La liquidazione del danno da lucida agonia

Il danno terminale o da lucida agonia può essere dimostrato mediante il ricorso alla prova presuntiva?


La – chiara - risposta è contenuta in una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione che fornisce utili indicazioni circa la liquidazione del danno terminale o da lucida agonia.


Il giudice di merito – si legge nell’ordinanza n. 19506 del 16 luglio 2024 - può far ricorso alla prova presuntiva ex art. 2729 c.c. per fondare il proprio convincimento in punto di prova della sofferenza delle lesioni, ma sulle sensazioni interiori, sugli stati d'animo, sulla consapevolezza di dover morire non può adottarsi legittimamente alcun ragionamento presuntivo in difetto di riscontro di documentazione medica e/o di testi che, nella vicenda oggetto di controversia, abbiano sentito esternazioni che rendano verificabili dall’esterno quel genere di sentimenti e percezioni della vittima.


Secondo la Cassazione, una volta ammessa la distinzione tra la sofferenza avente base organica (il c.d. ‘dolore nocicettivo’) e la sofferenza non avente base organica (il c.d. ‘dolore psicosociale’), non vi è alcuna implicazione reciproca tra l’una e l’altra. Ne consegue che la decisione di merito che, dinanzi ad un caso di sopravvivenza quodam tempore, incrementi il risarcimento del danno biologico temporaneo per tenere conto dell'intensità e della gravità delle lesioni, ma non ravvisi un pregiudizio non patrimoniale da lucida agonia può dirsi corretta.


In via generale, la Cassazione ha evidenziato che:
a) nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa, contenuta nell’art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, non essendo rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da differenti Uffici giudiziali;
b) il riferimento al criterio di liquidazione, predisposto dal Tribunale di Milano ed ampiamente diffuso sul territorio nazionale, garantisce tale uniformità di trattamento, in quanto la medesima Corte, in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce ad esso la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono;
c) il valore delle Tabelle Milanesi va inteso non già nel senso che dette tabelle ed i loro adeguamenti siano divenute esse stesse in via diretta una normativa di diritto, bensì nel senso che esse forniscono gli elementi per concretare il concetto elastico previsto nella norma dell’art. 1226 c.c.


In un interessante passaggio, la Corte ha poi sottolineato che, poiché le Tabelle rilevano come parametri per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona e, dunque, per l’individuazione di un elemento di una norma giuridica, qual è quella dell’art. 1226 c.c., il motivo di censura da sottoporre al giudice di legittimità può (e deve) essere dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 3, come aveva fatto il ricorrente nel caso affrontato.
Su tali premesse, la Cassazione ha aggiunto che, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante l’applicazione del criterio tabellare:
- il danneggiato ha l’onere di chiedere che la liquidazione avvenga in base alle tabelle, ma non anche quello di produrle in giudizio, in quanto esse, pur non costituendo fonte del diritto, integrano il diritto vivente nella determinazione del danno non patrimoniale conforme a diritto;
-in assenza di diverse disposizioni di legge, il danno alla persona deve essere liquidato sulla base delle regole vigenti al momento della liquidazione, e non già al momento del fatto illecito.


Nel caso di specie, invece, la Corte territoriale, nel liquidare il danno terminale, aveva applicato le Tabelle di Milano del 2014; invece - a dire della Cassazione - avrebbe dovuto applicare quelle pubblicate nel 2018, anteriori di oltre due anni rispetto alla data di deliberazione della sentenza impugnata.

Altri articoli di 
Maria Santina Panarella
linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram