La retribuzione percepita durante il periodo feriale non può essere inferiore a quella ordinaria.
Una recente ordinanza della Cassazione, di particolare interesse anche per i richiami alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha chiarito quali principi devono essere seguiti nel quantificare la retribuzione spettante al lavoratore in ferie (ordinanza, 27 settembre 2024, n. 25850).
La Cassazione ha premesso che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dall’interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.
Quest’ultima, da quasi un ventennio, ha precisato che con l’espressione “ferie annuali retribuite” contenuta nell’art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88 del 2003, si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, “deve essere mantenuta” la retribuzione, con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria. Questo perché ciò che si è inteso assicurare è una situazione equiparabile a quella in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall'esercitare il diritto alle ferie, cosa che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'Unione.
Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie – secondo la Corte di Giustizia - è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un'efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso C.G.U.E. del 13 gennaio 2022 nella causa C-514/20).
In questo contesto, la Cassazione - nella recente pronuncia citata - ha rammentato che le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente, sull'ordinamento nazionale, sicché non può prescindersi dall'interpretazione data dalla Corte Europa che, quale interprete qualificata del diritto dell'unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme. Difatti, nell'applicare il diritto interno, il giudice nazionale è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell'Unione nell'intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina Eurounitaria conformandosi all’art. 288, comma 3, TFUE.
La Suprema Corte ha così evidenziato di essersi già fatta interprete dei principi sopra riassunti, ribadendo, dal canto suo, che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. 17 maggio 2019 n. 13425).
Anche con riguardo al compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, pur nella diversa prospettiva cui l'indennità sostitutiva assolve, la Cassazione aveva affermato già in precedenza che la retribuzione da utilizzare come parametro debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass, 30 novembre 2021 n. 37589).
Nello specifico caso affrontato, secondo la Suprema Corte, il giudice di merito si era attenuto a tali principi ed aveva proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse, senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita.
La Cassazione ha poi reputato plausibile, ed in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia, l’interpretazione condivisa dalla Corte territoriale circa le norme collettive aziendali che regolavano gli istituti di cui era stata chiesta l'inclusione nella retribuzione feriale.
Il ricorso proposto dal datore di lavoro, che aveva criticato tale interpretazione, è stato rigettato.