Con ordinanza in data 8 marzo 2024, n. 6275 la Corte di cassazione, sezione lavoro, si è espressa in materia di prova del danno da demansionamento, ribadendo che la stessa può essere data per presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c.

I fatti di causa

La Corte d’appello di Napoli, nel confermare la sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta da un lavoratore di accertamento di condotte demansionanti da parte del datore di lavoro.

Secondo il giudice di secondo grado, premesso che la prova presuntiva si distingue dalla prova in re ipsa del danno, il lavoratore non aveva dimostrato con il ricorso introduttivo di aver patito in concreto un danno.  

Il lavoratore, impugnata la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi di impugnazione.

Con l’ordinanza in commento, la Corte di cassazione ha ritenuto fondati entrambi i motivi di ricorso, riconfermando un principio già espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “il danno da demansionamento non è in re ipsa” (cfr. Cass. Sez. Un. n. 6572/2006; Cass. 6.12.2005 n. 26666), ma la prova di tale danno può essere data, ai sensi dell’art. 2729 c.c., anche attraverso l’allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti.

Nel caso di specie, gli elementi presuntivi, seppur puntualmente allegati nel ricorso, non sono stati valutati dal giudice di secondo grado, il quale non ha applicato correttamente “il procedimento presuntivo da cui risalire al fatto ignoto (cioè l’esistenza del danno) da quello noto (dimostrazione comunque di una dequalificazione accertata per le ragioni esplicitate nella gravata pronuncia)”.

Considerato che la prova del danno può essere data anche attraverso l’allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto tenere in considerazione, quali elementi presuntivi, “la qualità e la quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata dell'adibizione alle mansioni di produzione (da comparare a quelle di natura impiegatizia precedentemente ricoperte), la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo il corso di formazione ricevuto, i solleciti rivolti ai superiori per lo spostamento a mansioni più consone, tutte caratteristiche specifiche dell'attività svolta dalla ... allegate nel ricorso introduttivo del giudizio (come riprodotto nel ricorso per cassazione) e suscettibili di valutazione ai fini dell'accertamento di un danno professionale, sia nel profilo di un eventuale deterioramento della capacità acquisita sia nel profilo di un eventuale mancato incremento del bagaglio professionale”.

La Corte di appello ha disatteso il principio secondo cui “ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva od interiore, ma oggettivamente accertabile sul fare areddituale del soggetto, va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni (cfr. Cass. n. 29832 del 2008)”.

La Corte di merito avrebbe dovuto preliminarmente verificare la sussistenza del demansionamento prospettato dal lavoratore e, in caso di accertamento positivo, valutare la ricorrenza di un eventuale pregiudizio.

In conclusione, nell’ordinanza in commento la Corte ha richiamato i principi espressi da Cass. n. 48/2024 secondo cui “Quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che l'adibizione a mansioni inferiori fosse giustificata dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali oppure, in base all'art. 1218 c.c., a causa di un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

Per leggere il testo della sentenza clicca qui https://www.wikilabour.it/wp-content/uploads/2024/03/Cassazione_2024_06275.pdf

Con decreto del 28 - 29 febbraio 2024, la Prima Presidente della Cassazione ha dichiarato ammissibile il rinvio pregiudiziale sollevato, ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c., dal Tribunale di L’Aquila per la risoluzione di rilevanti questioni giuridiche in tema di rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare.

Il Tribunale di L’Aquila con l’ordinanza n. cronol. n. 233 del 17/01/2024 (si v., per un approfondimento, sempre sul nostro sito, Immobili privi di valore e pericolosi: è possibile la rinuncia al diritto di proprietà?), aveva disposto, ai sensi del nuovo art. 363-bis c.p.c., il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Cassazione per la risoluzione della questione relativa all’ammissibilità nel nostro sistema giuridico della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare, nonché quella relativa all’eventuale indicazione del perimetro del sindacato giudiziale sull’atto.

La Prima Presidente ha ritenuto il rinvio pregiudiziale ammissibile sussistendo tutti i presupposti richiesti dal nuovo art. 363-bis c.p.c.

La questione riguardante l’ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare, pur avendo dato vita ad un ampio dibattitto dottrinale (per una ricostruzione dei diversi orientamenti si veda, sul nostro sito, Immobili privi di valore e pericolosi: è possibile la rinuncia al diritto di proprietà?), non è stata ancora mai affrontata direttamente dalla Corte di cassazione.

