Come ogni attività, anche il rafting può essere praticato a tutti i livelli, sia sulle rapide impetuose che su percorsi tranquilli: il dato certo è comunque l’adrenalina che questa esperienza è in grado di regalare.
Occorre allora chiedersi quanto le caratteristiche del rafting incidano sul regime della responsabilità applicabile nel caso di danni.
Una recente sentenza del Tribunale di Bolzano (6 marzo 2020, n. 262) ha fornito alcuni interessanti spunti di riflessione.
Il rafting costituisce un’attività pericolosa?
In linea generale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che se un’attività non è specificatamente qualificata come pericolosa dal legislatore, spetta al giudice effettuare la valutazione in concreto al fine di accertare se la stessa possa essere considerata tale per sua natura o per la spiccata potenzialità offensiva dei mezzi adoperati, in base alle circostanze esistenti al momento del suo esercizio (Cass. 20 maggio 2015, n. 10268).
E il rafting? La risposta data dalla Corte di Cassazione, soprattutto della Sezione Penale, è nel senso che il rafting debba essere considerato un’attività sportiva con caratteristiche intrinseche di pericolosità dove gli organizzatori si trovano in una posizione di protezione nei confronti dei soggetti che a loro si rivolgono per praticare tale attività sportiva (cfr. Cass. pen., 22 ottobre 2004, n. 3446) e che, per andare esenti da responsabilità, devono adottare tutte le cautele necessarie per contenere, e non aggravare il rischio, e per impedire che siano superati i limiti di rischio connaturati alla normale pratica sportiva (Cass. pen n. 16998/2006, Cass. pen n. 22037 del 2015).
I rischi tipici sono quelli del ribaltamento dell’imbarcazione e relativo annegamento, l’impatto con rocce e altri ostacoli, le perturbazioni, le imprevedibilità del comportamento dei fiumi percorsi e comunque, ed ovviamente, tutti quelli conseguenti ad una disciplina svolta in un ambiente non totalmente controllato dall’uomo.
La responsabilità dell’esercente tra la disciplina ex artt. 2050 c.c. e l’art. 1218 c.c.
Il Tribunale di Bolzano, nella pronuncia citata in apertura, dopo aver premesso i principi generali ora rammentati, ha richiamato la disciplina dell’art. 2050 c.c. – secondo cui, come è noto, “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno” -, rammentando che tale norma individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva che addossa all’esercente di un’attività rischiosa, dalla quale generalmente trae profitto, l’obbligo di provare di aver ridotto al minimo, o comunque tentato di evitare il rischio concreto, altrimenti dovendo sopportare i danni eventualmente occorsi a terzi.
Inoltre, trattandosi di un rapporto contrattuale tra l’attrice ed il convenuto, il Tribunale ha richiamato anche la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. in virtù della quale, una volta che il danneggiato ha allegato e provato il contratto, il contraente asseritamente inadempiente deve provare di aver adempiuto correttamente alla propria prestazione e, quindi, di non essere responsabile del danno subito dalla controparte.
Nel caso del rafting, l’organizzazione di gite rappresenta un contratto atipico che può essere assimilato alla prestazione d’opera: l'organizzatore si obbliga a svolgere un'attività sportiva rischiosa con i diversi partecipanti, mettendo a disposizione la propria esperienza e professionalità, nonché i propri mezzi, per ridurre al minimo possibile i rischi intrinsecamente connessi allo svolgimento di tale disciplina.
Il rischio inerente all’attività
Il Tribunale di Bolzano ha altresì precisato che l’eliminazione totale dei rischi non può essere oggetto dell’obbligazione contrattuale; e questo, secondo il Giudice, non solo perché sarebbe obbiettivamente impossibile, ma anche perché sarebbe incompatibile con la stessa essenza della disciplina che è tanto attrattiva per i partecipanti proprio in quanto consiste nell'affrontare un determinato grado di rischio, derivante per lo più dall'imprevedibilità della natura non antropizzata che caratterizza i fiumi percorsi. Secondo il Giudice, infatti, chi decide di partecipare ad un’uscita in rafting accetta il rischio inerente a tale attività, con la conseguenza che i danni eventualmente subiti che derivano da inevitabili errori del gesto sportivo proprio devono essere sopportati dagli stessi sportivi.
A questo riguardo, si rammenta che la Corte di Cassazione ha affermato che “deve ritenersi che l'organizzatore di una attività sportiva che abbia caratteristiche intrinseche di pericolosità o che inserisca in una attività sportiva di per sé non pericolosa passaggi di particolare difficoltà, in cui il rischio di procurarsi danni alla persona per i partecipanti dotati di capacità sportive medie sia più elevato della media, debba, nell'ambito della diligenza dovuta per l'esecuzione della propria obbligazione contrattuale, illustrare la difficoltà dell'attività o del relativo passaggio e predisporre cautele adeguate a che quel particolare passaggio, se affrontato, sia nondimeno svolto da tutti i partecipanti in condizioni di sicurezza” (Cass. 28 luglio 2017, n. 18903).
Dunque, come ha precisato il Tribunale nella sentenza citata, viene in rilievo (solo) un obbligo informativo e cautelativo. Ne consegue che il preteso soggetto danneggiante potrà, e dovrà, provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno; nel caso del rafting, dovrà dimostrare di aver preparato adeguatamente i partecipanti ai rischi ai quali sarebbero andati incontro e di aver fornito loro tutti gli strumenti, tecnici e teorici, per ridurre, nella maggiore misura possibile, il rischio della verificazione di eventi dannosi.
La prova fornita dall’organizzatore
È evidente, allora, la decisività della prova che deve fornire il soggetto che esercita l’attività.
Nel caso deciso dal Tribunale di Bolzano, la richiesta risarcitoria rigettata prendeva le mosse dalla lesione di un braccio che l’attrice aveva lamentato di aver subito a causa di un sinistro avvenuto durante lo svolgimento di un’escursione in rafting. In particolare, l’attrice aveva allegato che, al termine della discesa lungo il fiume, il gommone si era spostato in una riva, diversa da quella in cui normalmente si fermava, ed i partecipanti erano stati invitati a raggiungere a piedi il luogo di raccolta. A causa dei grossi massi scivolosi, l’attrice era caduta procurandosi la lesione.
Orbene, in questo caso, il Giudice ha reputato che la Società convenuta avesse fornito sufficiente prova di aver adempiuto alla propria obbligazione e di aver fatto quanto possibile al fine di evitare il danno.
A questo fine, sono stati considerati rilevanti gli elementi emersi dall’istruttoria testimoniale, in particolare che:
- il percorso era stato scelto dai partecipanti proprio perché più impegnativo e sportivo;
- gli organizzatori avevano svolto un corso di preparazione teorica nel quale avevano evidenziato i rischi ai quali si poteva andare incontro;
- gli stessi avevano spiegato ai partecipanti quale dovesse essere il comportamento da tenere nel momento in cui si usciva dal gommone;
- era stato fornito un equipaggiamento adeguato alla prestazione.
Al contrario, la circostanza secondo la quale il raft avesse accostato la riva in un punto diverso rispetto a quello usuale è stata reputata irrilevante poiché la natura stessa dell’attività comporta che, a seconda della corrente, del carico del fiume, e delle contingenti condizioni naturali, il punto di attracco possa variare.
Nessun risarcimento del danno, dunque, per il soggetto che ha assunto il rischio insito nella disciplina sportiva, rischio che, se si decide di percorrere la rapida di un fiume, deve – inevitabilmente - essere accettato.