Sono ormai trascorsi oltre due anni dalla pubblicazione della sentenza n. 7969 del 20 aprile 2020 nella quale la Corte di Cassazione aveva espressamente evidenziato la necessità di rimeditare la questione del fondamento della responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica protetta per offrire un indirizzo chiaro ed univoco.
In quel caso, la Suprema Corte, premettendo che la funzione di tutela, gestione e controllo del patrimonio faunistico appartenente alle specie protette operata dalle Regioni costituisce, nella sostanza, una “utilizzazione” ai fini dell’art. 2052 c.c.,aveva ritenuto che la responsabilità per i danni causati da tali animali andasse attribuita al soggetto che se ne serve, individuandolo “certamente ed esclusivamente” nelle Regioni, salva la dimostrazione del caso fortuito (si veda il nostro approfondimento, Danni arrecati dai cinghiali: dalla responsabilità ex art. 2043 c.c. all’applicazione dell’art. 2052 c.c.).
Orbene, la Cassazione ha continuato a percorrere la strada intrapresa con tale pronuncia, come si evince dalla recente ordinanza n. 27284 pubblicata il 16 settembre 2022.
Nel caso affrontato, la Corte d’Appello aveva confermato la decisione del Giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda, azionata nei confronti della Regione, per il risarcimento dei danni subiti a seguito del sinistro stradale in occasione del quale l’attore, alla guida della propria autovettura, aveva travolto un istrice che si trovava sulla strada, finendo contro un albero posto a margine di una piazzola di sosta.
La Corte territoriale aveva rilevato, in particolare, come la pretesa risarcitoria non potesse essere accolta, non avendo l’attore fornito alcuna prova circa i profili di colpevolezza della Regione in relazione alla causazione del sinistro ed attesa l’inapplicabilità, nel caso di specie, dell’art. 2052 c.c.
Secondo la Suprema Corte, la decisione di secondo grado è stata emessa sulla base di una falsa applicazione della norma richiamata.
La Cassazione ha osservato, a questo proposito, che, secondo il recente – benché ormai consolidato – insegnamento della giurisprudenza della medesima Corte, i danni cagionati dalla fauna selvatica “sono risarcibili dalla pubblica amministrazione a norma dell’art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, in quanto le specie selvatiche protette ai sensi della l. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema (v., ex plurimis, Sez. 3, sentenza n. 7969 del 20/04/2020)”.
La sentenza è stata cassata, con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.