Un lavoratore, licenziato per una asserita assenza ingiustificata per oltre quattro giorni dal posto di lavoro, aveva impugnato il licenziamento irrogatogli sostenendo di essersi ammalato mentre si trovava all’estero in ferie e di aver trasmesso il certificato medico a mezzo fax.

All’esito della fase sommaria, il Giudice aveva accolto la domanda diretta all’accertamento della illegittimità del licenziamento, con decisione poi confermata dal Giudice dell’opposizione.  La Corte d'Appello, poi, aveva accolto solo in parte il gravame della Società, confermando la declaratoria di illegittimità del licenziamento nonchè la tutela reintegratoria e rideterminando soltanto l'indennità risarcitoria.

La vicenda è giunta così all’esame della Corte di Cassazione che ha rigettato il ricorso proposto dalla Società (ordinanza, 25 settembre 2024, n. 25661).

La datrice di lavoro aveva lamentato, tra le altre cose, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, co. 2, d.l. n. 633/1979 e 1362 c.c. per avere la Corte territoriale considerato il fax alla stregua di un’idonea modalità di trasmissione del certificato di malattia.

La Cassazione ha reputato il motivo infondato osservando che la Corte territoriale aveva evidenziato che il fax era una modalità espressamente prevista dal regolamento aziendale, di cui aveva riportato un ampio stralcio, ed aveva rilevato che la norma di legge non esclude modalità equivalenti secondo forme d'uso, che ben possono essere previste, appunto, da un regolamento aziendale.

Questa parte della motivazione – secondo la Cassazione - non era stata oggetto di censure e risultava idonea a sorreggere la decisione. In particolare, la ricorrente non aveva contestato lo stralcio riportato fra virgolette ed in corsivo del regolamento aziendale, con la conseguenza che doveva ritenersi corretto l'accertamento di fatto compiuto al riguardo dalla Corte territoriale.

Si segnala che, nell’ambito della medesima pronuncia, la Cassazione, nell’esaminare il motivo di ricorso mediante il quale la ricorrente aveva lamentato che la Corte territoriale avesse affermato una vera e propria presunzione dell’arrivo del fax, ha rammentato che “il contesto delle circostanze va interpretato alla luce dei principi di correttezza e di buona fede”.

In particolare – ha ricordato la Corte - si è affermato che la comunicazione di malattia al datore di lavoro prescritta dall'art. 2 del d.l. n. 563/1979 (conv. in legge n. 33/1980), rileva sulla possibilità di prosecuzione del rapporto nella misura in cui la sua omissione impedisca al datore di lavoro di controllare lo stato di malattia e la giustificatezza dell'assenza, ed allo stesso lavoratore di provarla a distanza di tempo, ove si tratti di malattie a carattere transeunte, che non lasciano traccia apprezzabile. Per converso, il lavoratore può provare la giustificatezza dell'assenza, ai sensi dell'art. 2119 c.c., anche successivamente alla malattia, ove sia stato nell'impossibilità incolpevole di effettuare la prescritta comunicazione (ad esempio nel caso in cui le circostanze abbiano impedito al medesimo, o ai familiari, per la gravità della situazione clinica e psicologica del momento, di effettuare le prescritte comunicazioni al datore di lavoro). Tali regole – sottolinea la Corte - trovano applicazione, secondo le circostanze del caso, in base al principio di correttezza e buona fede, anche nella ipotesi di malattia contratta all'estero (Cass. n. 13622/2005).

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 settembre 2024 il decreto legislativo n. 135 del 4 settembre 2024 che attua la direttiva (UE) 2022/431 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2022, che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro.

Avevamo dato notizia dell’approvazione in esame preliminare del decreto lo scorso giugno (cfr. Recepimento della direttiva sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni) ed ora le nuove disposizioni entreranno in vigore l’11 ottobre 2024.

Il decreto, con i suoi 22 articoli, introduce modifiche al Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro (d. lgs. n. 81/2008).

Le espressioni “agenti cancerogeni e mutageni” saranno sostituite da “agenti cancerogeni, mutageni, tossici per la riproduzione”, così comprendendo nel campo di applicazione degli obblighi antinfortunistici anche tali sostanze.

Le nuove norme si concentrano anche sugli obblighi informativi e formativi in capo al datore di lavoro, fornendo le indicazioni sul contenimento del rischio in caso di utilizzo o produzione di sostanze tossiche per la riproduzione, e sulla redazione del documento di valutazione del rischio.

Qui è consultabile il testo integrale del decreto.

In tema di danno da occupazione di un immobile situato in zona centrale e di pregio non si pone un postulato di danno in re ipsa, ma una presunzione semplice di danno.

Questa è la conclusione alla quale è giunta la Corte di Cassazione nella recente ordinanza del 24 settembre 2024, n. 25505.

Il ricorrente aveva adito la Suprema Corte per chiedere la riforma della sentenza di secondo grado che aveva respinto il gravame contro la pronuncia del Tribunale. Il Giudice di primo grado aveva rigettato la domanda riconvenzionale di usucapione riguardo ad un immobile situato in una zona centrale di Roma, ed era stato imposto all’originario attore, in accoglimento delle domande principali, di rilasciare l'immobile e di risarcire il danno per illegittima occupazione dell'immobile.

Tra le censure prospettate, il ricorrente aveva lamentato che la Corte d’appello avesse errato nel ritenere il danno da illegittima occupazione in re ipsa.

La Corte di Cassazione, richiamando precedenti pronunce (39 del 7 gennaio 2021 e n. 20708 del 31 luglio 2019; nonché 14268 del 25 maggio 2021), ha ricordato che “la giurisprudenza è nel senso che non si pone un postulato di danno in re ipsa ma una presunzione semplice di danno”.

Su tale premessa, la Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, non fosse ravvisabile l’errore denunciato dal ricorrente avendo la Corte di Appello dato conto della specificità della fattispecie concreta di occupazione abusiva di immobile posto in una zona centrale e di pregio di Roma così che era da ritenersi probabile una diversa utilizzazione economica da parte del proprietario reimmesso in possesso.

Inoltre, la Corte di Appello aveva anche precisato che la stessa parte non aveva fornito alcuna controprova “per vincere la presunzione radicata nella concretezza”.

Inoltre, nel rigettare il motivo di impugnazione formulato in relazione alla quantificazione del danno, la Cassazione ha evidenziato che la Corte territoriale aveva stimato l'effettivo valore locativo dell'immobile in 1000 euro al mese, tenendo conto delle dimensioni (‘circa 40 m’) e della ubicazione dell'immobile che, come si è visto, si trovava in una strada prestigiosa e nota per la storica presenza di antiquari in pieno centro storico. Inoltre, era risultato che l’appellante non aveva indicato un diverso valore locativo e non aveva allegato differenti stime immobiliari.

Il ricorso, come è stato detto, è stato respinto.

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