Il titolo esecutivo non è presupposto fattuale dell’azione esecutiva, ma è il valore giuridico al quale la realtà materiale deve essere ricondotta per la realizzazione dell’interesse del creditore sancito dal diritto.
Questo è il fulcro della (complessa e lunga) motivazione della sentenza con la quale le Sezioni Unite si sono pronunciate in ordine ai limiti e alla portata dell’interpretazione da parte del giudice di legittimità del titolo esecutivo giudiziale in sede di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi (Cass. n. 5633 del 21 febbraio 2022).
La vicenda
Il ricorrente si era rivolto al Giudice del lavoro, chiedendo, fra l’altro, che fosse dichiarato il suo diritto “ad essere iscritto (…) nell’elenco nominativo dei lavoratori agricoli del Comune (…) per n. 156 giornate lavorative” e “conseguentemente condannare l'I.N.P.S. a rettificare i suddetti elenchi e ad accreditare a parte ricorrente 156 contributi giornalieri per l’anno (…)”.
Il Giudice, in accoglimento del ricorso, aveva dichiarato il diritto all’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli a tempo determinato. Pertanto, il ricorrente, con atto di precetto, aveva intimato all’Inps di eseguire quanto statuito dalla suddetta sentenza, nel frattempo passata in giudicato, e, decorso inutilmente il termine d’intimazione, aveva proposto ricorso ai sensi dell’art. 612 c.p.c.al Giudice dell’esecuzione per la determinazione delle modalità dell’esecuzione forzata.
Nelle more, l’Inps aveva iscritto il ricorrente negli elenchi anagrafici, ed aveva chiesto al Giudice dell’esecuzione che fosse dichiarata l’estinzione del processo esecutivo, con la liquidazione delle relative spese. Il Giudice dell’esecuzione, reputando che, a monte della procedura, ci fosse una sentenza di accertamento e non di condanna, inidonea, dunque, a fondare l’esecuzione forzata ai sensi dell’art. 612 c.p.c., nel dichiarare la cessazione della materia del contendere, aveva ravvisato giusti motivi per compensare le spese.
L’originario ricorrente aveva allora proposto opposizione agli atti esecutivi (in relazione al capo delle spese) che il tribunale aveva accolto, reputando che il Giudice dell’esecuzione non avesse instaurato il contraddittorio tra le parti in ordine alla questione del carattere dichiarativo o di condanna della sentenza a monte dell’esecuzione.
L’Inps aveva così proposto ricorso per cassazione, affermando, tra le altre doglianze, che la sentenza alla base dell’esecuzione aveva effettivamente natura dichiarativa.
La questione esaminata dalle Sezioni Unite
Come si evince dalla lettura della medesima pronuncia, l’Inps ha dato atto di essere consapevole dell’esistenza dell’orientamento della giurisprudenza secondo cui il sindacato sull’interpretazione del titolo esecutivo fornita dal giudice di merito è precluso alla Suprema Corte; difatti, l’Inps aveva prospettato la censura principale nelle forme della denuncia del vizio di motivazione.
Il fulcro della questione sottoposta alle Sezioni Unite si incentrava sull’ambito del sindacato rimesso al giudice di legittimità nel caso di doglianze relative alla errata interpretazione del titolo esecutivo giudiziale avente natura di cosa giudicata.
Gli orientamenti della Corte
Nel solco di quanto affermato nell’ordinanza interlocutoria, la sentenza ha ripercorso i precedenti delle stesse Sezioni Unite, dando atto del costante, e consolidato, orientamento nel senso che l’interpretazione della sentenza costituente titolo esecutivo da parte del giudice dell’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi configura interpretazione del giudicato esterno al giudizio e si risolve in un giudizio di fatto censurabile in Cassazione solo se siano stati violati i criteri giuridici che regolano l’estensione ed i limiti della cosa giudicata o se ricorra vizio di motivazione.
Ecco, allora, il richiamo a Cass. Sez. U. 25 maggio 2011, n. 226, Cass. Sez. U. 28 novembre 2007, n. 24664, e Cass. Sez. U. 9 maggio 2008, n. 11501.
La giurisprudenza delle sezioni semplici – hanno aggiunto le Sezioni Unite – ha consapevolmente mantenuto fermo l’indirizzo tradizionale della non sindacabilità in sede di legittimità del risultato interpretativo del titolo esecutivo giudiziale, nel giudizio di opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi, in quanto accertamento di fatto spettante al giudice di merito. In particolare, “la posizione assunta da Cass. 21 novembre 2001, n. 14727, all'indomani di Cass. sez. U. n. 226 del 2001, non ha subito variazioni fino alla odierna ordinanza interlocutoria per cui nella giurisprudenza di questa Corte, nonostante l'indicata evoluzione delle Sezioni Unite, resta fermo che il giudice di legittimità non può interpretare il titolo esecutivo giudiziale nei procedimenti oppositivi, restando il provvedimento giurisdizionale incluso nel fatto e rimesso pertanto all'apprezzamento riservato al giudice di merito”.
La soluzione della questione
Poste tali premesse, le Sezioni Unite giungono alla soluzione della questione prendendo le mosse dalla constatazione secondo la quale - come si è anticipato in apertura - la possibilità di inserire il titolo esecutivo giudiziale nel mondo dei fatti trova la sua radice nella relatività che caratterizza la distinzione fra il valore giuridico e il fatto. E, nella questione in esame, quello che occorre verificare “è se il giudicato possa rilevare all’interno del giudizio di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi quale valore giuridico o quale fatto”.
Dalla strumentalità del processo esecutivo alla realizzazione del diritto sostanziale si ricava che compito dell’esecuzione forzata è l’adeguamento dello stato di fatto allo stato di diritto, con la conseguenza che, nel processo esecutivo, il titolo non è il presupposto fattuale dell’azione esecutiva, ma “è il valore giuridico cui la realtà materiale deve essere ricondotta per la realizzazione dell’interesse del creditore sancito dal diritto”.
In sintesi, il titolo esecutivo enuncia il dover essere cui l’essere, mediante il processo esecutivo, deve uniformarsi.
Con particolare riferimento al giudicato, la sentenza ha evidenziato che l’interpretazione di quest’ultimo, svolta mediante canoni esegetici di cui all’art. 12 preleggi, ha quale termine di riferimento una norma di diritto sostanziale. La natura di “legge del caso concreto” che il giudicato possiede impedisce di ridurne la problematica nel processo civile al solo tema del contrasto fra giudicati e impone di valorizzare la natura di istituto di diritto sostanziale che la cosa giudicata di cui all’art. 2909 c.c. possiede. Ciò che distingue il giudicato dalla sentenza priva di tale carattere è la normatività dell’accertamento che vi è contenuto, e che è attestata dall’art. 2909 c.c.
I principi di diritto enunciati
In conclusione, le Sezioni Unite hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
Dunque, le Sezioni Unite, da un lato, hanno riconosciuto il potere/dovere della Corte di Cassazione di interpretare il titolo esecutivo; dall’altro, hanno indicato quale sia la strada per sollecitarlo.