In materia di pagamento di un assegno di traenza non trasferibile in favore di soggetto non legittimato, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità colposa della banca negoziatrice nell’identificazione del presentatore del titolo, la diligenza professionale richiesta deve essere individuata ai sensi dell'art. 1176 co 2 c.c.
Questo è il principio ribadito dalla Corte di Cassazione in una recente pronuncia (ordinanza n. 20477 del 24 giugno 2022).
In tale occasione, la Suprema Corte ha rammentato che l’art. 1176, 2° co. c.c. citato è una norma elastica che, in quanto tale, deve essere riempita di contenuto in considerazione dei principi dell’ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità, e dagli standards valutativi esistenti nella realtà sociale che, concorrendo con detti principi, compongono il diritto vivente.
In tali parametri – secondo la Cassazione - non rientra la raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001, indirizzata agli associati, che segnala l’opportunità per la banca negoziatrice dell’assegno di traenza di richiedere due documenti d’identità muniti di fotografia al presentatore del titolo, perché a tale prescrizione non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva.
Inoltre, tale regola prudenziale di condotta non si rinviene negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall’ordinamento positivo, posto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale.
Nel caso affrontato nella pronuncia citata, secondo la Suprema Corte, il giudice di merito si era discostato dalla giurisprudenza di legittimità relativa proprio al parametro di diligenza che il banchiere deve osservare in materia.
In particolare, era stato addebitato alla Società che la copia della patente impiegata dal sedicente beneficiario dell’assegno ai fini della sua riscossione fosse assolutamente non intelligibile perché completamente grigia. Inoltre, secondo la sentenza impugnata, il fatto che tale soggetto avesse provveduto ad aprire un libretto di risparmio postale solo per poter provvedere al versamento dell’assegno avrebbe dovuto indurre l’impiegato di sportello ad insospettirsi, e, di conseguenza, a verificare che lo stesso corrispondesse ad un soggetto effettivamente esistente.
La sentenza è stata cassata e la causa rinviata al giudice di merito.