L’obbligo di tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori mediante l’adozione di idonee e necessarie misure ricade, incontestabilmente, sul datore di lavoro.
L’art. 2087 c.c., come è noto, riveste il carattere di norma di chiusura del sistema protettivo (cfr., tra le altre e le più recenti, Cass. n. 15112/2020) ed impone all’imprenditore di adottare tutte le misure che, secondo l’esperienza e la tecnica, siano in grado di tutelare e garantire l’integrità psicofisica del lavoratore.
È pacifico che il datore di lavoro debba essere considerato responsabile dell’infortunio del lavoratore, sia se ometta di adottare le idonee misure protettive, sia se non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente (Cass. n. 5695 del 2015; Cass. n. 27127 del 2013; Cass. n. 9661 del 2012; Cass. n. 5493 del 2006).
Tuttavia, è pur vero che anche lo stesso Testo Unico della Sicurezza sul lavoro pone pure a carico dei lavoratori una serie di obblighi, prevedendo espressamente che “ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
Cosa accade, allora, nel caso di infortunio nel quale la violazione del datore incontra l’imprudenza del lavoratore? In particolare, quando la condotta del lavoratore determina la riduzione del risarcimento del danno patito?
Nell’ambito di una recentissima sentenza (n. 15238 del 1° giugno 2021), la Corte di Cassazione ha affrontato tale questione richiamando il proprio, e ormai consolidato, orientamento.
Secondo la Corte, la condotta incauta del lavoratore non comporta un concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qualvolta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell’evento dannoso. E questo, secondo l’orientamento condiviso dalla Corte, avviene quando “l’infortunio si sia realizzato per l’osservanza di specifici ordini o disposizioni datoriali che impongano colpevolmente al lavoratore di affrontare il rischio, quando l’infortunio scaturisca dall’integrale impostazione della lavorazione su disposizioni illegali e gravemente contrarie ad ogni regola di prudenza o, infine, quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all’adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire il verificarsi dell’evento nonostante l’imprudenza del lavoratore che, in questa ipotesi, degrada a mera occasione dell’infortunio ed è, pertanto, giuridicamente irrilevante”.
Nel caso affrontato dalla Corte, l’infortunio era avvenuto quando il lavoratore era entrato imprudentemente in un settore in cui, a seguito di un’ispezione, era stata vietata ogni attività, per effettuare un controllo su una lavorazione in corso, voluta, nonostante il divieto, dal direttore tecnico dell’azienda.
In altre parole, dalla ricostruzione dei fatti, era emerso che la condotta del lavoratore infortunato si collocava all’interno di un contesto di lavoro nel quale era prefigurata, comunque, una continuazione dell’attività, nonostante il divieto posto, poco prima, dalla committente.
Si tratta di una ricostruzione che, come ha condivisibilmente precisato la Suprema Corte, non consentiva di sussumere tout court la condotta dell’infortunato nell’ambito di un fattore causale concorrente nella determinazione del medesimo infortunio.
La Corte d’Appello aveva invece riconosciuto una responsabilità concorrente al 40% del lavoratore infortunato, riducendo conseguentemente il risarcimento dovutogli. Sennonché, secondo la Corte, la sentenza di appello si discosterebbe dai principi condivisi dall’orientamento sopra rammentato. In particolare, l’affermazione di una percentuale di responsabilità in capo al lavoratore per il verificarsi dell’infortunio non sarebbe coerente con l’accertamento fattuale posto alla base.
La sentenza impugnata è stata allora cassata con rinvio ad altro giudice per la complessiva rivalutazione della vicenda alla luce dei suddetti principi.
Dunque, il nesso di causalità tra la condotta del datore e l’evento infortunistico non viene interrotto dalla eventuale azione imprudente del lavoratore. Serve di più.