Il caso
Una dipendente pubblica viene rinviata a giudizio per truffa ai danni dello Stato in relazione ad alcune sue assenze ingiustificate dal posto di lavoro, occultate attraverso la falsa attestazione della presenza in servizio. L’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari dell’ Amministrazione datrice di lavoro, ricevuta la relativa notizia, contesta alla dipendente il fatto e, contemporaneamente, ritenendo di non disporre di elementi sufficienti per irrogare una sanzione disciplinare, sospende il procedimento disciplinare, avvalendosi della facoltà riconosciuta dall’art. 55 ter, comma 1, del D. Lgs. n. 165/2011[1].
Successivamente alla condanna in primo grado ad un anno e sei mesi di reclusione riportata dalla dipendente, l’UPD riattiva il procedimento disciplinare in precedenza sospeso e le intima il licenziamento per giusta causa.
La lavoratrice ricorre dunque in Cassazione per ottenere la riforma della sentenza con cui la Corte di Appello aveva riconosciuto la legittimità del licenziamento irrogato.
La pronuncia della Suprema Corte n. 41892/2021
La sentenza che qui brevemente si annota è l’occasione per la Cassazione per ribadire alcuni consolidati principi di diritto in materia di procedimento disciplinare che “abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria”.
E così, in primo luogo, sul piano dell’efficacia temporale delle norme, la Suprema Corte ribadisce che la disciplina del procedimento disciplinare del pubblico dipendente – così come prevista dal c.d. T.U. sul Pubblico Impiego modificato dal D. Lgs. n. 150/2009 (c.d. “decreto Brunetta”) – si applica a tutti quei fatti disciplinarmente rilevanti di cui la singola P.A. acquisisce notizia successivamente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 150/2009, e dunque successivamente al 16 novembre 2009.
Viene poi affermato nuovamente il principio in base al quale la P.A., una volta esercitata la facoltà di sospendere il procedimento disciplinare in ragione della particolare complessità dell’accertamento del fatto ed in ragione della insussistenza di elementi sufficienti a fondare l’irrogazione di una sanzione disciplinare, può successivamente riattivare il procedimento disciplinare senza dover attendere il passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio penale. Del resto, quanto sopra si spiega, da un lato, in considerazione della pacifica autonomia del procedimento disciplinare dal procedimento penale, dall’altro, in ragione del fatto che la norma in questione, a seguito della aggiunta ad essa apportata dal D. Lgs. n. 75/2017, inequivocabilmente prevede che “il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l'amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo”. Il giudicato penale, afferma la Suprema Corte, è il termine massimo finale della sospensione, che dunque non può protrarsi oltre di esso, ma non vincola la P.A., che appunto non è tenuta ad attendere che l’accertamento della responsabilità penale del dipendente sia definitivo ed immutabile per esercitare legittimamente il potere disciplinare.
Ad ulteriore conferma dell’autonomia tra procedimento disciplinare e procedimento penale e della conseguente facoltà della P.A. di riattivare e concludere il procedimento disciplinare sospeso anche in assenza di un accertamento definitivo della responsabilità penale del dipendente pubblico, la Cassazione rammenta che l’art. 27, comma 2, Cost. “concerne le garanzie relative all’attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può essere applicato, in via analogica o estensiva, all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore suscettibile di integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto”.
E’ altresì ribadito il riconoscimento della natura imperativa della disciplina di cui all’art. 55 ter D. Lgs. n. 165/2001, con il corollario che la facoltà di sospensione del procedimento disciplinare non può ritenersi derogabile dalla contrattazione collettiva di settore.
Nel caso in cui la P.A., afferma ancora la Corte, riattivi il procedimento disciplinare (rinnovando quindi la contestazione disciplinare) senza attendere la sentenza che definisca anche solo il primo grado del giudizio penale, è previsto che il procedimento disciplinare “riattivato” si svolga “secondo quanto previsto nell’articolo 55-bis con integrale nuova decorrenza dei termini ivi previsti per la conclusione dello stesso”, con il corollario che non si dovrà tenere conto dell’arco temporale già decorso dalla data dell’originaria contestazione a quella della sospensione del procedimento disciplinare.
Ed ancora, è ribadita la regola per cui il datore di lavoro, ai fini dell’esercizio del potere disciplinare, oltre che delle prove dibattimentali, può desumere la rilevanza disciplinare della condotta del dipendente anche dagli atti acquisiti nel corso delle indagini preliminari.
Altro orientamento consolidato da cui la Suprema Corte non ritiene di doversi discostare, che del resto è valido anche per il rapporto di lavoro privato, è quello secondo il quale, nell’ipotesi in cui la condotta disciplinarmente rilevante consista nell’assenza ingiustificata del lavoratore, il datore di lavoro può limitarsi a provare l’assenza nella sua oggettività, essendo onere del lavoratore che voglia contrastare la pretesa datoriale provare “gli elementi che possano giustificarla”.
Con tale pronuncia, pertanto, la Suprema Corte ha colto l’occasione per affermare nuovamente alcuni significativi principi di diritto in materia di procedimento disciplinare del pubblico dipendente, un aspetto del rapporto di pubblico impiego che presenta dei tratti di peculiarità rispetto alla disciplina legale del potere disciplinare del datore di lavoro privato.
[1] L’art. 55 ter del D. Lgs. 165/2001, così come modificato dal D. Lgs. n. 150/2009, al primo comma così dispone: “Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale. Fatto salvo quanto previsto al comma 3, il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l'amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo. Resta in ogni caso salva la possibilità di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente”.