È ben noto che, ai sensi dell’art. 2104 c.c., 2° co, il lavoratore deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dal datore. Ma se l’ordine è contra legem? Il rifiuto è legittimo.
Il Tribunale di Roma (sent. n. 10773 del 28 ottobre 2024), ha risolto in questo modo la questione.
In quel caso, il lavoratore, con mansioni di autista, aveva impugnato la sanzione disciplinare che gli era stata irrogata per essersi rifiutato di proseguire il proprio turno, con conseguente interruzione del servizio pubblico di trasporto locale, asserendo la rischiosità e la pericolosità della manovra di inversione.
Come si legge nella sentenza, la condotta posta alla base del provvedimento disciplinare non era contestata. Quello che, invece, ed appunto, aveva negato il lavoratore era la legittimità del proprio rifiuto in quanto, a suo dire, la manovra richiesta dalla datrice si sarebbe posta in palese violazione delle norme del Codice della Strada.
Alla luce della documentazione fotografica prodotta dalle parti che descriveva la situazione dei luoghi, il Giudice ha ritenuto che non vi fosse dubbio che la condotta di guida richiesta dal datore di lavoro si ponesse in violazione del Codice della Strada.
Di conseguenza, secondo il Tribunale, il rifiuto del lavoratore, come si è anticipato, sarebbe stato legittimo.
La pronuncia si pone in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza di Cassazione in pronunce richiamate anche dal medesimo Tribunale.
In particolare, Cass. 19 luglio 2019, n.19579, aveva affermato che “in tema di licenziamento disciplinare, qualora il comportamento addebitato al lavoratore, consistente nel rifiuto di rendere la prestazione secondo determinate modalità, sia giustificato dall'accertata illegittimità dell'ordine datoriale e dia luogo pertanto a una legittima eccezione d'inadempimento, il fatto contestato deve ritenersi insussistente”.
Cass. 28 settembre 2018, n. 23600 aveva concluso che “l’esecuzione di un ordine illegittimo impartito dal superiore gerarchico non basta di per sé ad impedire la configurabilità di una giusta causa di recesso, non trovando applicazione nel rapporto di lavoro privato l'art. 51 c.p. in assenza di un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge”.
Alcune pronunce hanno riconosciuto una vera e propria facoltà del lavoratore di astenersi dal compiere attività pericolose anche a tutela della propria salute o incolumità. In particolare, in varie occasioni, la Cassazione ha statuito che “nel caso in cui il datore di lavoro non adotti, a norma dell'art. 2087 cod. civ., tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e le condizioni di salute dei prestatori di lavoro, il lavoratore ha - in linea di principio - la facoltà di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute, essendo coinvolto un diritto fondamentale protetto dall’art. 32 Cost.” (Cass., 10 agosto 2012, n. 14375).
Nel caso affrontato dal Tribunale di Roma, il Giudice, come si è anticipato, ha ritenuto che il rifiuto del lavoratore fosse legittimo e che, dunque, non potesse essere sanzionato disciplinarmente.