Il diritto al risarcimento di danni alla salute lungolatenti o ad esordio occulto (come nel caso di contagio o di patologie silenti) inizia a prescriversi dal momento in cui il danneggiato, con la diligenza esigibile (non da lui, ma) dall’uomo medio, possa avvedersi sia di essere malato, sia che la causa della malattia fu la condotta illecita di un terzo.
Secondo la Corte di Cassazione, questo principio vale anche nel caso del risarcimento del danno da trasfusione.
La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 10190 del 30 marzo 2022 ha ribadito, a questo proposito, che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo, decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita - o possa essere percepita, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche - quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo.
Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile, da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione, incorre in un errore di sussunzione e, dunque, nella falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. (in questo senso anche ordinanza Cass. 27 settembre 2019, n. 24164).
Ne consegue che, una volta provata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, sarà la controparte a dover dimostrare che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, l’esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione anche per mezzo di presunzioni semplici (sempre che il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura).
Nel caso affrontato nella recente ordinanza sopra citata (Cass. n. 10190/2022), i ricorrenti, in proprio e nella qualità di eredi della defunta congiunta, avevano convenuto in giudizio il Ministero della Salute al fine di ottenere il risarcimento del danno subito dalla defunta per aver contratto il virus HCV in seguito alle trasfusioni di sangue effettuate presso un Ospedale di Napoli.
Il Tribunale, in accoglimento della domanda, aveva condannato il Ministero della Salute al pagamento di una somma complessiva pari ad oltre 600 mila euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.
La Corte d’Appello, in riforma integrale della pronuncia di primo grado, aveva rigettato le domande risarcitorie per intervenuta prescrizione.
Orbene, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello, in violazione dei principi sopra indicati, aveva erroneamente ritenuto che tale prova fosse stata fornita dal Ministero della Salute (condannato in primo grado a risarcire il danno non patrimoniale agli eredi della danneggiata) in via presuntiva, ritenendo di poter desumere il fatto ignoto della conoscenza o conoscibilità della causa della malattia, in capo alla danneggiata sulla base delle seguenti circostanze: 1) la scoperta della malattia; 2) la mancata allegazione da parte della danneggiata di altri fattori di rischio diversi dalla trasfusione; 3) la lettera di dimissioni del 23 marzo 1995 consegnata alla paziente; 4) al momento in cui le era stata diagnosticata la malattia era ben nota la correlazione tra virus HVC e trasfusioni di sangue.
Il ricorso è stato accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.