È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 2 ottobre 2024 il d.lgs. n. 139 del 18 settembre 2024 contenente le Disposizioni per la razionalizzazione dell’imposta di registro, dell’imposta sulle successioni e donazioni, dell’imposta di bolla e degli altri tributi indiretti diversi dall’IVA.

Tra le modifiche si segnala quella relativa alle spese di registrazione per gli atti giudiziari recanti condanna al pagamento di somme di denaro, valori, o ad altre prestazioni, compresi i provvedimenti di cui all’art. 633 c.p.c. L’ufficio dell’Agenzia delle entrate provvederà alla registrazione a prescindere del pagamento e dovrà procedere alla preventiva escussione nei confronti della parte condannata al pagamento delle spese ovvero del debitore nei cui confronti il decreto ingiuntivo è divenuto esecutivo (quindi la parte soccombente). Solo in un secondo momento si potrà rivolgere alle altre parti, qualora l’azione di riscossione nei confronti del debitore principale sia infruttuosa. Rimane, dunque, il regime di solidarietà, ma solo in via sussidiaria.

Ecco, nello specifico, le modifiche:

All’articolo 57 del DPR 131/86:

1) al comma 1, la parola: «633,» è soppressa e dopo le parole: «del Codice di procedura civile», sono inserite le seguenti: «, salvo quanto previsto dal comma 1.1»;

2) dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1.1 Per i provvedimenti dell’autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme e valori e ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura, compresi i provvedimenti di cui all’articolo 633 del codice di procedura civile, la registrazione è eseguita, in deroga alla previsione di cui all’articolo 16, comma 1, a prescindere dal pagamento dell’imposta. L’ufficio dell’Agenzia delle entrate richiede il pagamento dell’imposta alla parte condannata al pagamento delle spese ovvero al debitore nei cui confronti il decreto ingiuntivo è divenuto esecutivo. L’avviso di liquidazione per la richiesta dell’imposta è notificato anche alle altre parti del giudizio o al creditore, che rispondono in solido per il pagamento dell’imposta se l’azione di riscossione nei confronti del debitore principale si rivela infruttuosa. Fino al verificarsi di tale evento, i termini per la richiesta dell’imposta principale nei confronti degli obbligati in via sussidiaria sono sospesi.

Qui il testo del decreto pubblicato in Gazzetta.

Con l’interpello n. 4/2024 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tramite la Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ha risposto alle questioni che gli erano state sottoposte in merito alla figura del preposto alla sicurezza. In particolare, i quesiti erano i seguenti:

  • se in un’attività in appalto fosse obbligatoria la presenza di un preposto. A titolo esemplificativo, se fosse obbligatoria la figura del preposto anche quando l'attività è svolta da due lavoratori, che non esercitano una funzione di vigilanza e coordinamento l'uno nei confronti dell'altro, in quanto ognuno si occupa autonomamente della propria parte di competenza;
  • se in un’attività in appalto il preposto dovesse essere individuato tra i lavoratori fisicamente presenti presso il committente, o possa essere il responsabile della commessa (ad es. il project manager), che non si reca presso il cliente;
  • se in un’attività in appalto svolta da un unico lavoratore dovesse essere individuato un preposto.

Dopo aver premesso il contenuto delle disposizioni di legge che vengono in rilievo (artt. 2, 18, 19, 26 e 55 del d. lgs. 81/2008), la Commissione ha sottolineato che, dal combinato disposto della citata normativa, sembrerebbe emergere la volontà del legislatore di rafforzare il ruolo del preposto, quale figura di garanzia e che sussista sempre l’obbligo di una sua individuazione. Dovrebbe ritenersi, pertanto, che la coincidenza della figura del preposto con quella del datore di lavoro vada considerata solo come extrema ratio - a seguito dell’analisi e della valutazione dell’assetto aziendale, in considerazione della modesta complessità organizzativa dell’attività lavorativa - laddove il datore di lavoro sovraintenda direttamente a detta attività, esercitando i relativi poteri gerarchico - funzionali.

Inoltre, non potendo un lavoratore essere il preposto di sé stesso, nel caso di un’impresa con un solo lavoratore, le funzioni di preposto saranno svolte necessariamente dal datore di lavoro.

Da qui la conclusione secondo la quale, in considerazione della peculiarità e dell’importanza del ruolo del preposto, deve considerarsi sempre obbligatorio che i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori indichino al datore di lavoro committente il personale che svolge detta funzione. Inoltre, l’individuazione del preposto deve essere effettuata tenendo in considerazione del fatto che tale ruolo deve essere rivestito solo dal personale che possa effettivamente adempiere alle funzioni e agli obblighi ad esso attribuiti, condizione che non sembra potersi rinvenire se il responsabile della commessa (ad es. il project manager), non si reca presso il luogo delle attività.

Qui il testo integrale dell’interpello.

La retribuzione percepita durante il periodo feriale non può essere inferiore a quella ordinaria.

Una recente ordinanza della Cassazione, di particolare interesse anche per i richiami alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha chiarito quali principi devono essere seguiti nel quantificare la retribuzione spettante al lavoratore in ferie (ordinanza, 27 settembre 2024, n. 25850).

La Cassazione ha premesso che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dall’interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

Quest’ultima, da quasi un ventennio, ha precisato che con l’espressione “ferie annuali retribuite” contenuta nell’art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88 del 2003, si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, “deve essere mantenuta” la retribuzione, con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria. Questo perché ciò che si è inteso assicurare è una situazione equiparabile a quella in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall'esercitare il diritto alle ferie, cosa che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'Unione.

Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie – secondo la Corte di Giustizia - è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un'efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso C.G.U.E. del 13 gennaio 2022 nella causa C-514/20).

In questo contesto, la Cassazione - nella recente pronuncia citata - ha rammentato che le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente, sull'ordinamento nazionale, sicché non può prescindersi dall'interpretazione data dalla Corte Europa che, quale interprete qualificata del diritto dell'unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme. Difatti, nell'applicare il diritto interno, il giudice nazionale è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell'Unione nell'intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina Eurounitaria conformandosi all’art. 288, comma 3, TFUE

La Suprema Corte ha così evidenziato di essersi già fatta interprete dei principi sopra riassunti, ribadendo, dal canto suo, che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. 17 maggio 2019 n. 13425).

Anche con riguardo al compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, pur nella diversa prospettiva cui l'indennità sostitutiva assolve, la Cassazione aveva affermato già in precedenza che la retribuzione da utilizzare come parametro debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass, 30 novembre 2021 n. 37589).

Nello specifico caso affrontato, secondo la Suprema Corte, il giudice di merito si era attenuto a tali principi ed aveva proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse, senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita.

La Cassazione ha poi reputato plausibile, ed in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia, l’interpretazione condivisa dalla Corte territoriale circa le norme collettive aziendali che regolavano gli istituti di cui era stata chiesta l'inclusione nella retribuzione feriale.

Il ricorso proposto dal datore di lavoro, che aveva criticato tale interpretazione, è stato rigettato.

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram