L’attore, deducendo di essere stato investito da un autoveicolo poi risultato rubato ed il cui conducente non è stato identificato, conviene in giudizio la Società designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada al fine di chiedere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza del sinistro stradale.
La domanda, rigettata in primo grado, viene accolta dalla Corte d’Appello che, in relazione alla quantificazione, applicando le Tabelle di Milano, liquida il danno aumentando l’importo riconosciuto per invalidità permanente del 25 % , a titolo di ‘personalizzazione’, sul presupposto della “indubbia impossibilità (per la vittima) di cimentarsi in attività fisiche”, e riconosce altresì un’ulteriore somma a titolo di danno morale, ritenendo che le sofferenze di natura interiore e non relazionale fossero meritevoli “di un compenso aggiuntivo” al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi.
La sentenza d’appello viene impugnata per cassazione dalla Società.
Questa è la vicenda dalla quale ha preso le mosse la ormai nota pronuncia della Corte di Cassazione del 10 novembre 2020, n. 25164.Sembra il ‘tipico’ caso di risarcimento danni alla persona, eppure, il medesimo ha fornito alla Corte l’occasione per evidenziare alcuni profili opinabili delle Tabelle milanesi.
Le questioni affrontate
Nella pronuncia ora citata, è la stessa Corte a premettere che i motivi di ricorso proposti dalla Società avevano posto tre delicate questioni di diritto, di rilievo nomofilattico:
La personalizzazione del danno
Per quanto riguarda la prima questione, la pronuncia sembra porsi in continuità con la giurisprudenza più recente.
Viene, infatti, ribadito che la personalizzazione del risarcimento del danno alla salute consiste in una variazione in aumento (o, in astratta ipotesi, in diminuzione) del valore standard del risarcimento, per tenere conto delle specificità del caso concreto. Queste devono consistere “in circostanze eccezionali e specifiche”, con la conseguenza che “non può essere accordata alcuna variazione in aumento del risarcimento standard previsto dalle "tabelle" per tenere conto di pregiudizi che qualunque vittima che abbia patito le medesime lesioni deve sopportare, secondo l'id quod plerumque accidit, trattandosi di conseguenze già considerate nella liquidazione tabellare del danno” (cfr. Cass. n. 7513/2018, Cass. n. 10912/2018, Cass. n. 23469/2018, Cass. n. 27482/2018 e, da ultimo, Cass. 28988/2019).
Nel casodi specie – secondo la Cassazione - la Corte territoriale aveva accordato la personalizzazione affermando che “non si rinvengono in atti elementi utili che consentano di altrimenti valutare in termini economici la perdita di capacità di lavoro, sia generica che specifica” e che la vittima si trova nella “indubbia impossibilità di cimentarsi in attività fisiche”, e ritenendo di dover considerare tale circostanza quale elemento per la personalizzazione nell’ambito del danno biologico.
Orbene, così facendo, secondo la Corte, il Collegio di merito sarebbe incorso in un duplice errore di diritto: da un lato, non avrebbe considerato che la personalizzazione del danno - come si è già poc’anzi rammentato - deve trovare giustificazione nel positivo accertamento di specifiche conseguenze eccezionali, ulteriori rispetto a quelle ordinariamente conseguenti alla menomazione, e che non potrebbe costituire lo strumento per ovviare alla carenza di prova in punto di danno alla capacità lavorativa (tanto più che la lesione alla capacità di lavoro generica è ricompresa nell’ambito delle conseguenze ordinarie del danno alla salute e quella relativa alla capacità lavorativa specifica, da valutarsi nell’ambito del danno patrimoniale, esula dalla sfera del danno biologico). Dall’altro, la Corte avrebbe liquidato due volte il pregiudizio relativo all’impossibilità di compiere determinati atti fisici, dapprima a titolo di danno alla salute e, poi, a titolo, appunto, di personalizzazione, seppure in difetto, come detto, dell’indicazione di circostanze specifiche ed eccezionali.
Il danno morale
La Corte ribadisce, poi, il principio, più volte condiviso nelle precedenti pronunce, dell’autonomia del danno morale rispetto al danno biologico.
Si rammenta che, con tale espressione, si fa riferimento ad un pregiudizio di natura del tutto interiore e non relazionale e perciò meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi (Cass. n. 910/2018, Cass. n. 7513/2018, Cass. n. 28989/2019). Si tratta, infatti, di un danno che:
- non è suscettibile di accertamento medico – legale;
- si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore che prescinde dalle vicende dinamico – relazionali della vita del danneggiato.
Le indicazioni ‘operative’ fornite dalla Suprema Corte
Su tali premesse, ecco, allora, che la Corte fornisce le linee – guida che il giudice di merito dovrà seguire nel procedere alla liquidazione del danno alla salute:
La prova del danno morale
Come può, allora, il danneggiato dimostrare il danno morale?
A questo riguardo, la Corte ha ribadito che, venendo in rilievo il pregiudizio ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo e può costituire anche l'unica fonte di convincimento del giudice.
