L’impugnazione del licenziamento può essere contenuta in un file word?

Secondo la Cassazione, ai sensi dell'art. 6 della legge n. 604/66, il requisito della impugnazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario di un qualsiasi atto scritto avente contenuto idoneo a comunicare l’intenzione del lavoratore di impugnare il licenziamento e allo stesso con certezza riferibile, pertanto anche mediante invio di una PEC con allegato un file formato word, non essendo necessario l'invio di una copia informatica di un documento analogico ai sensi dell’art.22 del decreto legislativo n. 82 del 2005.

Questo principio di diritto è contenuto nella recentissima ordinanza n. 18529 dell’8 luglio 2024.

La Corte di merito aveva rigettato l’appello proposto dal lavoratore avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di impugnazione del licenziamento. La Corte d’Appello, confermando la decisione del giudice di primo grado, aveva richiamato l’eccezione di inammissibilità formulata dalla Società sulla base del fatto che la contestazione del licenziamento fosse contenuta in un file word, privo della sottoscrizione del ricorrente o del difensore, allegata ad una PEC.

La Corte d'Appello aveva affermato che, in base alle disposizioni di legge ed ai principi della giurisprudenza, l’atto di impugnativa del licenziamento inviato come documento informatico dovesse rispettare la disciplina dell’articolo 22 del decreto legislativo n. 82 del 2005.

Ai sensi di tale disciplina, la scansione dell'impugnazione cartacea del licenziamento avrebbe potuto avere la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui è estratta solo nei seguenti tre casi: 1. in presenza della firma digitale o elettronica qualificata o elettronica del lavoratore e/o del difensore; 2. in presenza di una valida attestazione di conformità di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato secondo le regole stabilite ai sensi dell'art. 71 decreto legislativo numero 82/2005; 3. se era stata formata in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche di cui all'art. 71 cit. Nel caso di specie, invece, secondo la Corte di appello, non vi era un atto cartaceo scansionato, ma alla PEC era stato allegato un semplice file in formato word (pertanto modificabile da chiunque) privo di firme e non dotato di alcuna attestazione di conformità nei termini richiesti dalla legge, né formato nel rispetto delle linee guida AGID (richiamate dall'art. 71 d. lgs. 82/2005).

Il lavoratore aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione e l’errata applicazione dell’art. 6 della legge 604/1966.

La Corte di Cassazione non ha condiviso la soluzione formalistica adottata dalla Corte di merito perché “cozza contro la costante applicazione dell'art. 6 della legge 604/1966 praticata da questa Corte di cassazione”.

Difatti – ha ricordato la Corte – l’art. 6 della legge n. 604/66 ammette l'impugnazione del licenziamento “con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore”.

In coerenza con la formulazione letterale, la costante applicazione della norma da parte della Corte è stata sempre intesa in senso sostanziale, ritenendo sufficiente un qualsiasi atto che sia tale da esprimere la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento (fin da Cass. n. 12709 del 1997, e da ultimo ordinanza Cass. n. 17731 del 21 giugno 2023).

In particolare, Cass. n. 10883/2021 aveva ribadito che per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento non si richiedono formule particolari, essendo sufficiente, come testualmente specificato dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966, qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento. In sintesi, quello che riveste importanza è che l’atto esprima la volontà inequivoca di impugnare il licenziamento.

Come ricorda la recente pronuncia in esame, la ratio della forma scritta è quella di far conoscere con la dovuta certezza la volontà del mittente al destinatario.

Nel caso di specie, secondo la Corte, la datrice di lavoro non avrebbe mai contestato di aver ricevuta tale manifestazione di volontà attraverso il file di word allegato alla PEC del difensore e con quel contenuto idoneo a comunicare l'intenzione del lavoratore di impugnare il licenziamento.

Oggetto di contestazione sarebbe stata soltanto l’idoneità del documento ai sensi del d. lgs. n. 82 del 2005. Ma, a dire della Cassazione, il licenziamento ben può essere impugnato anche tramite una PEC.

La Corte ha ritenuto priva di rilevanza la questione della modificabilità del file word proprio perché, nel caso di specie, non sarebbe stata contestata l’autenticità del documento pervenuto tramite PEC, né il suo contenuto o la sua corrispondenza all'originale spedito dall'avvocato, bensì, come si è detto, solo l’astratta e formale conformità del documento al modello legale descritto dal d.lgs. 82/2015.

Circa, invece, la mancata sottoscrizione, la Corte ha richiamato il costante insegnamento “pure applicato in materia di licenziamento da Cass. 12106 del 16/05/2017) "secondo cui la produzione in giudizio di una scrittura, priva di firma da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla, equivale a sottoscrizione, a condizione che tale produzione avvenga - appunto - ad opera della parte stessa (cfr., ex aliis, Cass. n. 13548/06Cass. n. 3810/04Cass. n. 2826/2000)”.

Da qui la conclusione della Corte secondo cui “non può sensatamente contestarsi l’idoneità della PEC (Posta Elettronica Certificata) di un avvocato ad impugnare un licenziamento inviando un documento informatico in formato word”.

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Maria Santina Panarella
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