La violazione del consenso informato nei confronti del paziente è risarcibile, anche in assenza di un danno alla salute, tutte le volte in cui siano configurabili conseguenze pregiudizievoli, non patrimoniali, di apprezzabile gravità derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione.
Questo il principio affermato da Cassazione, Sez. III civile, ordinanza del 30 ottobre 2023, n. 30032.
La vicenda decisa dalla Cassazione trae origine dalla domanda di risarcimento dei danni subiti da una paziente a causa della negligenza e imperizia nella cura di patologia dermatologica da cui era stata colpita. In particolare, l’errore imputato ai due medici convenuti era stato individuato nel mancato avviso della necessità di compiere un esame istologico dei tessuti a seguito della asportazione, in due occasioni, a distanza di alcuni anni, di una cisti sebacea, ripresentatasi alcuni anni dopo e, infine, oggetto di diagnosi di neoplasia, per la rimozione della quale la paziente si è sottoposta a complesse cure.
La Corte d’Appello aveva accolto la domanda della danneggiata solo in relazione alla violazione del principio del consenso informato, condannando entrambe i medici al risarcimento del danno. In particolare, la Corte territoriale aveva escluso che fosse stato provato il nesso di causalità tra l’asserito ritardo diagnostico e i successivi interventi cui la paziente si era dovuta sottoporre, ritenendo che - “con elevato grado di probabilità” - la patologia cancerogena fosse sopravvenuta rispetto alle condotte dei medici convenuti.
Invece, la mancata acquisizione del consenso informato al trattamento sanitario aveva certamente leso il diritto della paziente "a ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui veniva sottoposta, con particolare riguardo alla natura recidivante della formazione asportata, così da consentirle di valutare più approfondite diagnostiche o eventuali terapie alternative”.
La Corte di Cassazione ha, innanzi tutto, accolto il secondo motivo proposto dalla paziente, censurando la sentenza di appello per avere tratto il dato della correttezza del comportamento dei medici dalla professionalità dei medesimi, in forza della quale gli stessi non avrebbero potuto confondere la patologia diagnosticata in un primo momento con quella poi definitivamente accertata diversi anni dopo. La Corte territoriale avrebbe quindi erroneamente applicato il ragionamento presuntivo, dando “per dimostrato esattamente ciò che, al contrario, doveva essere dimostrato”.
L’ordinanza in esame ha poi accolto il ricorso incidentale proposto dai medici, fondato sulla omessa indicazione delle ragioni del riconoscimento del risarcimento del danno per violazione del principio del consenso informato pur in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito, ed in assenza di prova che la paziente, se adeguatamente informata, avrebbe verosimilmente rifiutato di sottoporsi all’intervento.
La Corte di Cassazione passa in rassegna la più recente giurisprudenza in materia di consenso informato, ribadendo che “l'inadempimento dell'obbligo di informazione sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo a fini risarcitori, anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all'informazione, tutte le volte in cui siano configurabili, a carico del paziente, conseguenze pregiudizievoli di carattere non patrimoniale di apprezzabile gravità derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in se stesso considerato, sempre che tale danno superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e che non sia futile, ossia consistente in meri disagi o fastidi” (Cass., 9 febbraio 2010, n. 2847; più di recente ordinanza 22 agosto 2018, n. 20885).
Come chiarito da Cass. n. 5631 del 23 febbraio 2023, le conseguenze dannose derivanti da un atto terapeutico eseguito senza un consenso legittimamente prestato devono essere debitamente allegate dal paziente sul quale grava l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva e non essendo configurabile un danno risarcibile in re ipsa derivante esclusivamente dall’omessa informazione.
Rileva quindi l’ordinanza in commento che “La violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione, rinvenibile quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute”.
La Cassazione si dichiara poi espressamente tributaria dei principi affermati, assai di recente, dall’ordinanza 12 giugno 2023, n. 16633 (di cui avevamo dato conto sul nostro sito, con nota di Maria Santina Panarella, “Mancanza del consenso informato del paziente tra violazione del diritto all’autodeterminazione e lesione del diritto alla salute”, la quale – in fattispecie in cui è stata ritenuta fondata la pretesa risarcitoria per il danno non patrimoniale diverso dal danno biologico, per la mancanza di prova che fosse stata fornita all'istante adeguata e completa informazione anche sulle possibili complicanze dell'intervento pur correttamente eseguito - ha chiarito che:
Facendo applicazione di tali principi l’ordinanza in esame, quindi, rileva che la parte attrice non aveva mai sostenuto che l’intervento fosse stato eseguito in maniera scorretta, né era mai stato prospettato che in “presenza di un'adeguata informazione, ella avrebbe rifiutato di sottoporsi ai due interventi”. Sottolinea, anzi, la Corte che “il consenso della paziente all'intervento è da ritenere presunto, anche perché non è dato sapere quale altra strada si sarebbe potuta intraprendere che non fosse l'asportazione”.
Su queste premesse, l’ordinanza in commento conclude che la mancata acquisizione del consenso informato al trattamento sanitario non possa aver leso, in sé, il diritto della paziente all’autodeterminazione e, dunque - sulla base di quanto affermato dalla Corte d’Appello – il diritto “a ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui veniva sottoposta, con particolare riguardo alla natura recidivante della formazione asportata, così da consentirle di valutare più approfondite diagnostiche o eventuali terapie alternative”.
In conclusione, dunque, la violazione del consenso informato, pur in assenza di un errore medico, è risarcibile solo se vi sia stata una lesione del diritto del paziente all’autodeterminazione e se da ciò sia derivato un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto alla salute, di apprezzabile gravità.