Resta comunque fermo l’onere del danneggiato di allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata dei fatti noti, al fine di consentire di risalire al fatto ignoto.
Oggetto di tale onere di allegazione sono i fatti primari, ovvero i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno; con specifico riguardo alle conseguenze pregiudizievoli causalmente riconducibili alla condotta, “l’attività assertoria deve consistere nella compiuta descrizione di tutte le sofferenze di cui si pretende la riparazione”.
Secondo la Corte, ad un così puntuale onere di allegazione non corrisponde un onere probatorio parimenti ampio, alla luce, anche, e soprattutto, della dimensione eminentemente soggettiva del danno morale.
Da qui la possibilità di provare il danno morale anche mediante massime di esperienza che consentirebbero di evitare “che la parte si veda costretta, nell'impossibilità di provare il pregiudizio dell'essere, ovvero della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d'animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito”.
Del resto, lo stesso sistema delle tabelle per la liquidazione del danno alla salute si basa su un ragionamento presuntivo fondato sulla massima di esperienza per la quale ad un certo tipo di lesione corrispondono determinate menomazioni dinamico-relazionali, per così dire, ordinarie.
I primi ‘effetti’ della pronuncia
Come è noto, nel nostro ordinamento – il solo in Europa – coesistono più tabelle di liquidazione del danno alla persona, con la conseguenza che i risarcimenti concessi dai vari giudici possono essere diversi a seconda delle tabelle applicate.
Per oltre un decennio, quelle di Milano hanno costituito lo strumento per mezzo del quale si è tentato di dare certezza al risarcimento del danno; si tratta, infatti, delle tabelle più diffuse sul territorio nazionale ed era quindi prevedibile che la sentenza della Cassazione qui esaminata catturasse sin da subito l’attenzione di dottrina e giurisprudenza.
A questo proposito, si segnala la sentenza del Tribunale di Torino n. 4423 del 10 dicembre 2020 nell’ambito della quale il Tribunale, seguendo espressamente l’insegnamento della Corte di Cassazione, ha ritenuto che “non può essere riconosciuta alcuna personalizzazione, mancando la prova di “specifiche conseguenze eccezionali, ulteriori rispetto a quelle ordinariamente conseguenti alla menomazione, e tali da incidere in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati ed obiettivamente accertati (v. art. 138 CdA)”.
Per completezza, si fa presente che anche la medesima Corte di Cassazione ha avuto modo di richiamare la pronuncia n. 25164/2020, ribadendo che “questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (…) da ultimo Cass. n. 25164 del 2020)” (Cass. 10 febbraio 2021, n. 3310; in precedenza anche Cass. 13 gennaio 2021, n. 460).
Quel che è certo che il ribollire di problemi in materia di danno morale non pare essere finito.
Intanto, in date 8 - 10 marzo 2021, l’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano ha pubblicato la versione aggiornata delle Tabelle con i relativi Criteri applicativi che espressamente tengono conto, oltre che degli indici ISTAT, anche della “rivisitazione resasi necessaria a seguito dei recenti orientamenti della Cassazione”.
Ecco, allora, che, per mezzo di quello che viene chiamato un “ritocco della veste grafica della Tabella”, si è cercato di contrastare la pratica, emersa nella prassi, ma non in linea con l’andamento affermatosi in sede di legittimità, di liquidare il danno alla salute attenendosi alla somma indicata nella tabella senza esplicitare gli “specifici pregiudizi dinamico – relazionali e sofferenziali accertati e liquidati”.
L’Osservatorio ribadisce, infatti, che l’applicazione degli importi indicati nella Tabella esprime esercizio del potere di liquidazione equitativa del giudice e, pertanto, attiene alla fase del quantum debeatur, atteso che la medesima applicazione non esonera affatto il giudice dall’obbligo di motivazione in ordine al preventivo - e necessario – accertamento dell’an.
Viene poi previsto un nuovo modello di quesito medico legale, nell’ambito del quale si chiederà al consulente di offrire al Giudice tutti quegli elementi utili per accertare non solo l’entità del danno biologico/dinamico – relazionale temporaneo e permanente, ma anche il grado di sofferenza c.d. menomazione-correlata,cioè la sofferenza soggettiva interiore correlata alla lesione dell’integrità psicofisica. Restano escluse dalla pronuncia del consulente tecnico le componenti della sofferenza interiore che “non hanno base organica”, quali il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione.
Altra novità è, poi, l’elaborazione di “Criteri orientativi per la liquidazione del danno da mancato/carente consenso in ambito sanitario”, all’esito dell’analisi dei dati raccolti dall’Osservatorio da oltre un centinaio di sentenza.
Del resto, la liquidazione di tale danno non può livellarsi su quella del danno alla salute. Si rammenta, infatti, a questo proposito, che “la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute (…); nonché un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione, rinvenibile quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subìto un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute” (cfr., in questo senso, Cass., 11 novembre 2019, n. 28985). Si tratta, dunque, di un diritto autonomo e distinto rispetto al diritto alla salute (Cass. del 23 marzo 2021, n. 8163).