza di specifici e determinati presupposti e cioè:

1) il contributo arrecato dalla diffusione dell'immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico;

2) l'interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell'immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali);

3) l'elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica del Paese;

4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell'interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione;

5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell'immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all'interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al pubblico”.

Ciò premesso, sulla configurabilità del danno non patrimoniale in concreto subìto dal ricorrente, la Cassazione ha criticato la sentenza impugnata per non avere il Giudice di secondo grado attribuito rilevanza ai parametri di riferimento, dettati dalla giurisprudenza di legittimità in questa materia, “ovvero la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima”.

Il danno all'onore ed alla reputazione, configurandosi come un danno conseguenza e non in re ipsa deve essere sì oggetto di allegazione e prova, ma tale prova può essere fornita anche attraverso presunzioni.

La prova del danno non patrimoniale poteva essere dunque fornita con ricorso al notorio e tramite presunzioni. Ed appunto come già anticipato, a tal fine avrebbero dovuto assumere rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima.

Il ragionamento presuntivo avrebbe potuto essere svolto dalla Corte d’appello sulla base delle allegazioni, anche documentali, fornite dal ricorrente, il quale, sin dal primo grado, aveva dedotto e chiesto di provare le circostanze idonee alla dimostrazione dei danni subiti, avendo affermato, in particolare:

  • “la potenzialità diffusiva, trattandosi di articoli rinvenibili liberamente sul web, in relazione al contesto ambientale in cui il danneggiato risiede (E, cittadina con circa 40.000 abitanti)”;
  • “i caratteri di gravità assoluta della notizia rimasta on line e non aggiornata (accusato di uno dei reati che suscitano massima riprovazione nella società civile, ovvero quello di detenzione di materiale pedopornografico e di molestie, vicenda processuale risalente al 2008, da cui era stato assolto per non aver commesso il fatto nel 2009)”;
  • “le ripercussioni subite, anche di tipo medico, sulla sua sfera personale e sociale”.

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