La decorrenza della prescrizione dei crediti da lavoro in costanza di rapporto ha animato, e tutt’ora anima, il dibattito, in giurisprudenza e dottrina, all’indomani dell’entrata in vigore della Legge, 28 giugno 2012, n. 92 (Legge Fornero).
Si deve rammentare che la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 63 del 1966 ha escluso la decorrenza della prescrizione del diritto alla retribuzione “durante il rapporto di lavoro”, precisando che “in un rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza invece il rapporto d'impiego pubblico, la prescrizione del diritto al salario non decorre durante il rapporto di lavoro”. Tale principio si fonda sull’assunto secondo cui “il timore del recesso, cioè del licenziamento, spinge o può spingere il lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei propri diritti”.
In epoca recente, un indirizzo giurisprudenziale accreditato da Cass. sez. lav., 6 settembre 2022, n. 26246, ed ancora più di recente ribadito da Cass., sez. lav., 20/10/2022, n. 30957 – valorizzando le modifiche in materia di tutela conseguente al licenziamento riferibili alla L. 92/2012 e alla L. 23/2015 - ha fissato la decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore dalla cessazione del rapporto lavoro, “posto che la mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata esclude che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lg. n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità”.
Del tema ci eravamo già occupati sul nostro sito in relazione alla decorrenza della prescrizione nel pubblico impiego (nota a Cass. 28/02/2023, n. 6051 di Roberto Lama: "La decorrenza della prescrizione nel pubblico impiego privatizzato: la Sez. Lavoro rimette la questione al Primo Presidente").
Il Tribunale di Bari, in una assai recente sentenza (n. 2179/23 del 6 settembre 2023), è tornato sul tema, ponendo in dubbio i principi da ultimo richiamati, prospettando una questione di legittimità costituzionale (poi non sollevata per difetto del requisito della rilevanza) “delle norme di cui agli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, c.c. (come risultanti da Corte Cost. 63/1966 e) per come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione”.
In particolare, ad avviso del giudice barese il sospetto di illegittimità risiederebbe nei seguenti aspetti:
Il Tribunale muove dall’assunto che la L. 92 del 2012 ha introdotto un rilevante elemento di novità rispetto al quadro normativo all’interno del quale si è inserito l’intervento della Corte Costituzione n. 63 del 1966 e comunque si è mossa per decenni la giurisprudenza.
Infatti, la disciplina del licenziamento, affidata alla L. 604/1966 (e poi alla L. 300/1970), attribuiva esclusivamente rilievo alla sussistenza o meno della giusta causa o di un giustificato motivo. Era perciò inevitabile che “la stabilità fosse negata per i rapporti attratti nell’alveo della tutela obbligatoria e fosse viceversa affermata per quelli attratti nell’alveo della tutela reale”.
Viceversa, la L. 92/2012, per la prima volta, ha “enucleatouna specifica disciplina per i casi di licenziamento determinato da motivo illecito ex art. 1345 c.c., riconoscendo al lavoratore, per tali frangenti, qualunque siano le dimensioni dell’impresa, sia il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, sia il pagamento dell’indennità risarcitoria (dalla data del licenziamento sino a quella di effettiva reintegrazione), senza neppure la limitazione dell’aliunde percipiendum”.
In questo senso, conclude la sentenza, tutti i rapporti lavorativi, intercorrenti con datore di lavoro in possesso del requisito dimensionale ex art. 18, comma 8, L. 300/1970, sono muniti del carattere di stabilità. Conseguentemente, ed avuto riguardo ai principi affermati dalla Corte Costituzionale n. 63 del 1966, non sarebbe ragionevole escludere la decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto per i crediti non ancora estinti alla predetta data, non essendo ravvisabile una relazione diretta tra l’inerzia del lavoratore e il timore del licenziamento per “rappresaglia nei confronti del lavoratore per avere egli azionato delle pretese retributive”.
Il Tribunale di Bari, infine, pone in discussione il principio, su cui ha fatto leva Cass. n. 26246/2022, attinente alla “preventiva e chiara conoscibilità della stabilità del rapporto di lavoro”. Infatti, “la stabilità del rapporto è conoscibile sin dal suo principio, perché la tutela reintegratoria piena discende direttamente ed esclusivamente dalle previsioni della legge (92/2012)”.
Staremo a vedere se questi spunti argomentativi saranno riproposti dal medesimo Tribunale in altri giudizi, in cui la questione di legittimità costituzionale possa dirsi rilevante, ovvero se saranno recepiti da altri giudici. Quel che è sicuro è che un nuovo intervento della Corte Costituzionale, il quale assuma come termine di riferimento il diritto vivente in argomento, così come delineato da Cass. n. 26246/2022, sarebbe in grado di conferire alla delicatissima materia della decorrenza del termine prescrizionale dei crediti dei lavoratori subordinati una certezza che un intervento della Corte di Cassazione a sezione semplice non può assicurare.