Inoltre, la questione è suscettibile di porsi in numerosi altri giudizi riguardando un considerevole numero di immobili che possono presentare problematiche strutturali di vario tipo o con oneri di custodia, di gestione o di consolidamento o comunque inservibili e privi di reale valore economico.

Un indice della rilevanza numerica della questione, per la Prima Presidente, può dedursi dal Parere dell’Avvocatura Generale dello Statoin cui si suggerisce al Ministero della Giustizia di invitare i Consigli notarili ad adoperarsi affinchè i propri iscritti diano comunicazione degli atti di rinuncia alla proprietà immobiliare da essi ricevuti al competente ufficio dell’Agenzia del demanio, onde consentirgli di adottare tutte le iniziative opportune, compreso l’eventuale esperimento dell’actio nullitatis”.

Il tema è di indubbia rilevanza anche per la materia espropriativa (si vedano ad esempio le diverse sentenze del Consiglio di Stato sull’illecito permanente perpetrato dalla pubblica amministrazione attraverso l’occupazione del fondo del privato), nonché per il settore tributario.

In conclusione, la Prima Presidente, rilevato l’ampio contrasto esistente in materia, ha rimesso allo scrutinio delle Sezioni Unite la questione se sia ammissibile, nel nostro sistema giuridico, la rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare e se, in caso di risposta affermativa, l’autorità giudiziaria possa sindacare l’atto di rinuncia con riguardo ai profili di meritevolezza degli interessi e alla causa in concreto di tale negozio giuridico.

Per leggere il testo integrale del decreto della Prima Presidente della Corte di cassazione del 28 - 29 febbraio 2024 clicca qui:

https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/Provv_PP_rinvio_preg_RG_2098_2024_Trib_LAquila.pdf

Leggi, sullo stesso tema, Immobili privi di valore e pericolosi: è possibile la rinuncia al diritto di proprietà?

Per leggere il testo integrale dell’ordinanza del Tribunale di L’Aquila n. cronol. n. 233 del 17/01/2024 clicca qui: 

https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/Ordinanza_Tribunale_LAquila_RG_233_2024_oscuramento_noindex.pdf

Per leggere il Parere dell’Avvocatura Generale in tema di rinuncia abdicativa alla proprietà clicca qui:http://www.gaetanopetrelli.it/catalog/documenti/00000720/Nota%20Avvocatura%20dello%20Stato%2014.3.2018%20n.%20137950%20-%20Rinuncia%20alla%20proprieta.pdf

Con l’ordinanza interlocutoria n. 32287 del 21 novembre 2023 la Corte di Cassazione ha affrontato il tema del perfezionamento della notifica a mezzo pec restituita dal sistema con messaggio di mancata consegna per “casella piena”. 

Sul punto si sono registrati orientamenti non univoci in giurisprudenza.

Secondo un primo orientamento, la ricevuta con cui l’operatore attesta di aver rinvenuto la casella piena deve considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, trattandosi di evento imputabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione (Cass. 3164/2020; Cass 24110/2021). 

Al contrario, secondo altro orientamento, nel caso di notifica a mezzo pec non andata a buon fine, ancorché per colpa del destinatario, ove concorra una specifica elezione di domicilio fisico sussisterebbe in capo al notificante “il più composito onere di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domiciliatario fisico eletto” (Cass 40758/2021). 

Tale principio era stato già affermato in precedenza da Cass. 29851/2019 secondo cui “in linea generale, il mancato perfezionamento della notifica per fatto imputabile al destinatario “impone alla parte di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 e seguenti, cod. proc. civ., e non mediante deposito dell'atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui all'art. 16, comma 6, ultima parte, del (…) decreto legge n. 179 del 2012”, in quanto detta ultima norma è riferibile alle sole notificazioni e comunicazioni effettuate dalla cancelleria”.

Alla luce dei diversi orientamenti, presi in esame dall’ordinanza, i cui esiti risultano inconciliabili tra loro, considerate anche le modifiche normative più recenti e da ultimo quelle introdotte dalla Riforma Cartabia in tema di notificazioni, la Sezione Terza Civile, con l’ordinanza in commento, ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della seguente questione di massima di particolare importanza: “se la notifica di un atto a mezzo PEC, eseguita ai sensi dell’art. 3-bis della l. n. 53 del 1994, possa ritenersi perfezionata con la ricevuta con cui il sistema informatico attesti l’impossibilità della relativa consegna per “casella piena” del destinatario, oppure se e quali altri incombenti siano, in tale evenienza, necessari allo scopo”.

Per leggere l’ordinanza integrale clicca qui:

https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/32287_11_2023_civ_noindex.pdf
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