La sentenza è nulla se il Giudice decide prima della scadenza dei termini per conclusionali e repliche. Questo è il principio affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. Sez. Un. 25 novembre 2021, n. 36596) che ha posto fine al dibattito che si era sviluppato sul punto.
In relazione a tale questione, infatti, si era radicato un contrasto tra due orientamenti della giurisprudenza di legittimità
Secondo un primo, e maggioritario, orientamento (tra le tante altre, si vedano Cass. n. 26883/19; Cass. n. 246367/16, Cass. n. 20180/15), la sentenza è nulla se il giudice ha deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ovvero senza attendere la loro scadenza.
In questo caso, secondo tale orientamento, verrebbe impedito ai difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa. In particolare, si violerebbe il principio del contraddittorio, il quale andrebbe riferito non solo all’atto introduttivo del giudizio, ma a tutto lo svolgimento del processo, nel rispetto degli artt. 24 co. 2 e art. 111 co. 2 Cost.
Secondo il contrapposto, e minoritario, orientamento (cfr. Cass. n. 24969/18, Cass. n. 7413/21), la sentenza è nulla per mancato rispetto dei termini dell’art. 190 c.p.c. solo nel caso in cui la parte alleghi, e provi, uno specifico pregiudizio conseguente, il cui fondamento è da individuare in una concreta lesione delle possibilità di ottenere, nel merito, una decisione diversa da quella infine adottata dall’organo deliberante.
In altre parole, secondo questa tesi, la pronuncia della sentenza intervenuta prima della scadenza dei termini assegnati alle parti per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, così come la mancata assegnazione di suddetti termini, non costituisce di per sé, causa di nullità, essendo indispensabile, perché possa dirsi violato il principio del contraddittorio, che si sia determinata in concreto una lesione del diritto di difesa della parte.
Prima di fornire la soluzione al contrasto giurisprudenziale, la Corte ha ritenuto necessario svolgere una puntualizzazione in relazione ai c.d. vizi formali nella prospettiva della tutela del diritto di difesa.
In particolare, la Corte ha sottolineato che la deduzione di tali vizi non serve a tutelare l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, quanto, piuttosto, ad eliminare i pregiudizi conseguenti all’esercizio delle facoltà in cui si esprime il diritto di difesa. Nel solco di precedenti pronunce, la Corte ha così sottolineato che “l’esattezza del rito non è mai suscettibile di essere considerata come fine a sé stessa, donde può essere invocata solo per riparare a una precisa e apprezzabile lesione che, inconseguenza del rito seguito, si sia determinata (per la parte) ‘sul piano pratico processuale’ (così Cass. Sez. U. n. 3758/09)”.
Tuttavia, secondo le Sezioni Unite, tale conclusione, per quanto condivisibile, non può essere enfatizzata fino al punto da essere estesa al diverso caso della dedotta lesione dei diritti processuali essenziali, come il diritto al contraddittorio e alla difesa.
Ne discende che, ai fini della nullità della sentenza per lesione di un tale diritto (appunto, al contraddittorio o alla difesa), la parte nel cui interesse il termine a difesa è stabilito non deve allegare, né, tanto meno, provare alcunché, come, invece, vorrebbe l’orientamento minoritario sopra citato.
A dimostrazione di questa conclusione, la Corte ha richiamato l’art. 354 c.p.c. nella parte in cui prevede la rimessione della causa al primo giudice in caso di nullità della notificazione della citazione introduttiva del giudizio. Il contumace involontario, in base all’art. 354 c.p.c., ottiene la dichiarazione di nullità della sentenza impugnata e la rimessione della causa al primo giudice dando semplicemente prova della nullità della notifica della citazione, e, dunque, anche in mancanza di allegazioni circa le difese che la medesima parte avrebbe potuto far valere dinanzi a quel giudice.
Premesso che, secondo le Sezioni Unite, è pacifico che la violazione del diritto della parte al rispetto dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. determina la nullità della sentenza, oggetto della discussione sarebbe solo se tale nullità scatti “automaticamente” oppure se intervenga a certe condizioni, deduttive o probatorie.
Sebbene non vi sia una esplicita sanzione per “inosservanza di forme”, le norme che vengono in rilievo nell’ambito della questione in esame devono essere considerate come rivolte “a una tutela sancita da nullità” in quanto costituiscono espressione di un principio
costituzionale.
Da un lato, va richiamato l’art. 111, co. 2, il qualeconsidera e tutela il diritto al contraddittorio per tutto l’arco del processo (salve eventuali eccezioni dettate dalla garanzia associata al diritto di azione); dall’altro, vi è l’art. 24 Cost. che garantisce il diritto di difesa nel quale è insito lo stesso diritto al contraddittorio.
Accanto al principio del contraddittorio, l’art. 111 co. 2 Cost. ha recepito anche il principio di ragionevole durata, e tramite questo, il principio di economia processuale.
È particolarmente interessante il passaggio della sentenza in commento nel quale la Corte si è soffermata sul principio del giusto processo, precisando come questo, anche in base all’art. 6 della Cedu, non si esplicita nella sola sua durata ragionevole (cfr., in particolare Cass. Sez. U. n. 5700-14 e Cass. Sez. U. n. 9558-14).
Come si legge nella pronuncia, tale principio è certamente divenuto punto costante di riferimento nell’esegesi delle norme processuali, conducendo a privilegiare, sempre nel doveroso rispetto del dato letterale, opzioni contrarie ad ogni inutile appesantimento del giudizio.
In ogni caso, in nome del suddetto principio, non si possono eludere distinte norme processuali improntate alla realizzazione degli altri valori in cui pure si sostanzia il processo equo: e tali sono, per l’appunto, il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in definitiva, il diritto ad un giudizio nel quale le parti siano poste in condizioni di interloquire con compiutezza nelle varie fasi in cui esso si articola.
Pertanto, le norme che prevedono il deposito degli scritti conclusivi, sottintendendo la garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio, attengono ai principi essenziali regolatori del giusto processo, con la conseguenza che la relativa violazione determina la nullità della sentenza senza necessità di una testuale previsione.
Una conferma di tale principio, secondo la Corte, discenderebbe dall’art. 360 bis c.p.c. n. 2, nella versione introdotta dalla l. n. 69/2009, dal quale si evincerebbe che la sentenza di merito è impugnabile per cassazione non solo nel caso di nullità testuale per inosservanza di forme (ex art. 360 n. 4 c.p.c.), ma anche quando siano violati i principi regolatori del giusto processo.
All’esito del – forse poco lineare – percorso argomentativo, la Corte ha così enunciato il seguente principio: “la parte che proponga l’impugnazione della sentenza d'appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero per replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; la violazione determinata dall'avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità dei difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, ai quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena affettività durante tutto lo svolgimento del processo”.