Il caso da cui origina la pronuncia
Una lavoratrice, che da meno di un anno è diventata madre, si assenta ingiustificatamente dal lavoro per un periodo superiore ai cinque giorni. Il contratto collettivo che si applica al rapporto di lavoro prevede che l’assenza ingiustificata del dipendente per un periodo superiore ai cinque giorni integri un’ipotesi di giusta causa di licenziamento, motivo per il quale il datore di lavoro intima il licenziamento della lavoratrice ai sensi dell’art. 2119 c.c.
La soluzione del Tribunale di Brescia.
Il Giudice di merito, innanzi tutto, muove dalla ricognizione della disciplina legale che regolamenta la fattispecie del licenziamento della lavoratrice madre, rilevando che l’art. 54 del D. Lgs n. 151/2001 sancisce un vero e proprio divieto di licenziamento della lavoratrice-madre, dal periodo di inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di vita del bambino. Tale divieto, tuttavia, non è assoluto, ma appunto ammette delle eccezioni tipizzate dal legislatore: tra queste, per quel che qui rileva, il caso della “colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro”.
Ciò chiarito, il Tribunale di Brescia ha affermato che, in presenza di tale esplicito divieto di licenziamento – sancito dalla legge in considerazione della peculiare condizione, e funzione sociale, della donna-lavoratrice che ha partorito da meno di un anno – l’ipotesi derogatoria della colpa grave che integra una giusta causa di licenziamento costituisce una “fattispecie autonoma”, distinta dalle “ordinarie” causali di licenziamento disciplinare, quali la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo. Richiamando a sostegno della propria decisione alcune sentenze della Suprema Corte nell’ambito delle quali si è chiarito che la “colpa grave” che giustifica il licenziamento della lavoratrice-madre costituisce una fattispecie di giusta causa connotata da maggior disvalore e gravità (ed in particolare: Cass. civ. Sez. lav. n. 19912/2011; Cass. civ. Sez. lav. n. 2004/2017), il Tribunale giunge alla conclusione che il datore di lavoro si è limitato a richiamare la previsione del contratto collettivo che qualifica in termini di giusta causa una data condotta del lavoratore, senza appunto dimostrare che “la condotta della prestatrice possa aver integrato gli estremi di una colpa grave, né tanto meno” illustrare “le ragioni secondo cui sarebbe stato inoperante il divieto legale di licenziamento”. Il licenziamento è conseguentemente nullo ai sensi dell’art. 18, co. 1, L. n. 300/1970, appunto perché il datore di lavoro, sul quale grava il relativo onere probatorio, non ha dimostrato la ricorrenza dei presupposti causali, quali appunto la colpa grave “costituente gusta causa per la risoluzione del rapporto”, la cui sussistenza è invece necessaria affinché sia inoperante l’esplicito divieto di licenziamento della lavoratrice madre sancito dall’art. 54 D.Lgs. 151/2001.