Il 6 novembre 2024 il Senato ha approvato la legge di conversione del ‘decreto salva infrazioni’.

Come avevamo anticipato nel dare la notizia della pubblicazione del decreto-legge (cfr.  Abuso dei contratti a termine: il decreto salva infrazioni elimina il limite al risarcimento), le nuove disposizioni intervengono a seguito della procedura di infrazione n. 2014/4231, nell’ambito della quale l’Unione Europea aveva ritenuto non corretto il recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva 1999/70/CE sui rapporti di lavoro a tempo determinato. 

In particolare, viene ampliata la misura dell’indennità risarcitoria alla quale può accedere il lavoratore.

È stato modificato, in particolare, l’art. 28 del d.lgs. 81/2015 in materia di indennità risarcitoria onnicomprensiva da corrispondere in caso di abuso nel il settore privato:

  • è stato abrogato il 3° comma (che disponeva la riduzione alla metà della soglia massima dell'indennizzo, in presenza di contratti collettivi che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell'ambito di specifiche graduatorie);
  • è stato aggiunto, al 2° comma, dopo il primo periodo (che dispone che, nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto), il seguente inciso: “Resta ferma la possibilità per il giudice di stabilire l'indennità in misura superiore se il lavoratore dimostra di aver subito un maggior danno”.

Analogo intervento vi è stato nel settore del pubblico impiego.

Sono state apportate modifiche all’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, in materia di disciplina della responsabilità risarcitoria per l'abuso di utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. È ora previsto che “Nella specifica ipotesi di danno conseguente all'’buso nell'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno, il giudice stabilisce un'indennità nella misura compresa tra un minimo di quattro e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto”.

Il controllo di terzi, guardie giurate o addetti di un’agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, l'adempimento o l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come l'adempimento, all'attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza. Tuttavia, il controllo delle agenzie investigative può avere ad oggetto il compimento di “atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione contrattuale”.

La Corte di Cassazione ha confermato tali principi (ord., 24 ottobre 2024, n. 27610), così dando seguito all’orientamento dalla stessa già accreditatocondiviso (tra le recenti, Cass. n. 17004 del 2024; in precedenza Cass. n. 9167 del 2003; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 21621 del 2018; Cass. n. 25287 del 2022).

Nella vicenda di specie, il lavoratore, che rivestiva mansioni di coordinatore e di responsabile di altri dipendenti nell’ambito di un servizio particolarmente importante quale quello della raccolta dei rifiuti, era stato licenziato per giusta causa a seguito di reiterate pause dal lavoro. L’attività investigativa svolta dal datore di lavoro aveva mostrato, in particolare, che il lavoratore si dedicava preordinatamente, quasi come fosse una prassi, ad incontri all’interno di esercizi commerciali in orario di lavoro che raggiungevano la durata anche di 40 minuti.

La Corte territoriale aveva ritenuto la sanzione proporzionata, argomentando che la condotta assumevarilievo penale e, in particolare, del reato di truffa, in quanto il mancato svolgimento della prestazione lavorativa nei termini in cui era dovuta, per avere il lavoratore goduto di reiterate pause decise unilateralmente e arbitrariamente, seguita da inveritiere attestazioni dei fogli di servizio dell'integrale osservanza dell'orario pattuito, aveva determinato l’ingiusta percezione di una retribuzione parzialmente non dovuta con correlativo danno per l'azienda.

Il lavoratore aveva impugnato la sentenza, lamentando, tra le altre cose, l'erroneità della decisione per avere ritenuto legittimi e, dunque, non violativi degli artt. 2,3 e 4 St. Lav., i controlli ai quali era stato sottoposto.

La critica non è stata accolta dalla Cassazione.

Già in passato la Corte aveva giustificato l’intervento delle agenzie investigative “per l'avvenuta perpetrazione di illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione" (cfr. Cass. n. 3590 del 2011; Cass. n. 15867 del 2017).

Analogamente, è stato costantemente ritenuto legittimo il controllo tramite investigatori che non abbia ad oggetto l'adempimento della prestazione lavorativa, ma che “sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, come proprio nel di controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo legge n. 104 del 1992" (cfr. Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 4670 del 2019; da ultimo, Cass. n. 6468 del 2024).

Nel caso affrontato nella pronuncia citata, secondo la Cassazione, la Corte territoriale aveva accertato che i fatti disciplinarmente perseguiti avessero “rilievo penale” o comunque fossero idonei “a raggirare il datore di lavoro” e a ledere non solo “il patrimonio aziendale, ma anche l'immagine dell'azienda all'esterno”.

Si rammenta che la medesima Suprema Corte aveva recentemente ribadito (Cass. n. 23985 del 2024) che la nozione di "patrimonio aziendale" tutelabile in sede di esercizio del potere di controllo dell'attività dei lavoratori deve essere intesa in un’accezione estesa. In questa prospettiva, è stato riconosciuto"il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, (…) costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico". È stata pertanto ritenuta lesiva del patrimonio aziendale la condotta di dipendenti potenzialmente integrante un illecito penale, sia ammettendo l'accertamento di fatti disciplinarmente rilevanti mediante filmati di telecamere installate in locali dove si erano verificati furti (Cass. n. 10636 del 2017) o a presidio della cassaforte aziendale (Cass. n. 22662 del 2016), sia in ipotesi di mancata registrazione della vendita da parte dell'addetto alla cassa ed appropriazione delle somme incassate.

Inoltre, la tutela del patrimonio aziendale può riguardare la difesa datoriale "dalla lesione all'immagine e al patrimonio reputazionale dell'azienda, non meno rilevanti dell'elemento materiale che compone la medesima" (Cass. n. 23985/2024 cit.).

Rispetto a tale cornice giurisprudenziale – secondo la Cassazione - parte ricorrente non aveva individuato l'error in iudicando in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, proponendo, piuttosto, un diverso apprezzamento di merito in ordine alla riconducibilità del controllo alla verifica del mero adempimento della prestazione lavorativa.

Il ricorso è stato rigettato.

Sullo stesso argomento, si veda anche, su questo sito Gli accertamenti investigativi svolti quando il lavoratore è in malattia sono legittimi?

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