L’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato, dev'essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro che prevede un sistema di indennizzo per i reati intenzionali violenti che subordina, in caso di omicidio, il diritto all'indennizzo dei genitori della persona deceduta all'assenza di coniuge superstite e di figli di tale persona e quello dei fratelli e delle sorelle di quest'ultima all'assenza di detti genitori.
Questa è la conclusione alla quale è giunta la Corte di Giustizia nella recente decisione del 7 novembre 2024 C-126/2023 che vedeva, tra le parti, la Presidenza del Consiglio dei ministri italiana (qui il testo integrale).
Il Tribunale di Venezia aveva sollevato la questione pregiudiziale in relazione alla controversia che era insorta tra il Governo italiano ed i familiari (i genitori, la sorella e i figli della vittima) di una donna uccisa dall’ex compagno i quali avevano chiesto un indennizzo “equo ed adeguato”.
Ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, tutti gli Stati membri sono tenuti a provvedere affinché le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime.
La Corte di Giustizia ha preso le mosse dalla nazione di ‘vittima’ ed ha constatato che se questa dovesse essere interpretata, come sostenuto dal governo italiano, “nel senso che essa include esclusivamente nell’ambito di applicazione ratione personae di tale disposizione le vittime dirette dei reati intenzionali violenti, i reati rientranti in tale nozione che hanno portato alla morte della persona che li ha subiti non rientrerebbero nell’ambito di applicazione ratione materiae di detta disposizione, in violazione del suo obiettivo”. Secondo l’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 difesa dal governo italiano, in caso di omicidio, lo Stato membro interessato – precisa la Corte - non sarebbe tenuto a versare alcun indennizzo, poiché, in tal caso, essendo deceduta l’unica “vittima” del reato intenzionale violento, nessun’altra persona, come, in particolare, il coniuge superstite o i figli, dovrebbe, in linea di principio, essere indennizzata in questa stessa qualità.
Questa interpretazione, però, equivarrebbe a privare l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 della parte essenziale del suo effetto utile, in quanto imporrebbe agli Stati membri l’istituzione di un sistema nazionale di indennizzo per i reati intenzionali violenti unicamente qualora la persona che ha subito tale reato sopravviva alle lesioni, ma non laddove tale persona sia deceduta a causa di queste ultime.
Pertanto, la nozione di “vittime”, ai sensi della disposizione richiamata, a vantaggio delle quali gli Stati membri devono istituire un sistema nazionale di indennizzo, deve essere intesa nel senso che può includere le vittime indirette di un atto qualificato come reato intenzionale violento, quali i familiari stretti della persona deceduta a causa di tale reato, quando subiscono, di riflesso, le conseguenze di quest’ultimo.
In secondo luogo, la Corte ha affrontato la questione se si possa ritenere che una normativa nazionale che, in caso di omicidio, subordina il diritto all’indennizzo dei genitori della persona deceduta a causa di un atto qualificato come reato intenzionale violento all’assenza di coniuge superstite e di figli di quest’ultima e quello dei fratelli e delle sorelle della vittima all’assenza dei genitori, garantisca a tali vittime un indennizzo “equo ed adeguato”, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.
A questo riguardo, la Corte ha ricordato che, tenuto conto, da un lato, del margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri da tale disposizione per quanto riguarda tanto il carattere “equo ed adeguato” dell’importo dell’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti quanto le modalità di determinazione dello stesso e, dall’altro, della necessità di garantire la sostenibilità finanziaria dei sistemi nazionali di indennizzo, l’indennizzo non deve necessariamente corrispondere al risarcimento dei danni che può essere riconosciuto, a carico dell’autore del reato, alla vittima di tale reato. Di conseguenza, tale indennizzo non deve necessariamente garantire un ristoro completo del danno materiale e morale subito dalla vittima.
In tale contesto, spetta in definitiva al giudice nazionale garantire, alla luce delle disposizioni nazionali che hanno istituito il sistema di indennizzo, che la somma assegnata ad una vittima di un reato intenzionale violento in forza di tale sistema costituisca “un indennizzo equo ed adeguato”.
Tuttavia, uno Stato membro eccederebbe il margine di discrezionalità accordato se le sue disposizioni nazionali prevedessero un indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime.
Di conseguenza, la misura degli indennizzi deve essere sufficientemente dettagliata, così da evitare che l’indennizzo forfettario previsto per un determinato tipo di violenza possa rivelarsi, alla luce delle circostanze di un caso particolare, manifestamente insufficiente. Ne consegue che, per essere considerato “equo ed adeguato” ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, un indennizzo forfettario concesso a titolo di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti deve essere fissato tenendo conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime e deve, quindi, rappresentare un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito.
Secondo la Corte, gli Stati membri, nell’esercizio del potere discrezionale di cui dispongono, possono decidere di istituire un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti che limiti il beneficio di tale sistema ai familiari stretti della persona deceduta, attribuendo, peraltro, priorità ad alcuni di questi familiari, quali il coniuge superstite e i figli, rispetto ad altri familiari, quali i genitori nonché i fratelli e le sorelle (approccio c.d. a cascata).
Tuttavia, un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non può, in applicazione della logica della devoluzione successoria, escludere automaticamente taluni familiari dal beneficio di qualsiasi indennizzo per il solo fatto che siano presenti altri familiari, e senza che possano essere prese in considerazione considerazioni diverse da tale ordine di devoluzione (quali, in particolare, le conseguenze materiali derivanti, per tali familiari, dalla morte per omicidio della persona o il fatto che detti familiari fossero a carico della persona deceduta o conviventi con essa).
In particolare – a dire della Corte - il fatto di privare, per principio, alcuni familiari di qualsiasi indennizzo deve essere considerato inconciliabile nel caso in cui un giudice abbia concesso a tali familiari un risarcimento danni, per giunta non trascurabile, per il pregiudizio subito a causa della morte della persona che ha subito il reato intenzionale violento, ma l’autore del reato non sia in grado, a causa della sua insolvenza, di pagarlo.
Pertanto, ha concluso la Corte, un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti - come quello italiano - dal quale sono escluse alcune vittime senza alcuna considerazione per l’entità dei danni da esse subiti, a causa di un ordine di priorità predefinito tra le diverse vittime che possono essere indennizzate, e fondato unicamente sulla natura dei vincoli familiari, dai quali vengono tratte semplici presunzioni quanto all’esistenza o all’entità dei danni, non può dare luogo a un “indennizzo equo ed adeguato”, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.