La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da un avvocato che pretendeva il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato con lo Studio con il quale aveva collaborato per anni e la reintegra sul posto di lavoro (Cass., 4 novembre 2024, 28274).
All’esito dell'istruttoria, la Corte d'appello aveva concluso, in conformità al Tribunale, per la sussistenza di un genuino rapporto di lavoro autonomo nell'ambito di prestazioni a contenuto professionale. La professionista aveva così impugnato la sentenza, ma la Corte ha respinto tutte le tesi difensivi prospettate.
In relazione alla questione attinente alla qualificazione come subordinata dell’attività professionale svolta da un avvocato in uno studio legale di grandi dimensioni, la Cassazione ha preso le mosse dai precedenti di legittimità che hanno affrontato tale tema. In tali occasioni, si era affermato che "la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della etero -organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l'organizzazione sia limitata al coordinamento dell'attività del professionista con quella dello studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall'interesse dello stesso studio, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui". In tali pronunce – ha ricordato la Corte - si è precisato che, trattandosi di prestazioni professionali che per loro natura non richiedono l'esercizio da parte del datore di lavoro di un potere gerarchico concretizzantesi in ordini specifici e nell'esercizio del potere disciplinare, non risultano significativi i criteri distintivi costituiti dall'esercizio dei poteri direttivo e disciplinare e che neppure possono considerarsi sintomatici del vincolo della subordinazione elementi come la fissazione di un orario per lo svolgimento della prestazione o eventuali controlli sull'adempimento della stessa, se non si traducono nell'espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione proprio del datore di lavoro.
Nel caso sottoposto alla Corte, la ricorrente lamentava una asserita erronea applicazione dell'art. 2094 c.c., nella forma della subordinazione attenuata, per avere la Corte d'appello, in contrasto con i precedenti richiamati, dato esclusivo o preminente rilievo all'assenza di potere conformativo (del committente) sul contenuto della prestazione professionale, trascurando o sminuendo il potere di conformazione unilaterale riguardo all'organizzazione e alle modalità esterne di espletamento dell'attività.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, secondo la Cassazione, la Corte di merito si era attenuta alle linee direttrici indicate nella giurisprudenza richiamata ed aveva approfonditamente indagato, esaminando il complesso materiale istruttorio, non solo sul potere di conformazione esercitato dal socio o dai soci di riferimento sul contenuto prettamente professionale dell'attività svolta dalla ricorrente, escludendone l'esistenza, ma anche sull'inserimento organico dell'avvocata nello Studio.
In particolare, la Corte territoriale;
In sintesi, secondo la Cassazione, l’accertamento compiuto dai giudici di merito non avrebbe trascurato nessuno degli indici significativi che, complessivamente letti, hanno portato ad escludere l'esercizio di un potere conformativo unilaterale dello Studio sia sul contenuto prettamente professionale dell'attività svolta, sia sulla organizzazione e sulle modalità di espletamento della stessa, sia pure nell'accezione attenuata propria del lavoro intellettuale.
Il ricorso, come detto, è stato rigettato.