La risposta fornita dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, può dirsi ormai univoca. La mancata fruizione del riposo giornaliero e settimanale, in assenza di previsioni legittimanti la scelta datoriale, è fonte di danno non patrimoniale che può, e deve, essere presunto.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha da tempo evidenziato l’importanza, ed il carattere irrinunciabile, del diritto al riposo settimanale, il quale svolge la funzione di proteggere il lavoratore dall’usura psicofisica in relazione “non solo alla prestazione di lavoro già eseguita ma anche a quella ancora da rendere, trattandosi di uno strumento di ricostituzione delle energie via via impegnate in essa” (Cass. 27 luglio 2006, n. 17179).
Già una risalente giurisprudenza si era interrogata sugli effetti della ‘definitiva perdita del riposo’ (Cass. 12 marzo 1996, n. 2004). Tale fattispecie si intende realizzata in ogni ipotesi di mancata concessione del riposo che, “in assenza di previsioni legittimanti” (Cass. 25 ottobre 2013, n. 24180), determina la “definitiva perdita dello stesso (in quanto dal lavoratore non recuperato – ancorché oltre la settimana – entro un tempo utile al recupero delle energie psicofisiche” (Cass. 11 luglio 1996, n. 6327), e che è distinta dal caso del semplice slittamento del riposo in giorno non consecutivo al sesto e non domenicale (cfr. già Cass. 16 novembre 1996, n. 10050).
Orbene, secondo la giurisprudenza più recente, la rilevanza costituzionale dell’interesse al riposo, settimanale o giornaliero, è in grado di giustificare non soltanto la risarcibilità del danno non patrimoniale, ma anche la giustificazione della presunzione di esistenza nell’an di tale danno.
Tale presunzione deriva, dunque, dal fatto che l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento del datore ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost.,sicché la sua lesione espone direttamente il datore al risarcimento del danno (cfr. in questo senso, Cass. 15 luglio 2019, n. 18884, nonché Cass., SS.UU. n. 142 del 2013; n. 24180 del 2013; n. 16665 del 2015; n. 24563 del 2016).
In questa prospettiva, è stato affermato che la previsione di un compenso maggiorato per l’attività prestata in giorno festivo non incide, neppure indirettamente, sulla disciplina della durata complessiva settimanale dell’attività lavorativa e sul diritto del lavoratore alla fruizione del necessario riposo, che dovrà essere garantito dalla azienda, a prescindere da una richiesta, trattandosi di diritto indisponibile, riconosciuto dalla Costituzione oltre che dall’art. 5 della direttiva 2003/88/CE.
Tali principi sono stati fatti propri anche dalla giurisprudenza di merito. Tra le altre pronunce, si segnala la recente sentenza del Tribunale di Milano dell’8 agosto 2022 che, premettendo la mancata fruizione da parte del lavoratore di ferie o riposi, durante tutto il rapporto di lavoro, ed a fronte di un orario di tredici ore giornaliere, ha espressamente dichiarato di condividere l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, giungendo così ad accogliere la domanda risarcitoria formulata dal lavoratore.
Per quanto riguarda la quantificazione, tale risarcimento, in mancanza di criteri legali o di principi di razionalità che ne impongano la liquidazione in una somma pari ad un’altra retribuzione giornaliera, deve essere liquidato in concreto dal giudice del merito. La relativa valutazione deve tenere conto della gravosità delle prestazioni lavorative, non essendo il danno per il sacrificio del riposo settimanale determinabile in astratto (in questo senso, Cass. n. 14710/2015 cit.).
Si segnala che l’orientamento consolidatosi in relazione alla fattispecie della definitiva perdita del riposo settimanale ha condotto la Corte di Cassazione a riconoscere un danno presuntivo, da stress, o usura psicofisica, anche in relazione alla diversa fattispecie del superamento dei limiti del lavoro straordinario. È stato, infatti, elaborato il principio generale secondo il quale la prestazione lavorativa eccedente, che supera di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, e che si protrae per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura – psicofisica (cfr. Cass. 29 settembre 2021, n. 26450, richiamata su questo sito nell’approfondimento Troppe ore di lavoro straordinario? Al lavoratore spetta il risarcimento del danno).