L’attività professionale di un avvocato in uno studio legale può essere qualificata come lavoro subordinato?

Maria Santina Panarella
13 Novembre 2024

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da un avvocato che pretendeva il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato con lo Studio con il quale aveva collaborato per anni e la reintegra sul posto di lavoro (Cass., 4 novembre 2024, 28274).

All’esito dell'istruttoria, la Corte d'appello aveva concluso, in conformità al Tribunale, per la sussistenza di un genuino rapporto di lavoro autonomo nell'ambito di prestazioni a contenuto professionale. La professionista aveva così impugnato la sentenza, ma la Corte ha respinto tutte le tesi difensivi prospettate.

In relazione alla questione attinente alla qualificazione come subordinata dell’attività professionale svolta da un avvocato in uno studio legale di grandi dimensioni, la Cassazione ha preso le mosse dai precedenti di legittimità che hanno affrontato tale tema. In tali occasioni, si era affermato che "la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della etero -organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l'organizzazione sia limitata al coordinamento dell'attività del professionista con quella dello studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall'interesse dello stesso studio, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui". In tali pronunce – ha ricordato la Corte - si è precisato che, trattandosi di prestazioni professionali che per loro natura non richiedono l'esercizio da parte del datore di lavoro di un potere gerarchico concretizzantesi in ordini specifici e nell'esercizio del potere disciplinare, non risultano significativi i criteri distintivi costituiti dall'esercizio dei poteri direttivo e disciplinare e che neppure possono considerarsi sintomatici del vincolo della subordinazione elementi come la fissazione di un orario per lo svolgimento della prestazione o eventuali controlli sull'adempimento della stessa, se non si traducono nell'espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione proprio del datore di lavoro.

Nel caso sottoposto alla Corte, la ricorrente lamentava una asserita erronea applicazione dell'art. 2094 c.c., nella forma della subordinazione attenuata, per avere la Corte d'appello, in contrasto con i precedenti richiamati, dato esclusivo o preminente rilievo all'assenza di potere conformativo (del committente) sul contenuto della prestazione professionale, trascurando o sminuendo il potere di conformazione unilaterale riguardo all'organizzazione e alle modalità esterne di espletamento dell'attività.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, secondo la Cassazione, la Corte di merito si era attenuta alle linee direttrici indicate nella giurisprudenza richiamata ed aveva approfonditamente indagato, esaminando il complesso materiale istruttorio, non solo sul potere di conformazione esercitato dal socio o dai soci di riferimento sul contenuto prettamente professionale dell'attività svolta dalla ricorrente, escludendone l'esistenza, ma anche sull'inserimento organico dell'avvocata nello Studio.

In particolare, la Corte territoriale;

  • aveva accertato che la ricorrente, nel corso di oltre tredici anni di durata del rapporto, aveva svolto l’attività di avvocato in modo libero, autonomo e indipendente, pur in presenza di regole necessarie al coordinamento della sua attività con quella dello Studio;
  • sotto il profilo contenutistico dell'attività professionale, aveva valutato la documentazione prodotta dall'appellante (numerose e-mail) e appurato che la stessa non era vincolata dalle determinazioni dei soci dalle quali poteva dissentire; che la ricorrente, nel confronto con i colleghi dello Studio, assumeva iniziative personali ed esprimeva proprie considerazioni sulle questioni trattate; inoltre, che era interpellata personalmente, e a volte anche esclusivamente, sia dai clienti e sia dai procuratori delle controparti;
  • sulla base dei documenti disciplinanti i vari aspetti della vita dello Studio (un'associazione professionale composta da 50 soci e 296 professionisti), aveva ritenuto che questi rispondessero essenzialmente all'esigenza di coordinamento dell'attività dei numerosi professionisti coinvolti;
  • sull'obbligo di esclusiva o condizione di mono committenza, aveva dato atto di come tutti gli incarichi di difesa e assistenza legale fossero acquisiti dallo Studio e da questo distribuiti ai singoli professionisti, i quali avevano un obbligo di esclusiva, nel senso che non potevano gestire una propria clientela collaterale a quella dello Studio, pur potendo proporre nuovi clienti.  La ricorrente era inserita non in un sistema di comando imposto ai professionisti non soci, bensì un insieme organico di regole (per la gestione delle pratiche, per l'utilizzo degli strumenti informatici, per la sicurezza delle informazioni) destinate a fissare alcuni limiti e a tracciare alcune procedure al fine di gestire la complessità connessa al numero di professionisti e alla tipologia di clientela;
  • sull'impegno temporale, aveva escluso che le tempistiche indicate nelle e-mail, in base al tenore delle stesse complessivamente interpretate, fossero espressione di un potere conformativo dello Studio sulla prestazione professionale della ricorrente., rispondendo quelle tempistiche alla necessità, insita nell'attività di avvocato, di rispettare i termini processuali e le cadenze temporali imposte dalle scelte e dalle richieste dei clienti;
  • aveva reputato irrilevante la previsione di un compenso fisso mensile sia per il rilievo pacificamente sussidiario di tale elemento nell'indagine sulla natura subordinata o autonoma di un rapporto, sia per la circostanza secondo la quale gli avvocati, quindi anche la ricorrente, partecipavano a quanto ricavato dalle pratiche relative ai clienti da ciascuno procurati, aspetto quest'ultimo proprio dell'esercizio della libera professione.

In sintesi, secondo la Cassazione, l’accertamento compiuto dai giudici di merito non avrebbe trascurato nessuno degli indici significativi che, complessivamente letti, hanno portato ad escludere l'esercizio di un potere conformativo unilaterale dello Studio sia sul contenuto prettamente professionale dell'attività svolta, sia sulla organizzazione e sulle modalità di espletamento della stessa, sia pure nell'accezione attenuata propria del lavoro intellettuale.

Il ricorso, come detto, è stato rigettato.

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